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  Le chiese medievali di Roma dedicate a Maria - 2 
Medioevo

Dallo studio di Fabrizio Alessio Angeli ∙ Elisabetta Berti, Chiese medioevali di Roma, I. Le chiese dentro le mura, Associazione Culturale SestoAcuto, Roma 2007.



S. Maria Antiqua (Foro Romano)
S. Maria Antiqua sorse nel Foro Romano all'interno di un complesso di edifici della seconda metà del I secolo. Uno di questi ambienti, in origine un vestibolo con corpo di guardia a protezione della rampa che conduceva ai palazzi imperiali, già a metà del V secolo divenne sede di un culto mariano, anche se la trasformazione in chiesa sembra risalire all'epoca dell'imperatore Giustino II (567]578). Dalla ricchezza dell'apparato decorativo si può dedurre che la chiesa fu oggetto di particolari cure da parte dei pontefici che si succedettero fino alla metà del IX secolo. Fu continuamente restaurata e abbellita da Martino I (649]655), Giovanni VII (705]707), Zaccaria (741]752), Paolo I (757]767) e Adriano I (774]795). II carattere fortemente bizantino delle pitture è confermato dalla presenza di rappresentazioni di martiri orientali e di iscrizioni in greco. Nell'847 una frana, forse causata da un terremoto, seppellì parzialmente l'edificio di culto e ne causò l'abbandono; Leone IV (847]855) decise allora di trasferire i beni e i diritti della chiesa in S. Maria Nova. Ciò nondimeno, una serie di interventi databili al X secolo testimoniano che la chiesa non cadde nell'oblio. Nell'atrio si trovano infatti alcune testimonianze di un utilizzo del luogo successivo al crollo della chiesa a metà del IX secolo: al centro dell'ambiente scoperto si conserva la base di un grande pilastro in muratura che servì probabilmente a rinforzare la copertura a volta allora esistente. Inoltre, in uno stretto passaggio nel muro occidentale, che dall'atrio conduceva a una struttura adiacente, sono state rinvenute cinque figure di santi: tranne il secondo da destra, che resta anonimo, le altre figure sono state identificate con i ss. Biagio, Basilio, Lorenzo e Cristoforo. Poiché il culto di s. Biagio fu introdotto durante il regno di Alberico, tra il 932 e il 954, si è dedotto che almeno questa zona della chiesa continuò a essere utilizzata anche dopo il trasferimento del culto mariano, forse da una comunità di monaci. Sui resti di S. Maria Antiqua fu edificata nel XIII secolo la chiesa di S. Maria Liberatrice, poi interamente ricostruita nel 1617. Secondo la leggenda papa Silvestro I avrebbe qui sconfitto un drago (da cui l'appellativo di Liberatrice della chiesa); fu detta anche de inferno e libera nos a poenis inferni. Vi era annesso un monastero benedettino. Nel 1900 fu decisa la demolizione della chiesa secentesca per riportare alla luce l'edificio più antico. L'intitolazione a S. Maria Liberatrice fu allora trasferita nella nuova chiesa di Testaccio, e i dipinti furono trasportati nel monastero di Tor de Specchi. La chiesa di S. Maria Antiqua è di forma basilicale, con piccola abside; è preceduta da un atrio e all'interno è divisa in tre navate con piccole cappelle in fondo alle navate minori. Ai lati dell'ingresso sono due piccole nicchie, nelle quali si individuano le raffigurazioni di Tre Santi (nicchia di sinistra), S. Agnese e S. Cecilia (nicchia di destra), che sembrano costituire una delle ultima fasi della decorazione di S. Maria Antiqua prima del crollo dell'847. La chiesa di S. Maria antiqua è un vero e proprio museo di pittura altomedioevale. Nell'atrio sono visibili ancora i resti di diverse campagne decorative. A destra, sul muro orientale, in una nicchia ricavata nel primo pilastro, è ritratto s. Abbaciro. Sullo stesso muro sono leggibili anche parti della decorazione della grande nicchia rettangolare centrale, all'interno della quale restano alcune sezioni di un velum dipinto in tonalità vivaci (la realizzazione di questa campagna decorativa sembra risalire al X secolo). Nella navata sinistra, due cicli di affreschi si dispiegano sulla parete, divisi in tre fasce: le prime due in alto comprendono le Storie del Vecchio Testamento mentre nel registro inferiore, al di sopra del Velum, è raffigurato Cristo in trono fra santi orientali e santi occidentali. Tutta la decorazione della parete dovrebbe essere databile al tempo di Paolo I (757]767). Nella stessa navata, su una delle colonne, sono i resti molto danneggiati di un dipinto che ritrae la Vergine Eleousa (metà del VII secolo). Forse dell'epoca di Giovanni VII è invece l'Annunciazione ora collocata su uno dei pilastro a «L». Tra i resti di decorazioni marmoree disposti nella navata, è la base ottagonale del pulpito dedicato, come testimoniano le due iscrizioni in greco e in latino, da Giovanni VII (705]707). Sempre del tempo di Giovanni VII è La discesa nel Limbo affrescata nel vano della porta che conduce dalla chiesa alla rampa palatina. Al tempo di papa Zaccaria (741] 752) risale la decorazione della cappella in fondo alla navata, a sinistra del presbiterio, nota come Cappella di Teodoto. Gli affreschi raffigurano la Crocifissione, le Storie dei ss. Quirico e Giulitta, una Teoria di santi. Una Madonna con il Bambino e i ss. Pietro e Paolo invece è stato strappato e trasportato su tela, ed è conservato ora nell'Antiquarium del Foro. Nel presbiterio, è ancora apprezzabile la decorazione pavimentale in opus sectile, mentre più avanti il pavimento è in mosaico marmoreo a larghe tessere. La messa in opera di entrambe le zone sembra risalire al VI secolo. Dell'antico rivestimento parietale in opus sectile non restano che alcuni frammenti. Sulle pareti laterali del presbiterio sono ancora visibili, oltre ai riquadri molto rovinati di un Ciclo cristologico più antico risalente all'epoca di Martino I (649]655), i resti della vasta campagna decorativa voluta da Giovanni VII (705]707) e comprendente, in questa zona della chiesa, i Tondi con busti degli Apostoli e un altro ciclo dedicato alla Vita di Cristo; di questa più tarda decorazione sono ancora leggibili l'Adorazione dei Magi, una Andata al Calvario e altri frammenti. Inoltre Giovanni VII fece anche decorare i muri bassi (transenne) che separavano il presbiterio dalla navata centrale; a questa decorazione appartengono le Scene dal Vecchio Testamento ancora visibili (Ezechiele morente e Davide e Golia). Le pitture che ornano i pilastri a «L» davanti al coro risalgono per lo più al pontificato di Martino I (649] 655); esse rappresentano Tre santi, una S. Barbara, Salomone con i martiri Maccabei, una Annunciazione, S. Demetrio, la Deesis e una Madonna con le mani incrociate. Sulla parete a sinistra dell'abside sono raffigurati i ss. Leone e Gregorio (seconda metà del sec. VII). In basso è visbile una decorazione a finto marmo di difficile datazione. Nell'abside, la decorazione pittorica è purtroppo quasi scomparsa; nel catino era una grande figura di Cristo benedicente e la Vergine che presenta Paolo I (sec. VIII). Sulla destra dell'abside è la famosa paretepalinsesto, che testimonia quattro differenti momenti della decorazione pittorica della chiesa, dal VI all'VIII secolo. 1° strato (sec. VI): affresco con Maria Regina tra gli angeli e risale a prima della trasformazione dell'edificio in chiesa. La composizione è stata mutilata (resta infatti visibile un solo angelo) quando fu costruita la grande abside della chiesa al posto della preesistente nicchia rettangolare; 2°strato (prima metà del sec. VII): affresco con l'Annunciazione, di cui sopravvivono un angelo e parte del volto della Madonna; 3° strato (seconda metà del sec. VII): affresco con i Ss. Basilio e Giovanni Crisostomo; corrispondono ai Ss. Leone e Gregorio sulla parete a sinistra dell'abside; 4°strato (inizio sec. VIII): affresco con S. Gregorio Nazianzeno (visibile a destra della Maria Regina), che fa parte della campagna decorativa voluta da Giovanni VII (705]707). Alla stessa età di Giovanni VII risale probabilmente la decorazione della Cappella dei santi medici a destra dell'abside; la nicchia della parete di fondo è decorata con le raffigurazioni dei Cinque santi medici (tra cui si riconoscono Cosma, Damiano e Abbaciro), mentre i muri perimetrali erano interamente affrescati in alto con Teorie di Santi; in basso un panneggio dipinto simula un velum. Nella navata destra si trova l'affresco con Maria regina in trono con angeli e Santi e il papa Adriano I, staccato dalla parete orientale dell'atrio (sec. VIII). Sullo stesso pannello, a sinistra, sono due frammenti di minori dimensioni provenienti dal muro occidentale dell'atrio, sul quale furono dipinti (probabilmente nel corso del X secolo) Cristo benedicente con due angeli e una figura più piccola in ai piedi del trono; un Santo con S. Maria Egiziaca. Della decorazione delle porzioni più alte della parete resta soltanto qualche piccolo brano; si conserva invece ancora l'affresco della nicchia più avanti che rappresenta le Tre Sante Madri (S. Anna, S. Maria, S. Elisabetta), dell'epoca di Paolo I (757] 767).

S. Maria del Priorato (Piazza dei Cavalieri di Malta)
S. Maria del Priorato è proprietà del Sovrano Ordine Militare di Malta. Le sue origini risalgono al 939, quando il principe Alberico II, convertì il suo palazzo sull'Aventino in un monastero benedettino, affidandolo a Oddone di Cluny. Alla metà del XII secolo il complesso divenne proprietà dei Templari e quando quest'ordine fu soppresso da Clemente V (1312), fu dato ai Cavalieri Gerosolimitani, che vi stabilirono il loro priorato a partire dalla fine del sec. XIV (da cui l'appellativo della chiesa). Nel 1765 Piranesi curò un generale rinnovamento della chiesa. All'interno scomparvero gli affreschi antichi dell'abside e del presbiterio; mentre si sono conservati il sepolcro di Bartolomeo Carafa (+ 1405), alcune lapidi (fra cui una del 1222) oggi conservate nella sacrestia, e un altare, adorno di simboli, datato all'epoca di Niccolò I (858] 865), anche se restaurato nel 1765 quando vi fu rinvenuta all'interno un reliquiario d'argento, ora sotto l'altare maggiore. Nella terza cappella a destra è il sepolcro del Gran Maestro G. di Thun e Hohenstein (+ 1931) sopra un basamento formato da frammenti marmorei medioevali.

S. Maria in Cosmedin (Piazza della Bocca della Verità)
Sorta sui resti dell'Ara Maxima Herculis Victoris (distrutta dall'incendio neroniano) e di un altro edificio identificato comunemente come la Statio Annonae (oppure come un sacello connesso con l'Ara), la chiesa di S. Maria in Cosmedin trae origine da un primo insediamento cristiano risalente al III secolo, anche se le prime notizie certe sono del VI secolo. A quest'epoca, il complesso fu trasformato in diaconia e andò a inglobare una struttura tardoantica (comunemente ricordata come la 'loggia'), attualmente visibile in controfacciata. Nel 782 Adriano I raddoppiò l'edificio, demolendo un maximum monumentum de tiburtino lapide (forse un muro della Statio Annonae), di cui utilizzò le macerie per costruire la nuova abside. Questa nuova chiesa si presentava con colonne trabeate e con le pareti della navata centrale movimentate da gallerie (matroneo). Rovinatasi in seguito a un terremoto (forse quello dell'847, che causò probabilmente anche l'abbandono di S. Maria Antiqua), la chiesa fu restaurata da papa Niccolò I (858]867), che vi aggiunse anche una sacrestia, un oratorio dedicato a S. Niccolò in Schola Graeca e un edificio adibito a dimora pontificia, poi trasformato in palazzo diaconale. Parzialmente distrutta durante l'invasione di Roberto il Guiscardo nella seconda metà dell'XI secolo, la chiesa fu restaurata sotto i papi Gelasio II (1118]1119) e Callisto II (1119]1124); artefice di questa grande campagna fu Alfano Camerario, a cui si deve sostanzialmente l'aspetto attuale della chiesa. Alfano, pur non modificando la pianta dell'edificio d'età carolingia, coprì la 'loggia' con un nartece a due piani, provvisto sul davanti da un protiro su quattro colonne e tamponò il matroneo (poi riaperto alla fine del sec. XIX) per avere più vaste porzioni di muri da dipingere; infine alternò le colonne a pilastri collegandole con arcate, secondo uno schema non specificamente classico, adottato anche a S. Clemente e ai Ss. Quattro Coronati. Francesco Caetani, diacono dal 1295 al 1304, restaurò nuovamente la chiesa, dotandola probabilmente di una nuova facciata e trasformò l'adiacente palazzo diaconale. Nel 1718 alla chiesa fu conferito un aspetto barocco, che sparì tuttavia con la radicale campagna di restauri, condotti a partire dal 1893 e diretti da Giovanni Battista Giovenale: in tale circostanza fu distrutta la facciata settecentesca, la quale a sua volta aveva sostituito quella tardoduecentesca; inoltre furono eliminate le false volte del XVII secolo, rimettendo in luce quanto rimaneva (nel sottotetto barocco) del ciclo affrescato nel 1123. Gli ultimi restauri risalgono al 1964 e riguardano il portico e il campanile. L'esterno oggi dunque si presenta nelle forme romaniche, frutto del rifacimento del Giovenale. La facciata è preceduta da un portico (con protiro) ad arcate, sopra le quali si impostano monofore chiuse da transenne. Il portico è sovrastato dalla parte alta della facciata della navata centrale (in cui si aprono tre finestre) e dal campanile romanico a sette piani. Nel muro sotto il portico, oltre alla famosa Bocca della Verità (in realtà un chiusino di età romana, posto qui nel 1632), sono murate alcune iscrizioni con atti di donazione: 1) un'epigrafe del X secolo con l'elenco dei doni fatti da un certo Teubaldo (case, orti, vigne, oggetti liturgici) alla chiesa di S. Valentino sulla Via Flaminia; 2) un'iscrizione dell'VIII secolo da cui risulta la donazione da parte di un certo Eustazio e di suo fratello (Giorgio o Gregorio) di alcuni vigneti …qui sunt in Testacio (si tratta della prima attestazione di questo toponimo per la collina artificiale presso il Tevere); 3) una scultura con un'epigrafe mutila letta completamente nel XV secolo: Honoris Dei et Sancte Dei Genitricis Marie, pontificatus Domini Adriani pape, ego Gregorius notarius. E infine la tomba di Alfano, corredata da un'iscrizione: Vir probus Alfanus cernens quia cuncta perirent / hoc sibi sarcofagum statuit ne totus obiret / fabrica delectat pollet quia penitus extra / sed monet interius quia post haec tristia restant. La tomba è sovrastata da una copertura a tetto di sapore fortemente antichizzante e doveva essere completata da una lunetta affrescata, ora praticamente distrutta, raffigurante la Vergine con il Bambino tra Gelasio II e Callisto II. Sul muro del portico sono visibili anche tracce di un affresco con l'Annunciazione e la Natività. Il portale d'ingresso alla chiesa ha un'incorniciatura scolpita con una serie di figurazioni: racemi con uccellini, fogliette, piccoli ovoli, una mano benedicente, due agnelli, due croci, i simboli degli Evangelisti, due pissidi, due uccelli; al di sopra corre la scritta Ioannes de Venetia me fecit. L'interno, radicalmente restaurato nel 1893, è a tre navate con quattro pilastri e diciotto colonne di recupero; cinque capitelli sono dell'epoca di Gelasio. Un po' ovunque sono visibili, inglobate nei muri, le antiche colonne superstiti dell'edificio antico identificato come Statio Annonae. Il pavimento cosmatesco è composto da un motivo centrale con una rota di grandissime dimensioni, affiancata da quattro rotae più piccole e da altri motivi rettangolari. Il Giovenale ci ha lasciato un ampio resoconto dei lacerti affrescati allora esistenti. Il ciclo della navata è oggi purtroppo quasi completamente perduto. La parete è divisa in riquadri sormontati da un fregio nel quale si affacciano clipei con maschere classiche; i riquadri stessi sono coronati da lunette dove appaiono cornucopie e sono affiancati da un fregio a candelabro. Sotto, dopo un altro fregio a motivi vegetali, altri riquadri rettangolari recano una grande cornice con un motivo di drappeggi in cui si affacciano amorini. Da notare che il Giovenale identificò frammenti d'affresco, purtroppo ridottissimi, anche negli strombi delle finestre absidali. Il registro inferiore raffigurava scene dal Nuovo Testamento; quello superiore destro, scene dall'Antico, e precisamente dal Libro di Daniele, con Storie di Nabucodonosor. Il registro alto della parete sinistra (doveva invece raffigurare storie tratte dal Libro di Ezechiele, relative alle vicende degli Ebrei che si ribellano a Dio e alla conseguente distruzione di Gerusalemme: negli exempla biblici scelti (il superbo e idolatra Nabucodonosor, gli Ebrei ribelli) si è voluto intravvedere un monito rivolto a chi volesse ribellarsi alla potestà pontificia. Gran parte della navata centrale è occupata dalla schola cantorum con due pulpiti. Il cero pasquale con piccolo leone marmoreo alla base e con stemma Caetani è firmato da Pasquale, un frate domenicano della fine del XIII secolo. I plutei del restauro di Alfano portano sul retro, in due casi, decorazioni dell'VIII secolo. Su un marmo collocato attualmente nell'iconostasi (ma originariamente inserito nel pavimento) è scritto: Alfanus fieri tibi fecit Virgo Maria / et Genetrix Regis Summi Patris alma Sophya. Al centro del presbiterio sorge l'altare, un antico pezzo lavorato di granito rosso, contenente le reliquie dei ss. Cirilla, Ilario e Coronato, forse del tempo di Adriano I; esso è coperto dalla mensa marmorea dell'età di Callisto II con l'epigrafe della consacrazione: +Anno MCXXIII, indictione I, est dedicatum hoc altare per manus Domini Calixti PP. II, V sui pontificatus anno, mense maio, die VI, Alfano Camerario eius dona plurima largienti. L'altare è sormontato dal piccolo ciborio, opera di Deodato, terzo figlio di Cosma il Giovane (1294). Sulla sedia episcopale si legge, attorno al disco, l'iscrizione dedicatoria di Alfano: Alfanus fieri tibi fecit Virgo Maria. Nella navata destra, una porta conduce nella sagrestia, costruita nel 1647 e rinnovata nel 1767. Qui si trova il mosaico di Giovanni VII (706] 707) raffigurante l'Epifania e proveniente dall'oratorio di quel papa in S. Pietro, trasferito qui nel 1639. Accanto è la cappella del coro eretta nel 1686; qui nel 1900 fu posta la Madonna Theotokos, opera trecentesca di scuola romana ridipinta più volte nel corso dei secoli. Da una scala sotto la schola cantorum si scende nella cripta, ricavata nei resti dell'Ara Maxima Herculis Victoris e riaperta nel 1717. E' un ambiente a tre navate, spartito da sei colonne romane di recupero. Costruita da Adriano I, è l'unica cripta altomedioevale di Roma non seminanulare. In fondo all'absidiola della cripta è un altare del VI secolo. Dal portico si accede al piano superiore ove è allestito un Antiquarium. Qui insieme ad altri frammenti di opere recuperate durante i restauri di fine Ottocento, si conservano frammenti dell'arredo del tempo di Adriano I e una croce di consacrazione del 1123 in mosaico cosmatesco. Da questi ambienti si può esaminare da vicino una cortina in tufelli, appartenente forse alla chiesa altomedioevale.

S. Maria della Luce (Via della Luce)
È l'antica S. Salvatore della Corte (forse da coorte, per il vicino Excubitorium della VII Coorte dei Vigili del Fuoco dell'antica Roma; ma un'altra ipotesi ] fra le tante ] piuttosto interessante vuole che il cognome della chiesa derivi dalla presenza ebraica in questa parte di Trastevere: infatti in un documento del 5 aprile 1219 la località è indicata come «contrada Corte de' Giudei»). Per tradizione si dice che la chiesa fu fondata nel sec. III da s. Bonosa, anche se le prime notizie certe risalgono al tempo di papa Giovanni XV (secolo X). Fu ampliata e restaurata nel sec. XII. Del periodo romanico rimangono il campanile (m. 18,80, con base quadrata di m. 4,60: presenta ancora 17 bacini policromi originali in ceramica islamica: erano 40 prima del restauro del 1970!), l'abside e il transetto (questi ultimi visibili da vicolo del Buco, ove si affaccia anche un altro edificio di origine medioevale). Primi pesanti interventi si ebbero già nel sec. XVII. Nel 1730 i Minimi di S. Francesco da Paola sui offrirono di ospitare una immagine miracolosa della Madonna (sec. XV), che si diceva aveva emesso della luce; con l'occasione rifecero tutta la chiesa.

Inserito Domenica 25 Maggio 2014, alle ore 16:55:12 da latheotokos
 
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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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