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  La Madonna del Divino Amore 
Storia

La storia del famoso Santuario, raccontata dalla rivista Myriam, 59 (1010), n. 1, pp. 6-14.



La storia del Santuario è davvero inconsueta. Non è legata ad una apparizione della Madonna, ma ad una antica immagine della Vergine in trono con in braccio Gesù Bambino, sovrastati entrambi dalla colomba, simbolo dello Spirito Santo (di qui il titolo di Madonna del Divino Amore). Il dipinto era posto su una delle torri di cinta di un antico castello, il castello dei Leoni (da cui la degenerazione in Castel di Leva), della famiglia dei Savelli e viene fatto risalire a un autore della scuola romana di Pietro Cavallini. In quell’epoca, un po’ tutta la campagna romana, ma in particolare quel tratto, era arida e abbandonata. Solo d’inverno vi si spingeva qualche pastore per far pascolare il gregge di pecore. In tanta desolazione, l’unico segno di vita e di conforto era appunto il dipinto della Madonna, ai piedi della quale la sera i pastori si riunivano per recitare il rosario.


IL MIRACOLO DEL 1740


È un giorno di primavera del 1740. Un viandante, probabilmente un pellegrino diretto a San Pietro, si smarrisce per quegli squallidi e deserti sentieri di campagna nei pressi di Castel di Leva, una dozzina di chilometri a sud dell’Urbe. Nell’aria si avverte intenso l’odore della camomilla e del finocchio selvatico. Ma a quel tempo l’agro romano non doveva apparire particolarmente attraente. Alla fatica del cammino e all’asprezza delle intemperie cui si era esposti, si aggiungeva il rischio di cadere vittima in qualche imboscata tesa da briganti e banditi. Avendo però scorto alcuni casali e un castello diroccato in cima ad una collina, il viandante vi si dirige di buon passo nella speranza di ottenere qualche informazione utile per rimettersi sulla giusta strada. Ma proprio mentre sta per fare ingresso nel castello viene assalito da una muta di cani rabbiosi. Le belve inferocite lo circondano e sembrano non offrirgli via di scampo. Impaurito, anzi letteralmente terrorizzato, il poveretto alza lo sguardo e si accorge che sulla torre, c’è un’immagine sacra. È la Vergine con il Bambino, sovrastata dalla colomba dello Spirito Santo, che è il Divino Amore. Come un naufrago che si aggrappa alla sua scialuppa, con tutta la forza di cui è capace, urla: «Madonna mia, grazia!». È un attimo. Le bestie, che ormai gli sono addosso, di colpo si fermano. Sembra quasi che obbediscano mansuete ad un ordine misterioso. Al richiamo di quell’urlo disperato i pastori che sono nei pressi accorrono e, dopo avere ascoltato quell’incredibile racconto, rimettono il pellegrino sulla strada per Roma. Di quell’uomo non si saprà mai il nome. Sappiamo con certezza, invece, che non stette zitto, ma raccontò per filo e per segno tutto quello che gli era accaduto a chiunque incontrasse o dovunque andasse. Tanto che quel luogo, Castel di Leva, come riportano le cronache del tempo, divenne assai famoso: «Non si distingueva più il giorno dalla notte e continuamente era un accorrere di pellegrini sempre più devoti e numerosi, che ricevevano numerose grazie».


LA PRIMA CHIESA


L’eco di quanto era accaduto e, soprattutto, il concorso di pellegrini, furono tanto vasti da spingere ben presto la gerarchia ecclesiastica a volerci vedere chiaro. Il Cardinale Vicario, il carmelitano scalzo Giovanni Antonio Guadagni, si recò in visita a Castel di Leva. Si decise così di trovare subito un tetto alla Madonna. L’immagine fu staccata dall’antica torre e trasportata nella chiesetta di Santa Maria ad Magos, a due chilometri da Castel di Leva, in località Falcognana. Il distacco dell’affresco dal muro portò a danni non più riparabili, e anzi aggravati da incauti e numerosi restauri successivi. In breve si pose mano ai lavori, per i quali si incaricò l’architetto campano Filippo Raguzzini. In poco meno di un anno la nuova chiesa, edificata sul luogo del miracolo, era pronta per ospitare l’immagine della Madonna. Il 19 aprile, lunedì di Pasqua 1745, si procedette al trasferimento. Le cronache del tempo annotano una gigantesca folla di romani e di abitanti dei Castelli, con tanto di gonfaloni e di confraternite, che fece da corona al carro che trasportò la prodigiosa effigie dalla chiesetta di Santa Maria ad Magos al Santuario appena eretto. Durante l’Anno Santo del 1750, il 31 maggio, si procedette alla solenne dedicazione della chiesa e dell’altare maggiore al Divino Amore, che è poi il titolo che meglio di ogni altro spiega chi è Maria: una ragazza che accettò di diventare Madre del Salvatore perché ripiena dello Spirito Santo, cioè del Divino Amore. La celebrazione fu presieduta dal Vescovo di Padova, il Cardinale Carlo Rezzonico, che otto anni più tardi salirà al soglio pontificio, con il nome di Clemente XIII.



PELLEGRINI E “MADONNARE”


Il Santuario divenne rapidamente il centro di una fervente pietà popolare e quindi meta di numerosi pellegrinaggi. Ma non fu facile trovare l’assistenza spirituale per un posto così isolato ed esposto continuamente alle malefatte dei banditi.. Il Santuario otterrà così il suo primo viceparroco, con l’obbligo della residenza, soltanto nel 1802. I fedeli si recavano al Divino Amore soltanto in occasione delle festività maggiori e dei grandi pellegrinaggi. A riportare l’attenzione sul Santuario furono, nel 1840, i festeggiamenti per il centenario del primo miracolo. I festeggiamenti iniziati il 7 giugno 1840, domenica di Pentecoste, si protrassero per una settimana. Alle celebrazioni, narrano le cronache del tempo, partecipò anche il re Michele di Portogallo. Lentamente al fenomeno di autentica devozione popolare, se ne sovrappose un altro: quello delle cosiddette «madonnare». Si trattava di popolane romane, per lo più erbivendole e lavandaie, che festeggiavano la loro particolare festa annuale proprio nel lunedì di Pentecoste presso i vicini Castelli Romani. Siccome la festa della Madonna del Divino Amore avveniva il giorno di Pentecoste, esse avevano di rito una sosta davanti al Santuario, dove provocavano un gran baccano, per poi ripartire all’alba del giorno successivo. A tale consuetudine si aggiunse la presenza di venditori di cibi che si sistemarono stabilmente al Divino Amore: le bancarelle di porchetta, di pecorino, di fave e di vino vennero sistemate proprio a ridosso della chiesetta. Il pellegrinaggio al Santuario di Castel di Leva diventava l’occasione, quando non il sinonimo, di gita «fuori porta». Ma la Madonna, madre misericordiosa di tutti i suoi figli, anche in quegli anni, continuò ad elargire grazie a quanti l’invocavano con fede.


QUELL’INCIDENTE…E DON UMBERTO TERENZI


Il 22 giugno del 1930 i ladri «visitarono » il Santuario, spogliando la Madonna dei monili preziosi donati in ringraziamento dai fedeli. Proprio quel furto, sebbene rimasto impunito, ebbe però il merito di risvegliare l’attenzione per l’antico Santuario. Appena informato del furto, il Cardinale Vicario decise che un sacerdote dimorasse stabilmente al Divino Amore con il titolo di rettore. La scelta cadde proprio su Don Terenzi, il quale, inizialmente, accolse l’invito con una certa titubanza. Non se la sentiva proprio, il giovane sacerdote, di stare solo laggiù in quella che era una vera e propria topaia, circondato da venditori di paccottiglie ed esposto alle sortite di ladri e malintenzionati. Don Terenzi voleva rinunciare alla missione che gli era stata affidata. Da soli quindici giorni si era stabilito al Santuario di Castel di Leva e già due volte i banditi avevano tentato di ammazzarlo. La prima notte aveva dormito circondato dai topi. «Madonna mia che paura! – ricorderà. – Avevo messo il letto su quattro mattoni per stare un po’ più sollevato, non pensando che i sorci scavalcassero pure il letto». Nel Santuario non era rimasto più niente, i ladri si erano portati via tutto, «mancava anche il purificatoio per dire Messa». È con questi sentimenti che Don Umberto si mette alla guida della sua auto, acquistata appositamente, a costo di pesanti debiti, per poter andare a fare il prete a Castel di Leva, deciso a presentare al Cardinal Vicario le sue dimissioni. Percorso appena un chilometro, svoltata la curva che chiude l’orizzonte al Santuario, l’auto però sbanda paurosamente, esce fuori strada, si capovolge. La scena è drammatica. L’automobile è ridotta ad un ammasso di ferro contorto. Don Umberto invece ne esce illeso, praticamente senza nemmeno un graffio. «È stata la Madonna a salvarmi la vita», afferma subito Don Umberto. Ma che fare nel frattempo? «Vado dal Cardinale Vicario a dire che ci vada lui con la sua macchina, perché io non ce l’avevo più ormai, o ritorno al Divino Amore?». Prima di prendere una decisione, Don Umberto prova a sentire il parere di qualche amico. Don Umberto si reca infatti da Don Orione, che ascoltatolo lo apostrofa decisamente: «Siete vivo sì? E voi vi state a domandare che cosa dovete fare. Domani mattina, subito, ritornate al Divino Amore. V’impongo che vi ritiriate al Divino Amore», dirà con la consueta schiettezza l’intrepido Don Orione. «E guai se ci pensate un’altra volta ad allontanarvi. Vi succederà sul serio il pericolo da cui la Madonna ha voluto liberarvi». Don Umberto obbedì: tornò al Santuario e mantenne l’incarico di parroco per oltre 40 anni, fino al giorno della sua morte, il 3 gennaio del 1974.


E VENNERO GLI ANNI DI PIOMBO…

A seguito dell’armistizio dell’8 settembre del 1943, con il rapido «trasferimento» a Brindisi del re Vittorio Emanuele III e del governo Badoglio, padroni della città erano i tedeschi. Come scrisse il premio Nobel Salvatore Quasimodo, si viveva «con il piede straniero sopra il cuore». I tedeschi arrestavano, torturavano, deportavano, fucilavano. E dal cielo pioveva il fuoco dei bombardamenti delle forze alleate. Nella primavera del 1944 gli abitanti della capitale sono allo stremo. I romani imparano tragicamente a convivere con bombardamenti aerei quasi quotidiani. Quello al quartiere San Lorenzo, del 19 luglio del 1943, con diverse centinaia di vittime, è soltanto il primo di numerosissimi raid aerei alleati. Il 13 agosto ne seguì un altro altrettanto devastante. E poi altri e altri ancora. Proprio in quel 13 Agosto fra le tante vittime vogliamo ricordare un eroico sacerdote, Oblato di Maria Vergine, il Servo di Dio P. Raffaele Melis, Parroco di S. Elena sulla via Casilina, falciato dal bombardamento mentre stava sui binari della ferrovia a dare soccorso ai feriti e ad amministrare la santa unzione ai moribondi. In un crescendo di violenza e di orrore si arriva alle 14.30 del 23 marzo 1944. Una strada tragicamente destinata a passare alla storia: via Rasella. Il reparto tedesco, composto da uomini non giovanissimi e per lo più impiegati nella guardia a ministeri e uffici, è diretto alla propria caserma. Segue sempre lo stesso percorso, alla stessa ora. Lungo via Rasella, quel giorno, c’è un carretto per la raccolta della spazzatura carico di esplosivo, collegato ad una miccia. Dal carretto esce un filo di fumo, ma i soldati non fanno a tempo ad accorgersene: un’esplosione violenta devasta la strada. Muoiono 33 militari e numerosi civili, tra i quali un bambino. Immediatamente scattano i rastrellamenti da parte degli uomini del generale Meltzer del comando tedesco di Roma. Da Berlino un Adolf Hitler furioso ordina la rappresaglia. È ormai il 24 marzo. Il federmaresciallo Albert Kesserling, comandante di tutte le forze armate tedesche in Italia, ordina la repressione: dieci italiani dovranno morire per ogni vittima nazista. Nel pomeriggio la polizia, agli ordini del colonnello Herbert Kappler, preleva dalle carceri 335 persone, cinque più del previsto per un errore nella compilazione della lista. Gli uomini vengono portati nelle vecchie cave di tufo che si trovano sulla via Ardeatina e qui uccise ad una ad una, con un colpo alla testa. Alla fine i nazisti cercano di far saltare in aria le volte delle gallerie nella speranza di cancellare ogni traccia. Ma le mine non esplodono. Così la strage delle Fosse Ardeatine verrà scoperta con l’ingresso degli americani a Roma.


IL PAPA PIO XII E LA MADONNA DEL DIVINO AMORE

Nella latitanza totale delle istituzioni italiane e nello smarrimento generale, la Chiesa rimane l’unico punto di riferimento. Non solo papa Pio XII, che nella coscienza popolare diventa un po’ il simbolo stesso della pace, ma le istituzioni ecclesiastiche (vicariato, parrocchie, ordini religiosi, curia) ricevono le più disparate domande di aiuto, di solidarietà. Le chiese diventano così rifugi antiaerei, i conventi e i seminari danno ospitalità a ebrei e rifugiati politici. Gli eventi coinvolgono anche la Madonna
del Divino Amore. Fu lo stesso Pio XII a sollecitarne il trasferimento. All’indomani dell’8 settembre del 1943 una bufera di ferro e di fuoco si era infatti abbattuta sul Santuario scambiato per una fortificazione. La Madonna del Divino Amore prese dunque la via di Roma, accolta trionfalmente dal popolo. Nel frattempo, Pio XII si è reso conto che gli alleati vogliono che lo scontro con i tedeschi avvenga proprio nella capitale. Con la battaglia alle porte, istintivamente il popolo guarda al Pontefice che non li ha abbandonati Pio XII comprende che occorre immediatamente affrettarsi ai ripari: ormai con le sole armi della fede. Si sta avvicinando il giorno di Pentecoste, la festa titolare del Santuario di Castel di Leva: quale momento più propizio per implorare solennemente la salvezza della città? Il 28 maggio ha così inizio l’ottavario della Pentecoste e la novena della Madonna del Divino Amore. I romani accolgono l’invito immediatamente. L’immagine della Madonna viene quindi trasferita nella più ampia chiesa di Sant’Ignazio. Il 4 giugno 1944, lo stesso giorno in cui termina l’ottavario, si decide la sorte di Roma. Tutto sembra preludere ad un’aspra battaglia «casa per casa». I tedeschi, determinati ad una forte resistenza, presidiano la città e hanno già minato i ponti del Tevere per coprirsi l’eventuale ritirata. Dall’altra parte, il generale alleato Harold George Alexander ha deciso che i suoi duemila carri armati avrebbero inseguito il nemico fino alla distruzione di Roma. Alle 18 nella chiesa gremitissima, rispondendo all’invito di Pio XII, viene letto il testo del voto dei romani alla Vergine perché alla città vengano risparmiati gli orrori della guerra. Per contro, i fedeli promettono di correggere la propria condotta morale, di rinnovare il Santuario e di realizzare un’opera di carità a Castel di Leva. Il voto viene espresso in gran fretta, per via del coprifuoco che sarebbe scattato alle 19. Quasi contemporaneamente, l’ordine di resistenza viene revocato. I tedeschi lasciano la città e le truppe alleate vi fanno il loro ingresso, alle 19.45, senza colpo ferire. Il prodigio della salvezza di Roma, tanto implorato, si è compiuto. La Vergine illuminò la mente e toccò il cuore dei belligeranti. Come «miracolosamente », le parti avverse si resero conto del danno irreparabile che sarebbe ricaduto su tutta l’umanità se Roma avesse subito gli effetti di uno scontro armato o anche di una parziale distruzione del suo patrimonio di fede e di civiltà. E il giorno seguente migliaia di romani in un moto spontaneo di riconoscenza, si ritrovarono in piazza San Pietro, per ringraziare anche Pio XII, il «defensor civitatis». Lo stesso Pio XII si recò nella chiesa di Sant’Ignazio ed elevò la sua preghiera di ringraziamento ai piedi della Madonna del Divino Amore. Attorno al Papa si strinsero, come scrisse L’Osservatore Romano, decine di migliaia di persone, di cui molte a piedi scalzi. «Noi oggi siamo qui – disse allora Pio XII – non solo per chiedere i suoi celesti favori, ma innanzitutto per ringraziarla di ciò che è accaduto, contro le umane previsioni nel supremo interesse della Città eterna e dei suoi abitanti... La nostra Madre Immacolata ancora una volta ha salvato Roma da gravissimi imminenti pericoli... ha ispirato, a chi ne aveva in mano la sorte, particolari sensi di reverenza e di moderazione». La Madonna del Divin Amore, tornata alla sua Chiesetta di Castel di Leva, restò il punto luminoso del popolo romano nel tumultuoso cammino del dopo-guerra. Nobile e plebeo, come la città alla quale è strettamente legato, il Santuario del Divino Amore è il Santuario di tutti, ma in particolare dei più semplici, degli abitanti delle grandi e desolate periferie della capitale e delle vivaci cittadine dei Castelli Romani.


IL NUOVO SANTUARIO


Rimaneva ancora in sospeso la realizzazione del voto fatto il 4 giugno 1944 da Papa Pio XII e dal popolo romano: la promessa della costruzione di un nuovo Santuario per la Madonna del Divino Amore. La progettazione del Nuovo Santuario, tuttavia, si rivelò di non facile attuazione per un suo armonioso inserimento nell’ambiente, nonostante fosse vivo il desiderio di esaudire il voto e si avvertisse la necessità di un tempio più rispondente alle esigenze pastorali. Finalmente, nell’anno mariano 1987, il Cardinal Ugo Poletti affidò l’incarico all’artista francescano P. Costantino Ruggeri che, nella costruzione di molte sue chiese insieme all’architetto Leoni, aveva dimostrato una particolare sensibilità nel rispetto e nella valorizzazione del loro habitat. Il 19 febbraio 1991 si ebbe la concessione edilizia. I lavori iniziarono con il fervore, il rigore e la tenacia che contraddistinguono le opere di P. Costantino e dell’architetto Leoni, sostenuti dall’intraprendenza e dal coraggio del Rettore del Santuario, Don Pasquale Silla, che, conquistato da quell’ardua ed esaltante impresa, vi dedicò tutto se stesso. Con la sua incrollabi1e fiducia nell’aiuto della Vergine, coinvolse nella preghiera e in lodevoli iniziative tutta la comunità del Divino Amore, che, dopo tanta attesa, finalmente vedeva realizzarsi il suo sogno. Dopo circa dieci anni di intenso e appassionato lavoro l’opera era compiuta e si giunse finalmente alla solenne cerimonia del 4 luglio 1999. Giovanni Paolo II consacrò il nuovo Santuario circondato da tutti i Vescovi del Lazio e da una imponente partecipazione di fedeli. Da quel giorno radioso, al Divino Amore è sempre costante l’affluenza dei pellegrini e la chiesa accoglie a volte anche di notte le loro preghiere e i loro voti. Il Santuario del Divino Amore oggi è una realtà completa e sempre nuova per ogni pellegrino che lo visita per la efficienza dei servizi di accoglienza come per le celebrazioni religiose. Tutto parte dalla dolce immagine della Madonna col Bambino e tutto porta ad essa per un incontro di fede e di pace con Dio e con se stessi.


IL PELLEGRINAGGIO A PIEDI


Sin dal 1740, anno del primo miracolo, i romani più devoti percorrono a piedi i quattordici chilometri che separano la città da quell’immagine miracolosa. L’appuntamento, ogni sabato sera dalla Pasqua sino alla fine di ottobre, è da decenni nello spiazzo antistante l’edificio che ospita la Fao, nei pressi delle Terme di Caracalla. Ancora oggi, dopo la mezzanotte, è facile incontrare la lunga fila di pellegrini con le torce accese che si incamminano verso Porta San Sebastiano lungo la via Appia Antica. Alternando il canto alla preghiera, alle litanie, alla recita del rosario, il corteo dei fedeli sfila dinnanzi alla chiesetta del «Quo vadis», alle catacombe, al mausoleo delle Fosse Ardeatine, in un suggestivo itinerario di fede e di memoria che si conclude, quando è ormai l’alba, al Santuario di Castel di Leva. Oltre ai pellegrinaggi del sabato ne sono previsti due straordinari: il 14 agosto, vigilia dell'Assunzione di Maria SS.ma, ed il 7 dicembre, vigilia dell'Immacolata Concezione.

Inserito Giovedi 29 Maggio 2014, alle ore 16:45:37 da latheotokos
 
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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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