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  Maria, prototipo del discepolato cristiano 
Spiritualità

Uno studio di Fracesco Asti in Mysterion. Rivista di Spiritualità e Mistica dell'Istituto di Spiritualità e Mistica della Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale, n. 1 del 2010, pp. 3-19.



Introduzione

La nostra riflessione intende indicare alcune linee fondamentali del discepolato cristiano a partire dall’esperienza della Vergine Maria. Il nostro obiettivo è quello di sondare il discepolato della Vergine al fine di crescere maggiormente nell’unione a Cristo. Per fare ciò vogliamo osservare la coscienza che la Vergine aveva della sua identità di discepola rispetto al messaggio che ha ricevuto. Scendere nelle profondità, per quanto sia possibile, della sua coscienza, facendo emergere i meccanismi spirituali che le hanno permesso di rispondere pienamente alla sua missione. Tutto ciò risulterà importante per la vita interiore del cristiano. Confronteremo tale tipo di discepolato con le riflessioni magisteriali che completeranno le nostre proposte di indagine. L’Evangelista Luca descrive, nel vangelo dell’infanzia di Gesù, la Vergine Maria come il prototipo del discepolato cristiano1. Il singolare esempio ha la capacità di unire insieme il peregrinare della fede e la presenza viva del Signore. Maria avanza nella ricerca della volontà di Dio senza mai diminuire la sua unione con Lui arricchita dai doni di grazia che risplendono lungo tutto il suo cammino storico2. È, dunque, una figura originale ed originaria che ci rimanda ad un’unità perfetta fra la storia e l’Eschaton, fra l’effimero e l’Eterno. Von Balthasar indicava questa sua originalità come il Tutto nel frammento, volendo sottolineare la singolarità della sua vita in cui si è adempiuta la volontà del Padre di salvare l’intero universo3. Maria è immagine originaria, in quanto è scelta da sempre per essere madre del salvatore, ma è anche originale, in quanto ha vissuto la sua particolarissima esperienza con la sua personalità e nel suo ambiente vitale. Nella sua persona Dio ha posto tutto il suo amore per l’umanità. Si potrebbe affermare cheMaria riassume i tratti del pio discepolo descritti nell’Antico Testamento e portati a compimento grazie alla sua esperienza di madre del Salvatore. Tale dimensione veniva ben evidenziata da Sant’Agostino che sosteneva l’importanza primaria dell’adesione di fede della Vergine al progetto di redenzione: «è cosa più grande per Maria essere stata discepola di Cristo che non essere stata madre di Cristo; è cosa più grande, è cosa più beata essere stata discepola di Cristo che non essere stata madre di Cristo. Così Maria è beata, perché ancora prima di partorire portava nel suo utero il Maestro»4. In realtà l’esperienza materna è legata intimamente al suo essere discepola di Cristo. Le due realtà non possono essere scisse o comprese in forma unilaterale. Ogni discepolo di Cristo che fa la volontà di Dio Padre è madre, sorella e fratello del Redentore (Mt 12,50). L’esperienza della Vergine diventa paradigma di coloro che vogliono aderire alla fede in Cristo Gesù. Come in ogni schema bisogna distinguere i fattori oggettivi da quelli propri della sua personalità. L’oggettività della sua sequela dipende dalla comprensione maturata della presenza di Dio in lei. Il suo discepolato, per essere modello, necessita di una profonda ricerca sul suo rapporto con Dio, di come Dio ha comunicato con la sua persona e quale coscienza aveva della presenza di Dio che la muoveva quotidianamente. Tali riflessioni ci spingono a considerare innanzitutto il legame che si è instaurata fra Dio e la sua persona.

1. Alla ricerca della propria identità storica

La Vergine Maria è descritta da Luca nel Cantico come donna consapevole del proprio passato. È, infatti, inserita fra le eroine che hanno partecipato alla realizzazione del messaggio di salvezza (Lc 1,46-55). Vi sono tratti comuni fra Maria e le donne di Israele, in quanto anch’esse aspettavano il giorno del Messia. Maria, come Debora, Ester o Anna, mostra la propria debolezza, perché si possa manifestare la potenza di Dio. Per ereditare la terra promessa si dispongono a realizzare il progetto di Dio a costo della propria vita. Queste donne incarnano gli ideali più alti del popolo di Israele; sono inviate da Dio per indicare la via sicura in tempo di incertezza o di guerra. Vi è una forte identificazione, quindi, fra la Vergine Maria ed Israele: hanno vinto Dio, lottando contro di Lui e contro gli uomini (Gen 32,28). In realtà hanno trionfato, perché si sono lasciate conquistare da Dio stesso senza porre compromessi, ma salvaguardando solo il bene del proprio paese. Ad esempio Debora vince sui nemici, perché è madre in Israele (Gdc 5,1-31). Prima ancora di essere giudice, questa donna canta la sua esperienza materna, perché grazie ad essa ha sperimentato cosa significa vivere la propria terra e guardare negli occhi dei figli il futuro di Israele. Contro gli israeliti che non l’hanno seguita loda i suoi alleati, ma ancora di più esalta il ruolo di Giaele: «Benedetta sia fra le donne Jael moglie di Heber, il Keneo! Sia benedetta fra le donne che abitano nelle tende!». È benedetta fra tutte le donne, perché non ha avuto paura, ma, forte della sua debolezza, ha sfidato il nemico di Israele abbattendolo. Pur essendo una straniera, comprese che Dio la chiamava a compiere grandi cose. Difese il Dio di Israele dinanzi agli dei immondi, uccidendo Sisara. La storia di Anna, moglie di Elkana, richiama ancora una volta la presenza provvidenziale del Dio di Israele che non lascia i suoi che sono nella prova. Anna vuole un figlio che Dio stesso gli concede per stare al suo servizio (1Sam 2,1-10). Il cantico di vittoria innalzato dalla donna non è contro i nemici del paese, ma contro coloro che reputavano un’ignominia il non avere figli. Il suo successo è dovuto solo ed esclusivamente a Dio che abbassa e innalza, fa morire e vivere, rende la sterile ricca di figli. Nella sua preghiera Anna considera l’agire di Dio in Israele che non fa conto della potenza o della ricchezza, ma della purezza di un cuore che lo invoca. La sua vergogna è stata lavata dalla potenza di Dio che opera meraviglie in chi confida in Lui. Le donne credono alla presenza di Dio che opera nella storia. Così Ester si fa portavoce della tragedia che il suo popolo vive a Susa (Est 4,1-17). È attraverso di essa che la salvezza giungerà, perché dal suo sì dipende le sorti del suo popolo. La regina Ester ascolta le parole dello zio Mardocheo: è stata scelta in previsione di questo dramma. Maria nel Magnificat ha piena coscienza della storia di Israele, esprime chiaramente le aspettative del suo popolo ed intende essere a servizio di Dio nel compiere la sua volontà. Luca mostra così che il sì di Maria è il frutto maturo di tutto il popolo; è l’espressione più bella della femminilità ebraica che nella propria debolezza riconosce l’azione salvifica di Dio. La Vergine è consapevole che il proprio rapporto con Dio non è un qualcosa che investe solo ed esclusivamente la sua persona, ma ha un risvolto nel suo contesto sociale. La sua povertà richiama tutta la sua condizione di donna che si presenta, dinanzi a Dio suo Maestro, come colei che dipende dalla sua volontà. La fragilità umana e il far parte degli indigenti sono elementi importanti della sua personalità che emergono dal suo legame con Dio. La condizione di ultima nella società dell’epoca l’associa alla moltitudine di coloro che erano emarginati e non avevano un reale potere né su di loro stessi, né sulla gestione degli affari pubblici. Tale condizione la pone in un atteggiamento empatico, favorendo il senso di solidarietà che esprime nell’aiutare la sua cugina Elisabetta. La povertà interiore non è determinata dalla situazione sociale, ma dalla sua convinta scelta di voler far parte di coloro che aspettano da Dio il nutrimento per la vita. Di conseguenza l’umiltà non è segno di incapacità umana a reagire alle situazioni della vita, ma convinta dedizione a Dio per realizzare le promesse di Israele. Maria, vivendo la storia del suo Popolo, desidera con tutte le sue forze che le promesse fatte da Dio ad Israele si compiano. Tutta la Scrittura è segnata da questo desiderio: ogni israelita, recitando i salmi, cantava ed inneggiava a Dio salvatore che libera il suo popolo dai nemici e dagli affanni del cuore. Maria, come credente, si è posta in ascolto della parola di salvezza e si lascia modellare da Dio che lei percepisce nella sua vita.

2. La viva coscienza di Israele

Il discepolato della Vergine evidenzia che il riconoscersi dinanzi a Dio quale figlia di Israele non basta; c’è bisogno di scendere nella profondità della propria coscienza, perché si possa comprendere come il vero discepolo metta in relazione ogni suo avvenimento al rapporto con il maestro. Nella visita dei pastori alla grotta di Betlemme (Lc 2,8-18) o nella presentazione di Gesù al tempio (Lc 2,22-38) Maria viene descritta come la coscienza di Israele che ha accolto la venuta del Messia. Nel primo evento i pastori sono indirizzati dall’angelo a cercare la presenza di Dio tra gli uomini. L’immagine indicata in Lc 2,12 è di una semplicità straordinaria. Il segno è un fatto storico, visibile e palpabile. I pastori sono chiamati a entrare nella profondità della comunicazione di Dio a partire dalla realtà fattuale. Non vi può essere una vera trasmissione di Dio senza coinvolgere le strutture profonde dell’uomo. I pastori hanno bisogno di passare dal dato sensibile alla realtà di Dio. Ciò è reso possibile grazie alla mediazione delle realtà terrestri in cui Dio si fa presente. L’attività simbolica dei pastori si evidenzia proprio nel passaggio dal segno al suo significato. La coscienza agisce accordando la storia del passato con i fatti recenti; approfondisce la situazione odierna rileggendola con i quelli sedimentati nel proprio interno. Ciò non significa che i pastori hanno percepito Gesù come il Messia, perché condizionati semplicemente da fattori interni quali la propria condizione sociale, la propria cultura o i sentimenti che possono scaturire da una rivelazione divina. L’oggettività della percezione nella coscienza viene chiarita con un processo che i pastori manifestano dinanzi al piccolo Gesù. La ricerca ha inizio con una coscienza desta. I pastori vegliano nella notte. L’atteggiamento descritto rimanda ad una constatazione fondamentale: la coscienza per agire deve stare in uno stato di vigilanza. Deve, in un certo senso, produrre una distanza fra gli avvenimenti e il sentire affettivo di essi. L’essere desto produce tale condizione, in quanto mostra che l’io è in uno stato di ricerca e è attento alla realtà che lo circonda. L’attività del vigilare produce un dinamismo fra la realtà dei sensi e l’attività cognitiva. La coscienza, per avere un certo grado di consapevolezza, necessità che la conoscenza unifichi i dati sensoriali con quelli elaborati dall’intelletto. I pastori vedono e conoscono che il segno indicato dall’angelo rivela la presenza del Salvatore, l’Unto del Signore. Lo sviluppo passa attraverso tre azioni: l’ascolto della voce dell’angelo, la visione del bambino e l’annuncio della venuta del Messia. I pastori sono i primi consapevolmente a propagare la buona notizia, in quanto esplicitano il significato dell’evento vissuto. La coscienza dinanzi al fatto visto ricerca il senso esatto mettendo in campo ogni elemento presente nella sua storia. In questo modo anche l’attesa del Messia si realizza alla presenza del bambino, in quanto il segno si intreccia con il passato di Israele. La fede dei pastori si esprime in maniera compiuta, in quanto ogni loro dimensione da quella sensibile a quella cognitiva si è aperta alla novità di Dio producendo un’adesione totale che è sfociata nel gioioso annuncio della venuta del Messia. Lo stupore è la manifestazione affettiva del processo di fede che ha coinvolto in profondità la vita dei pastori. La fede ha messo radici nella coscienza, là dove Dio si relaziona con la sua creatura. Nell’incontro fra Simeone e la famiglia di Giuseppe, assistiamo ad un ulteriore sviluppo della coscienza simbolica del popolo di Israele. Quest’uomo pio e timorato di Dio che attendeva la salvezza in Israele, alla vista del bambino riconosce che il tempo della visita di Dio si è compiuto. In Simeone la coscienza dell’attesa è più evidente. Mentre i pastori richiamano le speranze sopite di coloro che sono ai margini della società che conta, Simeone incarna il giusto israelita che conosce le Scritture e prega desiderando ardentemente di vedere il Messia. Luca afferma che lo Spirito Santo gli aveva preannunciato la grande gioia (Lc 2,26). Nella sua coscienza lo Spirito agisce riannodando tutta la sua vita. Ogni sua personale vicenda è in relazione alla persona del Messia. Tutto ciò che ha detto e ha fatto è vissuto in funzione del Messia. Si potrebbe dire che la sua esistenza si ricapitola nell’incontro con Gesù. La dinamicità della sua coscienza si manifesta nel rendersi disponibile all’azione dello Spirito Santo che lo muove all’incontro trasformante. In questo episodio possiamo osservare non come la coscienza simbolica agisca, ma come Dio opera dentro di essa. Lo Spirito di Dio consola e conforta, producendo nel cuore dell’anziano Simeone uno stato di pace sublime. I suoi occhi hanno visto la salvezza; hanno constatato che il Dio di Israele ha ascoltato la voce implorante del suo popolo. Lo Spirito in Simeone parla con la voce dei profeti, annunciando che la missione del piccolo divide, è segno di contraddizione. In questa profezia il ruolo della madre è unito intimamente alla missione del figlio, per cui il dolore di Gesù sarà riservato anche a lei. Lo Spirito di profezia evidenzia che la coscienza di Simeone è stata elevata dalla grazia di Dio. Tutte le sue cognizioni sono state fatte fruttificare dall’azione dello Spirito che lo ha illuminato nel proferire una parola chiarificatrice sul destino di Gesù. Anche Anna, che è considerata una profetessa, è spinta a parlare di Gesù. La profezia diventa lode e ringraziamento perché il Signore ha compiuto grandi prodigi. I pastori e gli anziani nel tempio rappresentano, quindi, la viva coscienza di Israele che è insonne, perché desidera riconoscere il tempo della visita di Dio. Sono discepoli di Dio che si sono resi disponibili alla sua azione salvifica.

3. La coscienza simbolico-mistica della Vergine Maria

Maria nell’incontrare i Pastori e gli anziani del tempio percepisce che il Dio di Israele ha parlato anche a loro e che li ha fatto partecipi della rivelazione. Il processo di coscientizzazione dei pastori e degli anziani Simeone ed Anna presentano elementi comuni con l’esperienza che Maria sta vivendo. Tutti avvertono di essere protagonisti della storia di salvezza, di essere soggetti di predilezione da parte di Dio e di vivere tale esperienza non solo a livello sensibile, ma nella profondità della propria coscienza5. Tali fattori indicano che il processo di coscientizzazione della Vergine è fondamentale per il suo discepolato, anzi mostrano la costituzione della sua umanità. Dio per comunicare con Maria ha bisogno di visitare ogni sua dimensione ed ogni sua capacità deve corrispondere a pieno alla volontà di Dio. In questo modo realmente la Vergine diventa paradigma per tutto Israele. Diventa la vera coscienza del popolo che attende senza sosta la venuta del redentore. Infatti l’Evangelista Luca sintetizza il processo simbolico della Vergine in un’espressione quanto mai appropriata ed indicativa delle diverse istanze proposte (Lc 2,19). La Vergine Maria dinanzi agli eventi che vive insieme a Gesù nutre un atteggiamento di profonda ricerca interiore per far emergere sempre e comunque la sua adesione al progetto di Dio. Osserva con attenzione i fatti nella loro realtà oggettiva scevri da qualsiasi influenza soggettiva. Percepisce l’accadimento nella sua realtà nuda e cruda: ad esempio i pastori che la visitano. È fondamentale l’osservazione di ciò che vive, in quanto mostra un legame con la realtà caratterizzato da una forte e matura personalità umana. La coscienza, a questo livello, implica una conoscenza di sé in relazione al mondo, agli altri e a Dio. La Vergine non può costruirsi una propria personalità se non è in una rete di legami che fanno accrescere la sua consapevolezza e la sua conoscenza. In questo intreccio di relazione percepisce Dio quale presenza significativa per la sua crescita umana e spirituale. Nell’umanità tale livello individua le relazioni familiari: il rapporto genitori o gruppo familiare. Il bambino si relaziona al mondo attraverso la conoscenza degli oggetti e delle persone che entrano nel suo circuito conoscitivo. Il primo livello di coscienza possiamo ben definirlo come fenomenico, in quanto la Vergine coglie dal mondo tutti gli elementi necessari per un secondo stadio quello psicologico costituito dai giudizi primari, da quelli estetici. Per il noto studioso J. Chalmers questa fase implica una consapevolezza del proprio io che si pone in un atteggiamento di discernimento6. Maria individua nei fatti i valori per cui ha sempre vissuto; cerca di far emergere ciò che proprio della sua fede di Israelita. In questo stadio la sua formazione è importante, perché si possa passare da una interiorizzazione degli accadimenti ad una azione nella prassi. Il giudizio risulta necessario per formulare una visione personale del mondo che non è indice di un puro soggettivismo, bensì di una capacità di osservarlo nella sua oggettività. La sua adesione a Dio percepito come familiare si accresce di una nuova sfumatura data dalla capacità di offrire un proprio punto di vista in cui il suo rapporto con Dio diventa il metro di misura delle sue azioni e del suo giudizio sul mondo e sugli altri. Ed è proprio tale relazione che è indicativa di un’altra dimensione della coscienza che potremmo chiamare simbolica, in quanto fa da tramite dalla realtà effettuale a quella della presenza di Dio. Si potrebbe anche chiamare tale sfumatura coscienziale mistica, volendo indicare il mistero che si compie in lei. L’Evangelista Luca, infatti, individua tale processo interiore della Vergine quando afferma che serbava tutto nel suo cuore. Ciò ci spinge ulteriormente a chiarire il valore della coscienza simbolica. Maria non conservava gelosamente i fatti che accadevano a Gesù, ma li raccordava insieme volendo conoscere di più il mistero del Messia. La sua attività interiore consisteva nel confrontare la sua vita con quella che si stava sviluppando del Figlio di Dio. Leggeva i suoi fatti alla luce del Messia che era giunto. Come i pastori o Simeone, percepisce che è stata visitata da Dio e che la sua esperienza non può essere compresa se non alla luce del messaggio rivelato. Tale livello di coscienza ha bisogno evidentemente di tutti gli elementi della coscienza fenomenica come di quella simbolica per formulare un giudizio comprensivo ed oggettivo dell’accadimento. La coscienza simbolica ha la fondamentale funzione ermeneutica, in quanto interpreta il vissuto in relazione a Dio. Ecco, perché si potrebbe definirla mistica, in quanto la Vergine partecipa con un alto grado di consapevolezza alla rivelazione di Dio. Anzi Dio stesso la immette nel circuito della sua familiarità facendole percepire che è parte integrante dell’economia della salvezza. La coscienza simbolico-mistica evidenzia il rapporto stabile e continuo di Dio nella sua esistenza non solo a livello di profonda conoscenza e consapevolezza, ma nelle scelte quotidiane. Infatti il percepirsi parte del mistero di Dio implica un’attenzione particolare al gusto estetico. La sua esperienza si esprime nel cantico quale figlia di Sion che canta la potenza e la magnificenza di Dio. La finezza spirituale è frutto di un rapporto profondo con Dio che si manifesta nella produzione artistica e letteraria. Ciò è particolarmente vero per i contemplativi cristiani che hanno espresso la loro esperienza con opere d’arti. La loro coscienza visitata da Dio li ha spinti ad esprimere tale incontro con una sorprendete produzione da cui si può facilmente notare il grado della loro intimità con Dio. La coscienza simbolico-mistica si esplicita nella ideazione di simboli che richiamano la complessità del legame con Dio. Luca indica che l’attività di coscienza della Vergine si presenta come un armonioso equilibrio fra la capacità intellettiva e quella affettiva, in quanto ciò che aveva pensato non è slegato da ciò che sente nel profondo del cuore. Per gli ebrei il cuore è la sede delle passioni e dei pensieri più elevati. Il raccordo fra il raziocinio e l’affettività avviene proprio in questa sede, in cui l’uomo decide per Dio contro Dio. Discerne proprio nella profondità del cuore che non è solo l’immagine plastica della coscienza, ma è anche “luogo” dell’incontro con Dio. La scelta per Lui è frutto di un continuo allontanamento dal male. Nel cuore la Vergine prende coscienza del male e di ciò che la potrebbe allontanare da Dio. La sua lotta per la vita eterna avviene nel segreto del suo cuore dove il sentimento dell’amore è unito alla conoscenza profonda del mistero di Dio contemplato nel volto del Figlio. La coscienza simbolico-mistica che fa da limite al mondo dell’Infinito manifesta il grande valore del sentimento che muove la volontà a ricercare il Sommo Bene. Se da un lato la Vergine percepisce la deriva del male, dall’altro si schiera per raggiungere sempre il bene. Il cuore di Maria rappresenta la sua capacità di amare e di fare il bene nella piena comunione con Dio. Nel relazionarsi a Lui il bene che compie è frutto della perfetta integrazione fra l’umanità e la grazia divina. Secondo il benedettino L. Blois la Vergine «si raccoglieva con tutte le sue forze nel centro interiore, dove sta nascosta l’immagine divina, e lì, nel tempio della sua anima, dimorava; e forzava e pungolava verso di Lui tutte le sue forze e lì adorava il suo unico Dio in spirito e verità»7. Nel suo cuore abitava stabilmente la Santissima Trinità. Ciò non significa che la sua personalità era annichilita dalla presenza divina, anzi ogni sua dimensione era portata a perfezione, in quanto Dio elevava la sua umanità, perché potesse essere immagine somigliantissima del Figlio Unigenito. Il benedettino utilizza un’espressione interessante per quanto riguarda la coscienza simbolico-mistica della Vergine. Innanzitutto orientava tutte le sue energie verso Dio. Ciò è frutto di un allenamento nell’ascoltare, nel contemplare e nell’agire. Il vero discepolo di Gesù ascolta la sua parola e la mette in pratica. Contempla nel suo volto quello del Padre per essere in comunione con la santissima Trinità. Tale processo spirituale avviene nella misura in cui la coscienza è desta ed è accogliente. In Maria tali fattori sono presenti e introducono ad un ulteriore passaggio nella coscienza simbolico-mistica: la semplicità. Tale virtù è essenziale, in quanto mostra che tutte le dimensioni proposte della coscienza della Vergine hanno un centro unico attorno a cui si unificano, la Trinità. In una profonda pagina la von Speyr individua questa caratteristica nella Vergine ed ne indica il suo valore: «l’animo della Madre è assolutamente semplice. Tutti gli interrogativi e tutte le risposte vengono a convergere. La sua natura non è scomponibile. Il suo animo risulta però semplice non intrinsecamente, ma per la vicinanza di Dio che le consente di donarsi in modo tale che tutto quello che risulti equivoco e incomprensibile viene a gravare su Dio stesso. Dio le sta così vicino che è lui stesso a portare con sé una risposta semplice per tutte le domande; spiana e risolve tutto quanto può apparire intricato, dispone tutte le circostanze della vita in modo così ampio e manifesto che rimane sì un mistero, ma non un enigma angoscioso»8. La sua coscienza non è scomponibile; è tutt’uno con Dio senza però confusione di personalità e senza mescolanza, nel pieno rispetto della natura umana e della presenza divina in lei. Per la contemplativa la vicinanza di Dio produce in lei una trasformazione tale che il suo cuore è solo per Dio. Ciò implica una semplicità di fondo dovuto all’agire di Dio che la conduce ad una nuova conoscenza del mondo e degli altri. Non è un automa, ma è il mistero di chi, affascinato da Dio, vive in pienezza ogni attimo della sua vita.

4. Un’immagine al negativo di coscienza simbolico-mistica

 L’esperienza di Zaccaria rappresenta una coscienza non allenata e non in uno stato di vigilanza nell’attesa del Messia (Lc 1,5-23; 59-79). La sua condizione manifesta i problemi che incorre un discepolo quando non accresce la propria fede. Zaccaria, per quanto officiasse il rito dell’incenso e fosse irreprensibile nel rispettare le leggi e le prescrizioni, si turba alla vista dell’angelo e non accoglie la parola divina. Chiede in che modo possa avvenire che due anziani godano della gioia di un figlio, per cui dubita dell’annuncio ricevuto. Il rispetto della legge prepara il cuore del discepolo alla venuta del Messia, ma non è indice di una coscienza allenata a riconoscere i segni della presenza di Dio. Zaccaria pone una barriera fra la sua coscienza e la voce dell’angelo costituita dal dubbio che non fa accrescere il desiderio di ricercare la volontà di Dio nella sua vita, ma aumenta la sua incertezza nella fede, in quanto non riconosce il tempo della visita del Signore. Il discepolo che si è incamminato nella conoscenza profonda degli insegnamenti del suo maestro pone essenzialmente un atto di fiducia nei riguardi di chi lo guida. Quando ciò non accade, il risultato è una continua resistenza alle parole o agli insegnamenti del maestro. Zaccaria sfiducia Dio, per cui gli è impossibile credere alla sua potenza che opera meraviglie nei deboli e negli ultimi. Lo stato interiore è, quindi, caratterizzato da timore e dall’incertezza per il futuro. Viceversa la descrizione dell’angelo del futuro Giovanni Battista mostra un uomo di grande personalità paragonabile ad Elia che ricongiunge i cuori dei padri verso i figli. Dominerà la sua volontà con un rigido esercizio ascetico ed indicherà la venuta del Messia. L’atteggiamento disfattista di Zaccaria non consente che Dio venga ad abitare nella sua coscienza, per cui resta fermo nelle sue convinzioni. Tale comportamento non aiuta il progresso interiore del discepolo e non lo sprona ad un cambiamento di mentalità. Zaccaria ha bisogno, quindi, di tempo per riflettere sul suo atteggiamento negativo che mina alla base il rapporto con Dio. La sua condizione di sfiduciato viene descritta da Luca con due fenomeni fisici, ma che rimandano alle peculiarità dell’essere discepolo di Cristo. Per essere un autentico discepolo, bisogna saper ascoltare e discutere per migliorare la propria condizione umana. Zaccaria, invece, non può ascoltare né parlare, in quanto vive la non autenticità del suo essere discepolo di Dio. Infatti resta sordo, per cui i presenti si rivolgono a lui gesticolando. Il discepolo non giunge alla verità resta fermo ai segni che formalizzano la sua comprensione superficiale del mondo, degli altri e di Dio. La fede, quindi, non conduce ad una loro decodificazione; non introduce il credente ad un livello superiore della conoscenza in cui vi è un approfondimento del proprio rapporto con Dio. Zaccaria si accorge degli altri solo per i movimenti dei gesti, vivendo una dimensione solipsistica dell’esistenza. La coscienza fenomenica è minata fortemente, in quanto la realtà accolta è deformata dalla sua incapacità a relazionarsi esattamente con il mondo e con gli altri. Da tale difficoltà originaria scaturisce anche un’errata capacità di giudizio, per cui il discepolo non è corretto nel discernere il bene dal male. Quando la realtà percepita non è confrontata con gli altri, il giudizio è parziale e non corrisponde alla verità dei fatti. In questo caso aumenta il divario fra il discepolo e il mondo causando un atteggiamento negativo nei riguardi delle relazioni umane. La coscienza psicologica non si spinge ad un miglioramento dei rapporti con gli altri, per cui anche le regole sono vissute come ingranaggio di una routine o all’opposto sono rispettate mostrando comunque un senso forte di acredine contro tutto e tutti. La coscienza simbolico-mistica si riduce a ritualismo e non si ricerca di migliorare il proprio rapporto con Dio. Zaccaria vive tale difficoltà, per cui anche la sua sfera affettiva sembra imbrigliata nella morsa della paura e della mancanza di fede. L’Evangelista Luca, ancora una volta, tenta di analizzare lo stato d’animo del discepolo, quando osserva la qualità del sentimento dinanzi alla morte di Gesù Cristo. I discepoli di Emmaus avevano il cuore indurito e non avevano percepito la presenza del Signore (Lc 24,13-35). Il segno dello spezzare la parola e il pane produce nel loro cuore un riaffiorare di sensazioni e sentimenti che provavano solo alla presenza di Gesù. In un certo senso Zaccaria ha il cuore indurito, in quanto non riesce a coniugare la sua vita di fede con il suo mondo affettivo. È troppo stanco ed invecchiato nei sentimenti, per cui tarda a riconoscere il segno della presenza di Dio. Infatti come i discepoli di Emmaus, il sacerdote Zaccaria vede, ma non contempla. Osserva la visione, ma non entra nella dinamica della relazione con Dio. È solo spettatore di un qualcosa di straordinario, ma non ne partecipa. Il guardare di Zaccaria senza stupore è la chiara manifestazione della sua sclerocardia. Non aspetta più nulla dalla vita, per cui non si entusiasma alla vista dell’angelo, né vuole coinvolgersi in un rapporto più esigente con Dio. Il discepolo non autentico è incapace a parlare, in quanto l’annuncio delle meraviglie di Dio proviene da un profondo ascolto della sua parola. Zaccaria non ascolta, guarda ma non contempla, non parla: infatti siamo agli antipodi del discepolato che l’Evangelista Luca delinea. Solo quando riconosce la presenza di Dio nella sua coscienza, allora potrà nuovamente relazionarsi al mondo e agli altri correttamente. Il suo canto di lode è l’espressione più adeguata della sua nuova condizione di credente. Ascolta la voce dei profeti, riconoscendo nell’annuncio ricevuto la presenza di Dio che ha soccorso Israele. Profetizza sulla venuta prossima del Messia che nascerà dalla viscere di misericordia di Dio stesso. Nel cantico di Zaccaria vi è la conversione del cuore, caratteristica principale di chi si pone a servizio di Dio. Non è il rito a delineare la sua adesione a Dio, ma il suo slancio affettivo che lo conduce ad un rapporto interpersonale. Zaccaria non è una voce stonata nel coro di coloro che aspettano il Messia; né si può definire come l’opposizione simbolica del discepolato mariana, ma è fondamentalmente un discepolo che prova le difficoltà del cammino da compiere. La sua fede vacilla; la sua comprensione delle Scritture è troppo asettica; non è più capace di manifestare il suo desiderio di ricercare Dio. Tali difficoltà rallentano il processo di consapevolezza della presenza del Signore nella vita del discepolo fino ad abbassare lo spessore della vita interiore. Riacquistare nuovamente lo slancio nella fede è possibile solo se la coscienza si desta sotto le sollecitazioni dello Spirito di verità.

5. La capacità interpretativa della coscienza simbolico-mistica

Il discepolo ha un rapporto privilegiato con la parola di Dio, anzi ne è in stretta simbiosi, per cui volendo definire il discepolo dobbiamo necessariamente osservare che la parola di Dio forma, istruisce, educa nella giustizia e corregge (2Tm 3,16). Il popolo di Israele era dedito all’ascolto dei testi sacri, per cui il suo riferimento costante nell’agire morale era la conoscenza esatta delle scritture. Un valore essenziale era dato all’interpretazione tanto da formare scuole di pensiero che divergevano spesso su questioni importanti della fede o dell’osservanza dei precetti. Anche la lettura comunitaria dei testi fatti nelle liturgie diventava una fonte essenziale per la vita del popolo di Israele. Non vi era solo la conoscenza tecnica del testo o la sua applicazione nei casi della vita, ma la lettura sacra nutriva il cuore del popolo specialmente nelle celebrazioni ordinarie o straordinarie. Ad esempio Neemia racconta le sensazioni che provano gli Israeliti all’ascoltare la parola di Dio dopo la ricostruzione di Gerusalemme e del tempio (Ne 8,1- 18). Gli ebrei avvertirono di essere un solo popolo quando iniziarono ad ascoltare le letture sacre. Si alzarono in piedi come se stessero dinanzi a Dio che stava parlando e scoppiarono in pianto. Tali sentimenti pervadevano il cuore di chi ascoltava la lettura santa. In un clima così fortemente influenzato dalla presenza del Libro sacro, tutti i membri della società erano coinvolti e non erano escluse le donne che partecipavano, secondo le norme, alle assemblee. La Vergine Maria, come le altre della sua epoca, viveva la liturgia ebraica, per cui aveva una conoscenza basilare delle scritture. Il suo rapporto con esse rispecchiava il suo appartenere al popolo di Israele. Vi è un legame intimo e profondo, perché è Dio che comunica la sua volontà attraverso le scritture. La vita della Vergine è regolata da essa ed è in conformità con le leggi ebraiche, per cui la sua coscienza è nutrita dall’ascolto e dalla messa in pratica delle Scritture. Entra nel segreto del suo cuore per scrutare la parola di Dio e per dare una risposta vitale a ciò che ha ascoltato. Luca delinea con finezza spirituale il dialogo che avviene fra la Vergine Maria e la parola di Dio portata dall’angelo (Lc 1,26-37). Il primo atteggiamento della discepola è la disponibilità ad accogliere la presenza di Dio nella propria vita. L’angelo entra da lei, avendo la strada aperta. Non vi sono ostacoli posti dall’egoismo umano o da circostanze esteriori come possono essere una cultura contraria alla fede o l’influenza di esempi deteriori in campo morale. La sua condizione è quella di essere povera, cioè capace di relazionarsi senza pregiudizi. La povertà è la caratteristica principale per iniziare un processo di interiorizzazione. Infatti tale stato aiuta il discepolo a chiarire il suo rapporto con il mondo, con gli altri e con Dio. Non vi è la pretesa di assolutizzare la propria persona, ma di auto-comprendersi in relazione a ciò che si vive. La povertà della Vergine è la chiave di volta per realizzare il suo incontro con Dio; è quello stato di vita che facilita l’apertura della propria coscienza all’azione dello Spirito Santo. Non è, quindi, problema di sapere se effettivamente fosse di condizione disagiata, per comprendere che Dio opera in lei, perché fa esperienza della sua radicale disponibilità. Il processo di interiorizzazione della parola ascoltata inizia con un atteggiamento di pura accoglienza e di commossa partecipazione all’evento che si sta svolgendo. Infatti nel suo essere disponibile possiamo notare il desiderio della Vergine di aderire all’incontro con Dio. L’intervento di Maria è richiesto, perché si possa compiere il volere di Dio. Nel saluto dell’angelo si esplicita la realtà interiore della giovane: «il Signore è con te». Nella sua esistenza Dio ha un posto centrale. Ciò è dovuto non solo dalla condiscendenza di Dio nei suoi riguardi, ma anche dalla sua volontà di essere dinanzi a Dio sempre. In quelle parole si evince un rapporto già esistente che si è andato maturando nel corso degli anni. È l’esplicitazione del suo amore per Dio che ha percepito nelle diverse circostanze della sua vita. Inizia così a prendere coscienza che la parola del Signore ascoltata durante la sua giovinezza la conduceva ad una nuova comprensione di se stessa, di Dio e degli altri. Il suo guardare con attenzione alla vita trascorsa e al suo presente la spinge a confrontarsi con la parola ricevuta (Lc 1,29). L’espressione usata dall’Evangelista Luca ci introduce nello sviluppo dell’ascolto. L’interiorizzazione, per essere tale, ha bisogno di una coscienza recettiva e critica. Ciò significa che nel dialogo con Dio la Vergine mette in azione tutte le sue facoltà: memoria, intelletto e volontà. Il turbamento iniziale non è paragonabile allo stato interiore provato da Zaccaria, bensì dinanzi alle parole ascoltate si pone in un atteggiamento umile, perché la grandezza della rivelazione supera la piccolezza della creatura. Potremmo ravvisare nel suo turbamento lo stupore di chi si sente chiamato ad una grande avventura senza proprio merito. Infatti tale stato interiore non frena l’angelo che continua ad esplicitare la sua missione e non annulla la sua capacità critica, anzi si pone a ricercare il senso di ciò che ha ascoltato. La coscienza simbolico-mistica inizia la sua attività interpretativa. La Vergine si pone in un atteggiamento di ricerca oggettiva della volontà di Dio nella sua vita. Le parole non sono segni senza significato, ma richiamano la realtà dei fatti, le circostanze in cui si sviluppa un discorso. Vi è una vera e propria analisi dell’enunciato. La ricerca del senso è fondamentale, perché l’interiorizzazione sia fruttuosa. Maria ha bisogno di strumenti interpretativi per comprendere ciò che sta accadendo. In effetti il ricorso alla storia della salvezza è centrale per comprendere le parole dell’angelo: tutta la scrittura indica la venuta del Messia. Ha bisogno di rileggere la sua esistenza sotto un ottica che prima di allora non aveva intuito. Deve considerare le relazioni familiari e sociali. In un certo senso si proietta nel futuro per comprendere se ciò sia effettivamente la volontà di Dio su di lei. Il senso da ricercare mostra la stretta relazione fra la vita del discepolo e la parola di Dio. Ciò comprende un diverso modo di approcciare la realtà e di orientarsi nelle scelte vitali. L’interpretazione svolta non ricercava solo il significato delle parole, ma la loro attuazione nel concreto della sua esistenza. Il significato ha un alto spessore vitale senza di questo la parola sarebbe sterile. Mentre ciò che Dio dice è fatto, la parola umana necessita di vari livelli e circostanze favorevoli per attuarsi. Maria riflette sulla parola udita, perché questa possa aiutarla a pronunciare il suo sì. La Vergine continua ad ascoltare, perché pensa realmente che la parola ricevuta sia divina e che la sua personale condizione umana non è di ostacolo all’azione di Dio. Anche la domanda sul suo stato fisico e sociale è indice di comprensione maggiore dell’iniziativa di Dio. Il suo sì è pieno e sincero, perché ogni parola ascoltata è discesa nelle profondità della sua coscienza dove hanno trovato senso e significato. Significativa l’intuizione di di Deutz che, commentando il Cantico dei cantici, così afferma: «custodivi il segreto di Dio che ti era stato affidato»9. La sua coscienza ha interiorizzato il messaggio di salvezza disponendosi a realizzare il progetto di Dio. Si lascia agire dallo Spirito santo per essere una discepola degna del suo Figlio Gesù. Anche Giuseppe, suo promesso sposo, presenta un ben articolato processo di interiorizzazione per accogliere il Messia (Mt 1,18-25). L’Evangelista Matteo descrive Giuseppe riconducendo la sua persona ai grandi Patriarchi e Profeti di Israele. È un uomo pio e timorato di Dio che attende la salvezza di Israele. Come i Patriarchi e i Profeti riceve la parola di Dio in sogno. Tale esperienza richiama la storia di Giuseppe e di Daniele nell’Antico Testamento che sono mossi dallo Spirito di Dio a interpretare i sogni per il bene di tutto il popolo. Il primo viene considerato dai suoi fratelli in forma dispregiativa un sognatore che ha la pretesa, per la sua intelligenza e per la sua capacità interpretativa, di soggiogare gli altri (Gen 37,19). Durante gli anni di schiavitù riflette sulla sua condizione e sulla meschinità dei suoi fratelli che lo hanno venduto per poche monete. Il suo stato interiore non è occupato dall’assillo della vendetta, ma da un’altra realtà: Dio lo ha sostenuto e lo ha incoraggiato durante il suo peregrinare perché potesse essere di aiuta alla sua gente in tempo di carestia (Gen 45,1-7). Dio ha conservato la vita dei suoi fratelli grazie ai suoi sogni e alla sua capacità di interpretarli. Anche Daniele, in tempo di esilio, ha questo dono divino: sognare Dio e decifrare i suoi voleri. La sua vocazione è intendere ogni tipo di visione, perché possa essere svelato il cuore di chi ama Dio (Dn 1,17). Entrambi sono accomunati dal fatto che le loro interpretazioni sono a vantaggio del popolo. I sogni di Giuseppe, lo sposo di Maria, sono rivelativi dell’azione di Dio che intende comunicare la venuta del suo Messia. Hanno certamente una valenza sociale e religiosa, perché il bambino che nascerà salverà il suo popolo dai peccati. L’accoglienza della Vergine Maria è segno della sua disponibilità a partecipare al mistero della redenzione. In questo modo anche Giuseppe percepisce di essere stato scelto, perché si potessero realizzare le promesse che Dio aveva fatto ad Israele. Il sogno, di conseguenza, non è il frutto di un’elaborazione dell’inconscio, bensì è il prodotto di una chiara e distinta relazione fra Dio e Giuseppe. Ciò avviene nei meandri della psiche umana, per cui l’oggettività di tale annuncio consiste proprio nel dialogo di relazione che si compie fra i due. Giuseppe avverte che il suo sogno riguarda essenzialmente la sua fede nel Dio di Israele. Il suo “pensare con il cuore” è indice che l’evento non è un affare solo dell’intelletto, ma è una questione affettiva: il Dio che viene richiede una totale dedizione. Il processo di adesione è costante ed è accompagnato dalla presenza di Dio che lo aiuta alla comprensione dei fatti che accadranno. Giuseppe non è lontano dalla realtà, ma mostra come ogni avvenimento sia vissuto con una forte consapevolezza del suo ruolo messianico. Salvaguardare la vita di Gesù e proteggere l’integrità della Vergine sono i motivi fondamentali che lo conducono a superare le avversità della vita. La sua coscienza e altamente unificata, perché opera Dio che con l’azione del suo Spirito dispiega la sua definitiva rivelazione.

6. Maria nella vita del discepolo di Cristo secondo il Concilio Vaticano II

 I Padri conciliari delineano la persona e la funzione della Vergine Madre nel mistero di Cristo e della Chiesa, offrendo nuovi e importanti spunti di riflessioni sulla sua azione nella vita secondo lo Spirito. Innanzitutto sottolineano con chiarezza che la sua funzione materna non oscura o indebolisce l’unica ed efficace mediazione di Cristo, «poiché ogni salutare influsso della Beata Vergine verso gli uomini non nasce da vera necessità, ma dal beneplacito di Dio, e sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo» (LG 60). Tale indicazione conciliare afferma che vi è una influenza (influxus) della Vergine nei credenti e che questa relazione proviene solo ed esclusivamente dal volere di Dio che la offre come modello di virtù. Tale influsso è dipendente dal sacrificio di Cristo, per cui la presenza di Maria nella vita mistica è voluto dal Figlio che l’ha unita a sé nel progetto salvifico. L’efficacia, poi, di questo influsso si manifesta nel favorire maggiormente l’unione a Cristo senza che la Vergine agisca indipendentemente dal volere di Dio. In questo modo si afferma che la Madre di Dio è una perfetta discepola del Figlio che indica a chi procede nel cammino spirituale l’esatta via da seguire. L’unione al mistero trinitario di Maria costituisce l’origine del suo soccorrere i credenti che sono nella prova. L’influsso mariano è frutto di una perfetta cooperazione fra la volontà libera della Vergine e lo Spirito Santo nel restaurare la vita divina del credente. «Col concepire Cristo, generarlo, nutrirlo, presentarlo al Padre nel tempio, soffrire con Figlio suo morente sulla croce, ella ha cooperato in modo tutto speciale all’opera del Salvatore, con l’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo è stata per noi la madre nell’ordine della grazia»10. La presenza della Vergine nell’esperienza spirituale ha la funzione essenziale di far accrescere l’organismo soprannaturale. Il restaurare tale realtà richiama non solo il superamento del peccato da parte del credente, ma lo sviluppo della grazia santificante. Il Concilio, recuperando il significato di restaurare, vuole indicare che attraverso la sua persona Dio raggiunge ogni uomo per realizzare ciò che ha compiuto nel cuore della stessa Vergine. Lo sviluppo della vita soprannaturale del credente è legato alla Vergine non per sua virtù, ma per la volontà del Padre che l’ha scelta Madre del suo Figlio. In questo senso la sua funzione materna si esplicata nel generare e nutrire la vita divina nel credente. La maternità nell’ordine della grazia rimanda a quella nella carne vissuta in piena comunione con tutta quanta la Divinità nell’esercizio continuo delle virtù e dei doni dello Spirito Santo. La sua funzione materna consiste nell’alimentare il credente con la grazia scaturente dalla Santissima Trinità. In questo modo trasmette ciò che ha ricevuto in maniera perfetta senza imporre la sua volontà, ma servendo Dio nei cuore dei credenti. Il suo generare figli a Dio nella pienezza della grazia è immagine non solo della Chiesa pellegrina nella storia, ma è icona della Gerusalemme celeste che accoglie fra le sue mura i giusti provati nel tempo. Le riflessioni mariane del Concilio sono sviluppate dal magistero di papa Paolo VI, di venerata memoria, in diverse suoi documenti. Gli studi sulla Vergine Maria hanno avuto un notevole sviluppo grazie ai suoi interventi pontifici11. L’esortazione apostolica, Signum Magnum, scritta nel 1967 richiama alla mente i giorni in cui la Vergine Maria fu proclamata madre spirituale della Chiesa. Il Papa con accenti lirici descrive l’assise che esultò a tale dichiarazione come accadde ad Efeso nel pronunciare il titolo di Genitrice di Dio. L’intento del documento è esplicitare la funzione della Madre di Dio nei riguardi del credente al fine di rinnovare la sua vita cristiana12. Ciò può avvenire, perché la discepola perfetta di Cristo continua la sua attività di cooperatrice al disegno di salvezza di Dio: «continua adesso dal cielo a compiere la sua funzione materna di cooperatrice alla nascita e allo sviluppo della vita divina nelle singole anime degli uomini redenti»13. La collaborazione consiste essenzialmente nella sua intercessione presso Dio senza oscurare l’unica preghiera incessante che Gesù sacerdote eterno eleva per la salvezza del mondo al Padre. Ella è, anzi, unita al Figlio nell’offerta delle preghiere, non dimenticando i suoi figli che avanzano nella peregrinazione della fede. La condizione del credente è condivisa dalla Madre che ha sperimentato la fatica del credere senza mai distogliere il suo sguardo dal volto di Cristo. Il patrocinio presso il Figlio evidenzia il suo ruolo di aiuto nella crescita della vita divina nel credente. Infatti il Papa, riprendendo le parole del Concilio, individuo il suo influsso nella vita secondo lo Spirito: la sua esemplarità14. L’imitazione delle virtù possedute dalla Vergine favorisce la crescita della vita spirituale in vista del possesso del regno senza distrarre dalla sequela di Cristo15. La vera discepola indirizza al Maestro non fa fermare il credente alla sua persona. Le riflessioni sulla funzione della Vergine nella vita mistica sono esplicitate nell’esortazione apostolica Marialis Cultus. Paolo VI osserva come le due forme di maternità, quella della Vergine e della Chiesa non sono oppositive sul piano generativo e formativo dei credenti, in quanto entrambe concorrono a generare l’unico Corpo mistico di Cristo. La formazione spirituale del fedele dipende dalla sinergia di entrambe che sono sollecite a servire Cristo nei poveri e negli ultimi. L’ansia materna della Chiesa si rispecchia nella cooperazione di Maria che favorisce la vita di grazia nel cuore del discepolo di Gesù. Anche la Chiesa aiuta i suoi figli prolungando la sollecitudine della Vergine Maria nel tempo e nello spazio16. Il Papa osserva che per una corretta impostazione del culto alla Vergine c’è bisogno di approfondire la prospettiva biblica, liturgica, ecumenica ed antropologica senza dimentica che il popolo di Dio ha sempre cercato di imitare le virtù della Vergine17. L’imitazione deve essere intesa nel rispetto della sua appartenenza a Cristo e alla Chiesa. Ciò significa che gli studi di mariologia devono condurre ad una approfondimento della vita secondo lo Spirito con Maria. I teologi hanno il compito di alimentare la dimensione mariana della fede nella ricerca della verità per aumentare la santità del singolo come della comunità. Infatti la sua santità esemplare aiuta il credente a progredire nella via della perfezione in maniera più spedita18. L’acquisizione delle virtù mariane renderà il credente più matura sul piano umano e spirituale. La lettera enciclica, Redemptoris Mater, del servo di Dio il papa Giovanni Paolo II determina l’orizzonte teologico-spirituale in cui la Vergine Maria non solo manifesta il ruolo di madre, ma specifica il suo essere discepola del Figlio Gesù. La maternità si specifica nella funzione non solo di generare, ma di nutrire e di educare il piccolo Gesù19. In questa realtà si comprende l’espressione di Gesù che indica che tutti coloro che faranno la volontà di Dio sono suoi familiari. Chi genera nella fede, aiuta il generato nel crescere e nel formarsi uomo maturo. La Vergine Maria assume tale caratteristica nei riguardi di tutti i credenti. Infatti il Papa, recependo la riflessione conciliare, determina la maternità messianica nella prospettiva della mediazione20. In questo modo le espressioni dell’enciclica si condensano attorno al ruolo materno individuandone la cooperazione alla missione di Gesù: «col concepire Cristo, generarlo, nutrirlo, presentarlo al Padre nel tempio, soffrire col Figlio suo morente sulla croce, ella ha cooperato in modo tutto speciale all’opera del Salvatore, con l’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime» (LG 61). La mediazione affettiva ed effettiva continua nell’intercessione per il bene dell’intera umanità e della Chiesa del Figlio21. Tale orizzonte ci consente di contemplare il rapporto che vi è fra la Vergine Maria e i discepoli di Gesù e di delineare il suo discepolato che diventa paradigmatico per chi vuole seguire Gesù Maestro. La Chiesa ritrova così in Maria la sua immagine perfetta, la sua via per ritornare al Padre: «sovreminente e del tutto singolare membro della chiesa e sua immagine ed eccellentissimo modello nella fede e nella carità»22. Maria è presente nel mistero della Chiesa come modello delle virtù di Cristo, per cui può cooperare al bene del credente: «la Chiesa attinge copiosamente da questa cooperazione, cioè dalla mediazione materna, che è caratteristica di Maria, in quanto gia in terra ella cooperò alla rigenerazione dei figli e delle figlie della Chiesa23. In questa profonda relazione fra Maria e la Chiesa si comprendono le operazioni dello Spirito che conduce il credente a partecipare alla vita intima del Figlio Unigenito dal Padre. In questo modo l’espressione madre nell’ordine della grazia analogicamente ha un legame con la maternità naturale della Vergine, per cui ogni credente è suo figlio nella grazia, Ciò significa che ogni credente vive la dimensione filiale nei riguardi della Vergine Maria che, a sua volta, è disposta ad essere madre nel suo Figlio Gesù. Il discepolo di Cristo presenta una dimensione mariana che coinvolge tutta la sua attività spirituale. Ogni virtù e ogni grazia ricevute da Dio vengono vissute con Maria che invoglia il credente a sperimentare la presenza di Dio nel concreto della propria esistenza. Conclusioni La Vergine Maria, vivendo la fertilità dello Spirito, si incammina nel quotidiano esercizio della fede, peregrinando con l’umanità desiderosa di essere trasformata dalla presenza di Dio24. Per Giaquinta «lo Spirito Santo non esaurisce nella Madonna la sua azione nel momento in cui il Verbo si fa carne, ma rimane in forma permanente in Lei, il che significa una costante ricchezza di luci, di mozioni, di grazie attuali che presuppongono l’esistenza di quell’organismo soprannaturale di cui si parla – grazia santificante, virtù cardinali e teologali, doni dello Spirito Santo e dei carismi – e che sollecitava la Madonna all’uso massimo di tutta la ricchezza immensa che lo Spirito aveva posto in Lei facendosi, anche in questo, nostro modello nell’uso dei doni ricevuti»25. La Vergine Maria sviluppa il suo organismo spirituale come discepola e madre del Redentore, lasciandosi ogni giorno modellare dallo Spirito ad immagine di suo Figlio Gesù. Ciò comporta una continua esperienza del mistero trinitario che si esplicita nel mettere in pratica le virtù, i doni dello Spirito Santo. Maria diventa esempio umano di vita vissuta nella ricerca della perfezione che si attuava nello scegliere il bene per il bene. Dinanzi alle sollecitazioni del male e del peccato, come Gesù nelle tentazioni dei quaranta giorni (Mt 4,1-11; Lc 4,1-13), la Vergine ha scelto il Sommo Bene e il sacrificio della propria vita quando anche per lei l’ora del Figlio si presenta nel suo cuore sotto la croce. Nella piena e consapevole libertà coopera all’azione dello Spirito per essere degna madre del suo Figlio. Anche per il discepolo di Cristo la vita secondo lo Spirito avanza nella misura in cui Dio opera con il suo pieno consenso. Un’esistenza di totale dedizione a Dio può essere vera solo se si esplicitano le virtù e i doni dello Spirito. Quando l’organismo spirituale cresce armonicamente nell’uomo, significa che vi è una perfetta sinergia fra la propria natura e la grazia. In questo lavorio interno la presenza della Madre di Gesù favorisce l’acquisizione delle virtù e dei doni, mostrandosi nella qualità di discepola e di Madre. Per il carmelitano Michele di sant’Agostino «lo Spirito previene l’iniziativa dell’anima e la spinge a fare quanto deciso; le viene in soccorso nelle difficoltà, l’accompagna e la segue. Se l’anima collabora fedelmente con lo Spirito Santo, allora avrà una vita soprannaturale e divina»26. La vita di grazia apre il credente innanzitutto all’intimità con Dio. Ciò si sperimenta quotidianamente quando il credente percepisce la presenza di Dio operante nella sua coscienza. Il fedele sperimenta che la sorgente del suo essere è proprio la familiarità con Dio, per cui tocca la sua misericordia ogni volta che si tuffa nelle profondità della sua anima. La dinamica della grazia santificante si manifesta come amicizia con Dio, aspirazione alle beatitudini evangeliche e unione con il Cristo crocifisso. La storia del credente si va sviluppando nell’amicizia di Dio che si realizza nel conseguimento delle beatitudini evangeliche. Il discepolo vivendo gli insegnamenti di Gesù si fa prossimo di Dio e di chi incontrerà nel suo cammino. L’esperienza della grazia santificante apre il cuore alla presenza unica di Dio. Non vi può essere esperienza mistica, se il credente non sperimenta la fertile collaborazione dello Spirito che impegna il credente nella dura legge del quotidiano. Quando il fedele sperimenterà la grazia nelle scelte di vita, avvertirà il suo identificarsi sempre più al Cristo crocifisso che lo condurrà alla pienezza di comunione con il Padre.

NOTE
1 M.G. MASCIARELLI, Discepola, in S. DE FIORES - V. FERRARI SCHIEFER - S.M. PERRELLA (curr.), Mariologia. Dizionario, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2009, 410-418.
2 CONCILIO VATICANO II, Costituzione Dogmatica, Lumen Gentium, 58, in Enchiridion Vaticanum, vol. 1, EDB, Bologna 198513; GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, 17, Figlie di S. Paolo, Milano 19872.
3 H. VON BALTHASAR, Il tutto nel frammento, Jaca-Book, Milano 1990.
4 AGOSTINO, Discorso 72/A,7, in ID., Opere di Sant’Agostino, Discorsi II/1, Città Nuova, Roma 1982.
5 Cf. V. LOSSKY, La teologia mistica della Chiesa d’oriente, Mulino, Bologna 1967; E. STEIN, Il mistero del Natale. Incarnazione e umanità, Queriniana, Brescia 1989.
6 D.J. CHALMERS, La mente cosciente, McGraw-Hill, Milano 1999; R. ZAS FRIZ DE COL, Coscienza spirituale e coscienza mistica. A proposito di due articoli di Charles André Bernard e della filosofia della mente, in AA.VV., Teologia e mistica in dialogo con le scienze umane: Primo convegno internazionale Charles André Bernard, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2008, 241-262.
7 Cf L. BLOSIUS, Istitutio spiritualis, Appendice I, 2, 1-3, in ID., Opera, Ex. Off. Moreti, Antuerpiae 1632, pp. 333-334.
8 A. VON SPEYR, L’ancella del Signore, Maria, Jaca-Book, Milano 1985, 17.
9 RUPERTO DI DEUTZ, Commento al Cantico dei Cantici, Edizioni Qiqajon, Magano (BI) 2005, p. 149.
10 LG, 61.
11 C.I. GONZÁLEZ, Mariologia. Maria, Madre e discepola, Edizioni Piemme, Casale Monferrato (AL) 1988; S. PERRELLA, Maria, Vergine e Madre, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2003; ID., La Madre di Gesù nella coscienza ecclesiale contemporanea, PAMI, Città del Vaticano 2005.
12 PAOLO VI, Signum Magnum, 985, in Enchiridion Vaticanum, EDB, Bologna 198112.
13 Ivi, 985.
14 Ivi, 987.
15 Ivi, 995.
16 PAOLO VI, Marialis cultus, 28, Elle Di Ci, Torino-Leumann 1988.
17 Ivi, 35
18 Ivi, 57.
19 RM, 20
20 LG, 62.
21 RM, 40-41.
22 LG, 53.
23 RM, 44.
24 S. DE FIORES, Maria nella vita secondo lo Spirito, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1998, 69-73; S. BULGAKOV, Il Paraclito, EDB, Bologna 1971, 346; 363-368.
25 G. GAIQUINTA, La santità, Edizioni Pro Sanctitate, Roma 1996, 123.
 

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