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  Il Rosario e l'Oggi della Salvezza 
Devozione

Dal libro di Domenico Sorrentino, Il Rosario e la nuova evangelizzazione, Paoline, Cinisello Balsamo 2003, pp. 80-100.



La teologia dei «misteri»

Gesù, nella profondità abissale della sua identità divina, «supera ogni conoscenza» (cfr. Ef 3,19). Ma questo suo Mistero insondabile affiora nella concretezza della sua esistenza storica. In quei suoi tratti pienamente umani, quando il bimbo Gesù si rallegrava o soffriva, quando cresceva in tutto simile ai suoi coetanei tra famiglia e lavoro, e naturalmente poi ancor più quando la sua vita pubblica ne manifesta la sapienza e la potenza taumaturgica, la vita di Gesù e il luogo in cui 1'Eterno si è riversato nel tempo. Solo attraverso l'incontro con l'umanità di Gesù, nei suoi «misteri», noi possiamo incontrare il suo Mistero. Questo principio e teologicamente decisivo. Direi anzi che sul tema dei «misteri» di Cristo si decide una cristologia autentica. Occorre ribadirlo, in una stagione teologica come la nostra che, dopo aver riscoperto, con il «cristocentrismo», anche l'importanza del suoi «misteri»3, ha avuto pù la tentazione di allontanarsi da questa via maestra. Una spinta in questo senso è venuta da certe tendenze dell'esegesi biblica, che hanno gettato un largo sospetto sulla storicità e attendibilità di molte pagine evangeliche. In realtà, rispetto a una lettura tradizionale che assumeva anche i dettagli e cercava i modi più ingegnosi di armonizzare le diversità tra i Vangeli, oggi è un dato scientificamente acquisito, e anche accettato dal Magistero, che i testi evange1ici non vogliono offrire una cronaca dettagliata, e nemmeno costituire una vera e propria «biografia» di Gesù, ma sono piùttosto la sua presentazione catechetica, alla luce dello sguardo di fede e delle preoccupazioni pastorali dell'annuncio. Purtroppo questa consapevolezza è stata in gran parte segnata, se non dominata, dal radicalismo, di marca razionalistica, di chi è giunto ad affermare una separazione netta tra il «Gesù della storia» e il «Cristo della fede»4. Se questo fosse vero, non avrebbe senso indugiare a contemplare i «misteri»: il nostro sguardo si perderebbe nelle sabbie mobili di una critica che molto raramente ravvia una certezza storica nelle cose che il Vangelo racconta. Ma il Magistero della Chiesa5 e un'altra corrente esegetica6 si sono ritrovati concordi nell'affermare che i Vangeli ci offrono, sì, una lettura di fede, ma rispettosa dello svolgimento storico sostanziale della vita di Cristo. É da sottolineare «sostanziale», giacche e incontrovertibile, a partire dai testi evangelici esaminati contestualmente, che essi non vogliono offrire una ricognizione esatta e completa dei particolari, come oggi potremmo attenderci da una ricerca storica documentata, ma piùttosto valorizzano il materiale documentario secondo specifici interessi teologici e catechetici. Ciò non toglie tuttavia - è questo il punto decisivo! - che essi si preoccupino di ricostruire fedelmente ciò che e avvenuto. L'ottica di fede non deforma gli eventi, ma consente di penetrarli con maggiore profondità. Delle scene dei misteri, anche quelle dell'infanzia proposte nel Rosario come misteri della gioia, ci possiamo fidare. A queste scene può andare la nostra meditazione e la nostra preghiera. Quando il Catechismo della Chiesa Cattolica ci invita a rimeditare i «misteri» di Cristo7, e quando Giovanni Paolo IL rilancia i «misteri» del Rosario, emerge la fiducia della Chiesa nella sostanziale storicità dei Vangeli. Un'altra grande tentazione della teologia del nostro tempo si colloca lungo uno dei suoi percorsi più belli e suggestivi, come è quello del dialogo interreigioso. Dialogo legittimo, e anzi doveroso, caldeggiato dal Concilio, e fondato sul presupposto che la salvezza è universale e Dio raggiunge l'uomo e si lascia incontrare da lui attraverso tante vie. Qual è, in questo orizzonte dialogico, il ruolo di Cristo? Il Magistero, in questi decenni di dialogo interreligioso, non ha fatto che ribadirlo: la salvezza è si universale, e le vie della salvezza sono innumerevoli. Ma il «Salvatore» è unico8. Le tante vie non possono che essere derivazioni da lui, irradiazioni di un'unica luce. Gesù, nella concretezza del suo mistero divino-umano, attraverso  lo Spirito che da lui si effonde, è il punto in cui si rannodano tutti i fili della creazione e della redenzione9. E chiaro che solo una convinzione forte su questo punto del dogma cristiano può giustificare una pratica contemplativa come quella del Rosario, che si esprime interamente nel fissare il volto di Cristo.

La via di Maria

Il Rosario viene a consolidare, sul piano della pratica spirituale e pastorale, questa testimonianza ecclesiale, in un momento in cui essa tende, con le migliori intenzioni dialogiche, a perdere vigore. Che tutto il popolo di Dio sia invitato a ripetere, con l'Ave Maria, il nome di Gesù, aiuta a farci respirare a pieni polmoni la fede della Chiesa in Cristo unico e universale Salvatore. E perché questa fede abbia tutta la sua densità e profondità, non c'è nulla di più decisivo che passare per Maria. Chiamarla infinite volte, come il Rosario ci invita a fare, con il titolo di Madre di Dio, Theotokos, il titolo intorno a cui nell'antichità infuriò la battaglia e che il Concilio di Efeso (431) consacrò a difesa non tanto e non solo di un privilegio mariano, ma proprio a tutela della fede cristologica, che cosa implica, se non un riconoscere, in quel preciso volto del figlio di Maria di Nazaret, il nostro Dio e il nostro Salvatore? Quando si affievolisce, nella pietà, la presenza della Theotòkos, la Madre di Dio, anche il volto del Figlio diventa evanescente. Per due punti, dice l'antico postulato della geometria euclidea, passa una retta, e una retta sola. Si potrebbe dir così anche del dogma cristologico: per affermare pienamente l'identità divina del concreto uomo «Gesù», non c'è nulla di più preciso che chiamare lui «Figlio di Dio», al tempo stesso chiamando Maria «Madre di Dio». Il primo titolo, preso isolatamente, potrebbe anche essere interpretato in un senso più generico, come si è talvolta tentati di fare, riducendolo al significato di una qualche «epifania del divino», tra le tante che, anche in altre religioni, per un volto o l'altro degli uomini di Dio, vengono affermate. Ma il titolo di «Madre di Dio» è troppo forte e, direi, troppo «provocatorio», per essere equivocato: non potendo Dio, in quanto Dio, avere una Madre, il titolo di «Madre di Dio» ha senso perché Gesù di Nazaret, il figlio di Maria, è Dio, avendo il Verbo assunto «ipostaticamente», come persona, l'umanità nata dalla Vergine. La Theotòkos dice riferimento immediato all'unione ipostatica, dice l'appartenenza personale al Verbo eterno della concreta natura umana plasmata nel grembo di Maria. «Madre di Dio, prega per noi...». Mentre il Rosario ci fa ripetere questa supplica, e la cristologia del Credo che è confessata, si radica nel nostro senso di fede, e ci fa adorare Gesù come «Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre».

L'oggi del Mistero

Se tutto questo è vero, si comprende anche come la meditazione del misteri del Rosario vada fatta come esperienza nell'oggi della forza salvifica di Cristo. Il Rosario nacque in un momento storico in cui la teologia e la spiritualità cristiana si mostrarono particolarmente attenti all'umanità di Cristo contemplata nei misteri della sua vita terrestre10. Era il frutto di una spiritualità monastica, travasata poi negli Ordini mendicanti, che faceva della contemplazione dell'umanità di Gesù lo strumento primario dell'ascesa spirituale, ispirando un atteggiamento di affetto e di tenerezza verso il Salvatore, nell'invocazione del suo nome santo. Quando san Francesco contempla la nascita di Gesù nel presepe di Greccio, o con le stigmate «ripete» in sé il dolore e l'amore del Crocifisso, si muove nel solco di questa spiritualità. Un processo analogo, pur con accenti diversi, si ritrova nella tradizione domenicana. Entrambe queste linee teologiche mettevano in evidenza il valore salvifico dell'umanità del Redentore. San Tommaso la illustrò partendo dalla prospettiva che si suol chiamare della «cristologia dall'alto», ossia a partire dall'ottica del Verbo fatto carne nel grembo di Maria11. In questa prospettiva, la natura umana di Cristo e considerata «strumento» del Verbo divino. Cosa ne deriva? Che tutte le cose, anche le più piccole, della vita umana di Cristo, acquistano un valore di salvezza per noi, perché possiedono tutto il valore del Verbo divino che in esse si esprime. Dice san Tommaso: «Tutte le cose che furono compiute nella carne del Cristo, furono salutari per noi in virtù della divinità unità»12. E ancora: «Tutte le azioni e passioni del Cristo operano strumentalmente per virtù della divinità in favore della salvezza umana»13. Ecco dunque un aspetto importantissimo del Rosario: ai misteri di Cristo non si va solo come a un fatto storico, un evento del passato, ma come a un evento che, in qualche modo, si realizza «oggi», e oggi sprigiona tutta la sua forza salvifica. Quando mi pongo in contemplazione della nascita di Gesù, o del suo battesimo, o della sua agonia nel Getsemani, o della sua flagellazione, attraverso l'eterno presente del Verbo, in cui mi immergo, nella forza dello Spirito Santo, io raggiungo in certo senso quel momento storico, o meglio, quel momento storico raggiunge me, e io posso goderne tutta la forza salvifica come se quell'evento si realizzasse oggi. La Scrittura porta sostanzialmente nella stessa direzione con il concetto di «memoriale», ricordo che «attualizza» gli eventi salvifici14. Ricordare l'Esodo, e riviverlo, così come ricordare la Pasqua di Gesù, è riviverla. Nella liturgia, - e specialmente nell'Eucaristia - questo principio ha il massimo della sua realizzazione15. Non è un'espressione retorica, quella che la liturgia ci fa ripetere: «Oggi per noi è nato il Salvatore», «Oggi Cristo è risorto ». Ma nella forza dello Spirito che ci «ricorda» Cristo (cfr. Gv 14,26), ciò vale anche, in qualche modo, ogni volta che, nella meditazione come nella vita, ci poniamo di fronte al Mistero del Salvatore. Il Rosario e un'immersione nell'oggi della salvezza.

Abitare il Mistero

L'inserimento, nel Rosario, dei misteri della luce, concernenti la vita pubblica del Salvatore dal Battesimo all'istituzione dell'Eucaristia, rimarrà una pietra rniliare nella storia di questa preghiera. Con questa integrazione, si può dire che veramente l'intero corso della vita di Cristo passa sotto gli occhi dell'orante. Venti misteri, dunque, venti scene proposte alla contemplazione. Non sono tutto il Vangelo. Ne possono sostituirlo. Il Papa ha sottolineato che la meditazione del Rosario non vuole in alcun modo porsi in concorrenza con la lectio divina, ossia con la meditazione diretta del Vangelo, in cui le parole del testo sacro, dalla prima all'ultima, e nella varietà delle tradizioni evangeliche, diventano ascolto, assimilazione, luce per la vita. «Il Rosario, pertanto, non sostituisce la lectio divina, al contrario la suppone e la promuove»16. E questo è tanto più importante ribadirlo in un tempo in cui il popolo di Dio, grazie anche alla spinta data in questo senso dal Vaticano II, sta progressivamente recuperando familiarità con la Parola di Dio. Il rilancio del Rosario, pur con la precauzione di una rinnovata accentuazione biblica, sarebbe un passo indietro se venisse praticato in sostituzione dell'incontro immediato e continuato con la Parola. Detto questo con chiarezza, va però aggiunto che il «taglio» del Rosario, nell'incontro con la Parola, ha la sua specificità che integra stupendamente la lectio divina e quasi ne diventa una via speciale. Se esso seleziona, dal paesaggio evangelico, solo venti scene, lo fa non per «impoverire il panorama, ma per consentire la focalizzazione» dello sguardo contemplativo. E come se, in un giardino ricco di fiori, dopo aver dato uno sguardo d'insieme, ci si portasse ora su questo, ora su quell'altro fiore, per gustarne la bellezza a distanza ravvicinata. I venti misteri prescelti, distribuiti nei vari cicli, sono come un percorso privilegiato di questo giardino dello spirito. Il Rosario, scriveva Guardini, e uno spazio, più che una «via»17. A mio parere, è sia spazio che cammino. Le due cose si completano. L'animo che cammina attraverso i misteri, «abita» il Mistero. Passo dopo passo, i venti misteri diventano l'habitat soprannaturale, il paesaggio in cui il cristiano vive, tornando e ritornando sui suoi passi, fino a che il mistero non sia perfettamente «assimilato», e si possa dire con la stessa forza dell'Apostolo Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Un percorso trasformante. Pennellate dello Spirito di Dio che disegna nel nostro spirito i lineamenti di Cristo. Salita al monte della «trasfigurazione», in cui il volto di Cristo si svela e ci trasforma nella sua stessa immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore. (2Cor 3,18).

Rosario ed Eucaristia

Se si coglie il Rosario in questa maniera, si comprende anche ciò che suor Lucia, la veggente di Fatima, scriveva in una lettera del 16 settembre 1970: «Il Rosario, dopo la sacra liturgia eucaristica, è l'orazione che più ci riporta allo spirito i misteri della fede, della speranza e della carità»18. Dicendo questo, ella si muove nella stessa linea del Beato Bartolo Longo che, in un articolo del 1914, intitolato Il Rosario e l'Eucaristia, così argomenta: «nessuna divozione come quella della Santa Corona predispone cosi bene all'Eucaristia; ce ne accende nell'anima l'amore, ce ne desta il desiderio. Il Rosario ci ricorda soltanto la vita di Gesù, ma nel Santissimo Sacramento questa vita perennemente rinnova l'immortale suo ciclo. Chi si contenterà di meditare soltanto la vita. di Gesù nel Rosario, potendo insieme riviverla con lui nell'Eucaristia? Chi si appagherà dell'ombra, potendo avere la luce? A chi basteranno immagini e ricordi, potendo possedere la vita? Il Rosario dunque conduce in una maniera soave, quasi insensibile, al Santissimo Sacramento: chi si avvicina a Gesù col pensiero, sente pure il bisogno di avvicinarglisi nella realtà; chi conosce Gesù, non può non amarlo, ma d'altra parte chi prende ad amare veramente Gesù, non può rinunziare a possederlo»19. Se negli anni del Concilio, riscoprendo giustamente la Liturgia e il suo vertice eucaristico, si è stati tentati di farlo a spese del Rosario, è ora che questa tentazione venga superata. Nella sinfonia della preghiera e della spiritualità cristiana, si tratta di due esigenze e di due momenti complementari. L'Eucaristia sta al centro e al vertice. Ma il Rosario adempie un compito di prim'ordine: quello di disporle il terreno in un percorso contemplativo sostanziato di «innamoramento» di Cristo. Il Rosario porta all'Eucaristia. Se tante volte hai ripetuto, con lo sguardo fisso su Gesù tra le braccia di Maria, «benedetto il frutto del tuo seno», come potresti non sentire il bisogno di «cibarti» di questo frutto? Se non senti questo bisogno, e segno che hai «cantilenato», non pregato! E dopo che hai mangiato il «frutto» del grembo di Maria, non senti forse il bisogno che esso plasmi tutte le pieghe del tuo essere, perché la tua vita diventi « eucaristica » come quella della Vergine Santa? Fa pena constatare come spesso si faccia la comunione eucaristica, senza sentire il bisogno, dopo un evento tanto grande, di sostare nel silenzio adorante della contemplazione. I «congedi» delle nostre Messe, spesso affrettati e rumorosi, sono la spia di una tendenza a banalizzare la comunione eucaristica. Occorre che la stessa Eucaristia Sia «ricompresa», preparata e «riecheggiata» attraverso l'esercizio meditativo, e non a caso San Giovanni Paolo II l'ha riproposta alla meditazione del Rosario come quinto dei misteri della luce. E significativo, inoltre, che, nell'Enciclica Ecclesia de Eucharistia, promulgata nel cuore dell'Anno del Rosario, Egli abbia dedicato un capitolo a Maria «donna eucaristica». É questo il nostro ideale: non solo vivere di Eucaristia, ma «diventare» Eucaristia. Non basta, a diventarlo, la sola Celebrazione: l'Eucaristia ha bisogno del suo tempo di «risonanza» nella vita, il tempo dell'assimilazione. Il «cibo spirituale», non meno di quello materiale, ha bisogno di essere assimilato! Il Rosario - certo non esclusivamente, ma con una particolare efficacia - aiuta questo processo del nostro cammino spirituale.

Un 'ipotesi

Con la luce offerta dalla Rosarium Virginis Mariae tutto questo dovrebbe essere più chiaro. Oso chiedere, a questo punto, se, a dissipare definitivamente una percezione riduttiva del Rosario, dovuta talvolta al timore che la sua promozione possa pregiudicare l'indiscutibile primato della liturgia, non sia utile che la Chiesa assuma lo stesso Rosario entro la sfera liturgica. Fu, questo, un auspicio espresso da suor Lucia di Fatima: «Io ho una grande speranza che non è lontano il giorno in cui l'orazione del Santo Rosario e la sua terza parte sia dichiarata orazione liturgica»20. La suprema autorità ecclesiale, a cui solo spetta una tale decisione, l'ha finora esclusa. Anche la Rosarium Virginis Mariae, nel solco della Marialis Cultus, si limita a difendere il Rosario dall'infondato sospetto di essere pregiudizievole alla liturgia21. Ma sommessamente riterrei che non ci siano controindicazioni sostanziali, perché il problema possa essere approfondito. Mi pare infatti che l'ultima Lettera Apostolica sul Rosario offra un'apertura di prospettive in questa direzione, approfondendo e completando i contenuti contemplativi del Rosario, illustrandone ulteriormente gli elementi formali, e sottolineando l'interesse della Chiesa universale per tale percorso di meditazione e supplica. Certo, occorre tener conto del carattere di questa preghiera, che, tra le altre qualità, possiede anche quella di essere «flessibile», capace com'è di adattarsi a tutte le circostanze della vita, sicché una sua ricezione e formulazione esclusivamente o prevalentemente liturgica la porterebbe a bloccarsi in uno schema troppo rigido. Si potrebbe forse distinguere la forma più corale e solenne - esempi credo non manchino22 - da quella semplice e personalizzata, dando solo alla prima il carattere liturgico, che servirebbe a esprimere formalmente quanto il Magistero e il senso di fede del popolo di Dio già attribuiscono al Rosario, e cioè la sua corrispondenza piena, e direi «privilegiata», al movimento di tutta la Chiesa, nel suo unirsi con Maria alla contemplazione di Cristo, e anzi alla preghiera di Cristo nel suo incessante fissare, nello Spirito, il volto del Padre. Le condizioni interne ci sono tutte, per la sua elevazione «liturgica». C'è uno spessore trinitario, cristologico, ecclesiologico, di prim'ordine. C'è anche la premessa di quell'impegno ecclesiale che caratterizza la liturgia facendone un «atto pubblico» del suo culto: non va forse in tal senso l'insistenza magisteriale nel raccomandare questa preghiera? Continuare a considerarla al semplice livello della pietà popolare, mi sembra davvero poco. In ogni caso si tratta di una problematica in cui occorre attendere il discernimento e la decisione dell'autorità ecclesiale23.

Una parola sulle «indulgenze»

In questo orizzonte dell'oggi della salvezza, non si può non dire una parola anche a proposito della tradizione che ha visto applicare dalla Chiesa al Rosario, come alle confraternite del Rosario, le indulgenze24. Un tema, a dire il vero, che nella pratica pastorale e tutt'altro che semplice da illustrare, dal momento che, nella sensibilità di fedeli non pienamente catechizzati, alla parola «indulgenza» si attribuisce un significato improprio e alle condizioni per ottenerla un sapore «meccanico» e «automatico », che certo non corrisponde al pensiero della Chiesa25. Spesso, infatti, quando si parla di «indulgenza», molti fedeli hanno una sensazione di «sconto» simile a quella che si ha quando si tratta di prezzi commerciali o pene giudiziarie. L'indulgenza è invece un dono che, lungi dall'implicare uno «sconto», nel senso di un «disimpegno», esige piuttosto un impegno maggiore nello sforzo di santità. É infatti sovrabbondanza di grazia che, se da noi accolta, ci fa sgomberare l'animo da quei residui che il peccato lascia in noi anche dopo che e stato perdonato. E un aiuto perché ci stacchiamo totalmente da noi stessi per aderire perfettamente a Dio. Un aiuto offerto attraverso il ministero di misericordia che la Chiesa ha ricevuto, potendo contare sul «tesoro spirituale» dei meriti di Cristo, operanti anche in coloro che si sono perfettamente associati a lui. Nella comunione dell'unico corpo di Cristo, questi meriti ottengono flussi di grazia per sostenere il cammino di santità dei membri più deboli. Ma allora si vede quanto poco servirebbe, per ottenere l'indulgenza, limitarsi alle condizioni esteriori di essa. La condizione fondamentale è staccarsi dal più piccolo affetto al peccato, insomma la scelta della santità. Il Rosario pienamente compreso, con la sua struttura meditativa, il suo carattere cristologico, il suo orientamento all'impegno di vita, può aiutare i credenti a maturare questa scelta, ponendo così la condizione decisiva perche il dono dell'indulgenza sia veramente efficace.

NOTE
3. Per un approfondimento, si veda: A. Grillmeier - R. Schulte - Ch. Schutz, I misteri della vita di Gesù, in I. Feiner - M. Lohrer (a Cura di), Mysterium salutis, vol. 6, Queriniana, Brescia 1971, pp. 9-170.
4. É la tesi che, tra «gli addetti ai lavori», viene solitamente ricondotta a Rudolf Bultmann. Ma è noto che già tra i suoi discepoli la tesi fu ridimensionata (Kasemann). Altri esegeti imboccarono una linea alternativa, di recupero della storicità (tra gli altri, Jeremias). Ma il sospetto sollevato da Bultmann continua a ispirare l'indirizzo interpretativo di molti esegeti, anche cattolici, rendendoli quanto meno scettici sulla portata storica di molti brani evangelici. E ciò purtroppo anche su temi in cui il Magistero della Chiesa si è espresso, come ad esempio la verginità di Maria e il tema dei «fratelli» di Gesù. Una particolare crisi di credibilità storica investe i Vangeli dell'infanzia e le espressioni della vita di Gesù in cui più fortemente emerge la dimensione soprannaturale. Sembra evidente, al di là delle argomentazioni più o meno esegeticamente fondate, un presupposto «razionalistico».
5. Cfr. Dei Verbum, n. 19. Nella Novo millennio ineunte, a. 18, Giovanni Paolo II dice: «I Vangeli in realtà non pretendono di essere una biografia completa di Gesù secondo i canoni della moderna scienza storica. Da essi tuttavia il volto del Nazareno emerge con sicuro fondamento storico, giacche gli Evangelisti si preoccupano di delinearlo raccogliendo testimonianze affidabili (cfr. Lc 1,3) e lavorando su documenti sottoposti al vigile discernimento ecclesiale».
6. Non penso qui alla tendenza più tradizionale, legata a una concezione della storicità che non tiene conto di ciò che anche il Magistero della Chiesa ha accettato circa i «generi letterari» che caratteizzano la Scrittura. Mi riferisco a una reazione di tipo critico, che argomenta sul piano esegetico, anche se spesso si ritrova minoritaria e marginalizzata. Un esempio: R. Laurentin, Vita autentica di Gesù Cristo, Mondadori, Milano 2000. Questo autore si è distinto per la sua riscoperta storica dei capitoli evangelici più sospettati di scarsa obiettività, quelli dell'infanzia. Cfr. R. Laurentin, I vangeli del Natale, Piemme, Casale Monferrato 1987. Simile impostazione di fiducia nella storicità sostanziale dei Vangeli si può trovare in saggi come: C. Thiede, Gesù, storia o leggenda?, EDB, Bologna 1992 (prospettiva archeologica); A. Guidetti, Conoscenza storica di Gesù di Nazaret, Rusconi, Milano 1981 (sviluppa l'ipotesi dell'origine giuridico-testimoniale come base per la redazione dei Vangeli). Per una chiara introduzione a questo contrasto di tendenze esegetiche, si veda A. Ory, Riscoprire la verita storica dei vangeli. Una iniziazione all'esegesi funzionale, Massimo, Milano 1986.
7. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 512-570.
8. Si veda Congregazione per la Dottrina della Fede, Dominus Jesus. Dichiarazione sull'unicità e sull'universalità salvifica di Gesti Cristo e della Chiesa (6 agosto 2000).
9. Per una sintesi su questo punto caldo e complesso della riflessione teologica contemporanea, si può vedere: A. Ducay, Un solo mediatore? Pensare la salvezza alla luce della « Dominus Iesus», Università della Santa Croce, Roma 2003.
10. Da una larga bibliografia su questo tema, mi limito a ricordare le poche pagine, ma dense e illuminanti, di un articolo, a cui mi ispiro per queste considerazioni: M. Bordoni, Cristologia, e in particolare il punto II: La cristologia tomista net quadro della teologia sistematica e spirituale del medioevo, in G. Barbaglio - S. Dianich (a cura di), Nuovo Dizionario di Teologia, Paoline, Roma 19792, pp. 245-251.
11. L'altra prospettiva, della «cristologia dal basso», o dell'«uomo assunto », partiva dalla concretezza della natura umana di Gesù, per affermare che essa era assunta dal Verbo. Nella misura in cui le due prospettive rispettano il dogma della verità divino-umana di Gesù, quale espressa dal Concilio di Calcedonia, le due prospettive sono ambedue legittime, pur dando accenti diversi al cammino teologico e alla spiritualità.
12. Comp. Theol. 230.
13. S. Th. III, q. 48, a. 6, c.
14. Cfr. RVM, n. 13, dove si richiama il concetto del «ricordare» biblico (zakar), che è un ricordo attualizzante, in cui il passato salvifico e reso in qualche modo presente.
15. Su questo concetto, dai fondamenti biblici all'utilizzazione liturgica, cfr. B. Neunheuser, Memoriale, in D. Sartore - A.M. Triacca, Nuovo Dizionario di Liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo 1988, pp. 765-781.
16. RVM, n. 29.
17. Der Rosenkranz unserer lieben Frau, p. 35.
18. Lucia racconta Fatima, p. 169.
19. Il Rosario e la Nuova Pompei, Anno XXXI, Quad. n. 4.
20. Lucia racconta Fatima, p. 16 (è la stessa lettera su menzionata del 16 settembre 1970).
21. RVM, n. 4.
22. Penso all'esperienza del Santuario di Pompei, dove al Rosario si assicura un carattere pacato e solenne, con abbondanza di momenti di silenzio, di canto, e anche di appropriati gesti (come l'accensione di una lampada a ogni mistero, a evocare, da una parte, la luce del volto di Cristo, dall'altra, la nostra fede). I frutti pastorali e spirituali sembrano evidenti e abbondanti.
23. L'approfondimento teologico del senso della liturgia ha portato, specialmente con la Costituzione Sacrosanctum Concilium, a sottolineare la dimensione interiore e misterica della liturgia, ma questo non toglie il suo carattere di «ordinamento», la cui regolazione dipende unicamente dall'autorità della Chiesa (cfr. C.I.C. cann. 834-839). Per ben impostare il problema di una eventuale elevazione del Rosario a preghiera liturgica, mi paiono illuminanti le riflessioni sul rapporto tra liturgia e pii esercizi che si possono leggere in: C. Vagaggini, Il senso teologico della liturgia, Paoline, Roma 1965, Specie pp. 127-130 ( «L'opus operantis ecclesiae è la distinzione tra liturgia e pii esercizi»). Tende a un più largo riconoscimento del carattere di preghiera liturgica S. Marsili in Aa.vv., Anàmnesis 1. La liturgia momento nella storia della salvezza, Marietti, Genova 1979, 7a ristampa 2001, Specie alle pp. 139-144 («Liturgia e pii esercizi»). Si veda anche il suo articolo Liturgia, in D. Sartore - A.M. Triacca - C. Cibien (a cura di), Liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, pp. 1037-1054. J. Castellano, facendo riferimento alla posizione di Marsili, pone la domanda se, per il Rosario, non si sia già di fronte a una sorta di «riconoscimento implicito da parte della Chiesa del suo carattere liturgico» (cfr. Religiosità popolare e liturgia II, ivi, pp. 1613-1626. Ritengo che, dato il valore della liturgia come «culto pubblico» (culto «della» Chiesa, e non solo «nella» Chiesa), difficilmente ci si potrebbe accontentare, per la caratterizzazione liturgica del Rosario, di un riconoscimento implicito. Occorre un vero atto di autorità ecclesiale, che riguardi non solo i contenuti, ma anche una forma, delineata propriamente in funzione del culto «pubblico».
24. Cfr. Penitenzieria Apostolica, Manuale delle indulgenze. Norme e concessioni, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1999, pp. 67-68. L'indulgenza plenaria è concessa al fedele che recita «piamente» il Rosario, in una chiesa, o oratorio, o in famiglia, o in una comunità religiosa o riunione di fedeli, o quando ci si unisce alla recita fatta dal Sommo Pontefice trasmessa per radio o televisione. In altre circostanze si ha indulgenza «parziale». Ai fini dell'indulgenza parziale, bastano i cinque misteri di ogni ciclo, recitati però tutti successivamente. É necessario che all'orazione vocale si aggiunga la «pia meditazione dei misteri».
25. Una illustrazione autorevole del significato teologico delle indulgenze si può trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1471-1479. Al tema Paolo VI dedicò la Costituzione apostolica Indulgentiarum Doctrina (1967). Giovanni Paolo II vi è ritornato soprattutto in occasione del Grande Giubileo, e specificamente nella Bolla di indizione Incarnationis mysterium.
 

Inserito Domenica 2 Ottobre 2016, alle ore 13:09:06 da latheotokos
 
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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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