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  La santità di Maria rischiara la vita e il ministero sacerdotale 
Chiesa

Una conferenza a Malta del Card. José Saraiva Martins.



Introduzione

Il punto di partenza di questa riflessone è l’orizzonte del capitolo VIII della Costituzione Lumen gentium. La sua portata veniva così sottolineata da Paolo VI: "É la prima volta (...) che un Concilio ecumenico presenta una sintesi così vasta della dottrina cattolica circa il posto che Maria santissima occupa nel mistero di Cristo e della Chiesa" (Discorso di chiusura della III sessione del Vaticano II, 21 novembre 1964). La prospettiva conciliare ci istrada a capire che non è possibile parlare di Cristo, né del suo Corpo mistico, tacendo della Vergine Maria. La sobrietà con cui il Nuovo Testamento presenta la persona e la missione della Madre del Signore non si può certo confondere per irrilevanza della sua figura. Maria, al contrario, è decisiva per affermare la verità del Dio fatto uomo e, dunque, il fondamento dell’intera economia salvifica. Se da una parte il parlare di Cristo e della Chiesa conduce naturalmente a dire di Maria (pensiamo alla portata cristologica della definizione della maternità divina al Concilio di Efeso del 431), dall’altro, la considerazione della figura di Maria conduce prontamente a Cristo e alla Chiesa: il tradizionale detto "ad Iesum per Mariam" può essere declinato - alla luce del Concilio - anche con il seguente: "ad Ecclesiam per Mariam". Diversamente sarebbe una falsa devozione alla Vergine, costruita secondo i nostri intendimenti, ma non secondo la rivelazione biblica e la tradizione ecclesiale d’Oriente ed Occidente. A motivo del legame con la Chiesa, di cui è figlia e madre, immagine e specchio, Maria rischiara il Popolo di Dio, nel suo insieme come ciascuno dei suoi membri, ognuno di essi con il proprio carisma, missione, condizione, stato di vita, funzione… Già sant’Ambrogio, parlando alle vergini consacrate, ricordava che la vita di Maria "è regola di condotta per tutti" e non soltanto per chi si è votato pubblicamente alla sequela del Cristo con amore indiviso. Non c’è infatti una categoria di credenti che, in linea di principio, si avvicini più di altre a Maria, poiché, rappresentando la "credente" per eccellenza, tutti i discepoli di Gesù possono e debbono riconoscersi in lei, avvertendo che nella loro esperienza spirituale rivive in certo senso quella di Maria. Si consideri, infatti, ciò che ha detto Gesù: "Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica" (Lc 8,21; Mc 3,35; Mt 12,50). La qualità di vita santa di Maria rischiara pertanto ogni stato di vita, essendo definita da atteggiamenti interiori fondanti il vivere da cristiani, precedenti le varie vocazioni esistenti nella Chiesa. Poiché Maria è la prima e più perfetta discepola di Gesù, tutti i cristiani sono esortati a contemplarla, coscienti che per seguire Cristo occorre coltivare le virtù che furono di Maria: l’eccellenza della via mariana per vivere in Cristo è stata ben illustrata nella Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae di Giovanni Paolo II (16.10.2002). Si potrebbe dire che come la fede, la speranza e la carità non sono virtù di una vocazione nella Chiesa ma sono supposte da tutte le vocazioni, così, in analogia, la santità di Maria informa la santità cristiana, di modo che non è dato santo o santa che non rivesta nella "propria" santità il profilo "mariano". In verità, la fisionomia "mariana" della santità dei cristiani viene prima della loro devozione a Maria, perché è implicita nella conformazione a Cristo. In altri termini, per aderire a Dio con tutto se stessi è naturale appropriarsi di quell’insieme di virtù spirituali che risplendono con pienezza di luce nella Vergine Maria, icona della Chiesa di Cristo. Se tutti i santi e le sante, nella varietà delle condizioni di vita (apostoli, martiri, vescovi, presbiteri, diaconi, religiosi, laici, vergini, coniugati), recano in sé il riflesso della "santità" della Chiesa, nessuno di essi può dirsi "immagine purissima della Chiesa" come invece confessiamo di Maria (cf. Sacrosanctum Concilium 103). Ce lo insegna magistralmente Lumen gentium 65: "Mentre la Chiesa ha già raggiunto nella beatissima Vergine la perfezione, con la quale è senza macchia e senza ruga (cf. Ef 5,27), i fedeli si sforzano ancora di crescere nella santità debellando il peccato; e per questo innalzano gli occhi a Maria, la quale rifulge come modello di virtù davanti a tutta la comunità degli eletti". Del resto, l’impronta mariana segna profondamente la Chiesa, la sua identità e missione, come ha rilevato Giovanni Paolo II nell’osservare che "la dimensione mariana della Chiesa antecede quella petrina". Come Maria esprime e riflette la tessera della vera fede, così ella compendia e riverbera dunque il senso e la portata della santità cristiana: chi più di lei può testimoniare di aver "toccato" la santità di Dio, di avere accolto nella sua persona - spirito, anima e corpo – il solo Santo? Guardare alla Tuttasanta è, per un verso, comprendere che la "santità" le è stata donata: fin da primo istante della sua concezione, Maria è santa perché gratuitamente santificata da Dio; e dall’altro, è comprendere che la santità di Maria è corrispondenza totale, generosa, perseverante, al dono del tre volte Santo, che l’ha scelta come proprio santuario vivente. Il dono e la risposta implicati nella santità di Maria sono sottolineati dai titoli che la tradizione ecclesiale le ha attribuito: casa di Dio, dimora consacrata a Dio, tempio di Dio… Tale mistero è ben illustrato dall’icona orientale della Panaghía, dove Maria è raffigurata in atteggiamento orante, con le braccia aperte, e recante sul cuore-grembo il tondo che racchiude Colui che i cieli stessi non possono contenere: chi la rende Panaghía è Colui che ella ha accolto in sé, il Santo Figlio di Dio, volto visibile dell’invisibile Padre che sta nei cieli; e ciò in virtù della potenza dello Spirito Santo e della docilità ad esso. Maria è santità ricevuta per grazia e corrisposta con libertà; è santità testimoniata, irradiata, trasmessa a tutti, senza eccezioni e preferenze. Per mezzo di lei noi abbiamo ricevuto il Santo che santifica le nostre anime. Se dobbiamo, pertanto, riconoscere che la santità di Maria non riguarda i sacerdoti piuttosto che i laici o i religiosi, dobbiamo tuttavia soggiungere che il sacerdote non può non ispirare la sua vita e il suo ministero sottraendosi dal riferimento alla Tuttasanta. In tale linea, vorrei esplicitare il tema della spiritualità mariana del sacerdote, sottolineando alcuni aspetti che non dicono soltanto la pietà da coltivare verso Maria, ma che sono vitali al fine di vivere il mistero che lo Spirito Santo ha effuso nei cuori e posto nelle mani dei sacerdoti.

Il vincolo "filiale" che unisce il sacerdote e Maria

Come insegna Presbyterorum Ordinis, al n. 18, la santità del sacerdote si alimenta anzitutto mediante l’economia sacramentale, la quale unisce vitalmente a Cristo coinvolgendo tutta la vita, in comunione e sull’esempio di Maria: "Per poter alimentare in ogni circostanza della propria vita l’unione con Cristo, i Presbiteri, oltre all’esercizio consapevole del ministero dispongono dei mezzi sia comuni che specifici, sia tradizionali che nuovi, che lo Spirito Santo non ha mai cessato di suscitare in mezzo al Popolo di Dio, e la Chiesa raccomanda – anzi talvolta prescrive addirittura – per la santificazione dei suoi membri. Al di sopra di tutti i sussidi spirituali occupano un posto di rilievo quegli atti per cui i fedeli si nutrono del Verbo divino alla duplice mensa della Sacra Scrittura e dell’Eucaristia; a nessuno sfugge, del resto, l’importanza di un frequente uso di questi mezzi ai fini della santificazione propria dei Presbiteri. Essi, che sono i ministri della grazia sacramentale, si uniscono intimamente a Cristo Salvatore e Pastore attraverso la fruttuosa ricezione dei Sacramenti, soprattutto con la confessione sacramentale frequente, giacché essa – che va preparata con un quotidiano esame di coscienza – favorisce in sommo grado la necessaria conversione del cuore all’amore del Padre delle misericordie. Alla luce della fede, che si alimenta della lectio divina, essi possono cercare diligentemente di scoprire nelle diverse vicende della vita i segni della volontà di Dio e gli impulsi della sua grazia, divenendo così sempre più pronti a corrispondere a ogni esigenza della missione cui si sono dedicati nello Spirito Santo. Un esempio meraviglioso di tale prontezza lo possono sempre trovare nella beata Vergine Maria, che sotto la guida dello Spirito Santo, si consacrò pienamente al mistero della redenzione degli uomini. Essa è la Madre del Sommo ed Eterno Sacerdote, la Regina degli Apostoli, l’Aiuto dei Presbiteri nel loro ministero: essi devono quindi venerarla e amarla con devozione e culto filiale". Da questo testo si vede che la devozione mariana richiesta al sacerdote non è dettata da inclinazione devozionalistica, ma è radicata nel sacramento ricevuto: i sacerdoti sono interamente consacrati, dallo Spirito effuso su di loro, al mistero di Cristo Salvatore. Per rispondere con prontezza alla loro vocazione, essi – ammonisce il Concilio – devono venerare e amare Maria con devozione e culto filiale. L’aggettivo "filiale" merita una sosta di riflessione, poiché qualifica un legame costitutivo che precede e suscita la stessa devozione mariana: non è l’omaggio cavalleresco alla propria donna (Madonna), né il sentimentalismo che non incide sulla vita, bensì è obbedienza al dono di Cristo, secondo la mutua consegna-accoglienza tra Maria e il discepolo amato, per volere testamentario del Redentore (cf. Gv 19,25-27). Anzi, l’amore "filiale" verso la Madre del Signore, prolungando l’amore per lei nutrito dal suo divin Figlio, deve rivestire le caratteristiche dello stesso amore filiale di Cristo, il quale, dall’Incarnazione, è stato il primo a dire a Maria "totus tuus". In tal senso la qualifica di "filiale" non dice facoltatività di amore, lasciato ai maggiormente sensibili alla spiritualità mariana, essendo iscritto nell’oggettività dell’essere discepoli-fratelli di Gesù. Sappiamo che la consegna di Maria al discepolo amato non riguarda soltanto l’apostolo Giovanni: Gesù l’ha data per madre a tutti i discepoli. Ma trattandosi di una relazione tra persone, si capisce che Maria esprime la sua maternità nei confronti di ciascun figlio, visto nella propria originalità. I sacerdoti debbono pertanto avere coscienza, in quanto ministri ordinati, del vincolo che li unisce a Maria per ciò che è essa e per ciò che essi sono nel mistero di Cristo e della Chiesa. Colei che consacrò tutta se stessa all’opera del Redentore, è ispirazione fondante per quanti si consacrano nel ministero ordinato ad annunciare ed attuare l’opera della redenzione. Non deve sfuggire che Maria non è soltanto modello di donazione al Redentore e ai redenti, ma, in quanto Madre, è matrice che genera nei sacerdoti, che l’accolgono e l’amano con amore "filiale", la conformità al Cristo suo Figlio. Il sacerdote è chiamato da Gesù, nello stato che lo contrassegna, ad accogliere Maria nella sua vita e nel suo ministero, pronto cioè ad introdurla in tutto lo spazio del suo essere e del suo operare, in quanto ministro che opera in persona Christi. L’efficacia del ministero sacerdotale è, in certo modo, condizionata dall’atteggiamento "filiale" che unisce il sacerdote alla Madre di Cristo, in obbedienza alla suprema volontà del Redentore. In tal senso il Santo Padre ha parlato di Maria Madre del sacerdozio, Madre dei sacerdoti, esortando i ministri ordinati a sentire applicata ad essi la consegna testamentaria di Cristo: "Infatti, il discepolo prediletto, che, essendo uno dei Dodici, aveva udito nel Cenacolo le parole: "Fate questo in memoria di me", fu da Cristo, dall’alto della croce, additato a sua madre con le parole: "Ecco il tuo figlio". L’uomo che il giovedì santo aveva ricevuto la potestà di celebrare l’Eucaristia, con queste parole del Redentore agonizzante fu donato a sua madre come "figlio". Noi tutti, quindi, che riceviamo la stessa potestà mediante l’ordinazione sacerdotale, abbiamo, in un certo senso, per primi il diritto di vedere in lei la nostra madre. Desidero, pertanto, che voi tutti, insieme con me, ritroviate in Maria la madre del sacerdozio che abbiamo ricevuto da Cristo". In quest’ottica, così scrive il Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri pubblicato dalla Congregazione per il Clero nel 1994: "La spiritualità sacerdotale non può dirsi completa se non prende seriamente in considerazione il testamento di Cristo crocifisso, che volle consegnare la Madre al discepolo prediletto e, tramite lui, a tutti i sacerdoti chiamati a continuare la sua opera di redenzione" (n. 68). Il vincolo "filiale" con Maria, mentre permette ai sacerdoti di sperimentarne la materna presenza, insegna loro a vivere il ministero in docilità allo Spirito Santo, imitando il suo essere Cristofora per il mondo. Al riguardo, è illuminante ricordare un passo della Lumen gentium in cui la luce della "maternità" di Maria rischiara quanti sono chiamati al ministero di rigenerare gli uomini nella santità di Dio, come sono appunto i sacerdoti: "La Vergine, infatti, nella sua vita, fu modello di quell’amore materno del quale devono essere animati tutti coloro che, nella missione apostolica della Chiesa, cooperano alla rigenerazione degli uomini" (n. 65). A commento di questa realtà, il Santo Padre Giovanni Paolo II auspicava nella Lettera ai sacerdoti del giovedì santo 1988: "Che la verità sulla maternità della Chiesa, a esempio della Madre di Dio, si faccia più vicina alla nostra coscienza sacerdotale… E’ necessario andare di nuovo a fondo in questa verità misteriosa della nostra vocazione: questa paternità nello spirito, che a livello umano è molto simile alla maternità… Si tratta di una caratteristica della nostra personalità sacerdotale, che esprime precisamente la sua maturità apostolica e la sua fecondità spirituale… Che ognuno di noi permetta a Maria di occupare uno spazio nella casa del proprio sacerdozio sacramentale, come madre e mediatrice di quel grande mistero (cf. Ef 5,32) che tutti vogliamo servire con la nostra vita".

L’ispirante santità di Maria per il sacerdote

L’opera dello Spirito Santo e Santificatore chiama in causa ovviamente il Padre, "fonte di ogni santità", e il Figlio Redentore: lo Spirito "procede dal Padre e dal Figlio", professiamo nel Simbolo. Ma implica anche Maria, come vediamo dalle pagine del Nuovo Testamento. La Vergine, insieme allo Spirito, risalta nell’ora dell’Incarnazione e in quella della Pentecoste, inizio e frutto del mysterium salutis operato dal Cristo: il Figlio dell’Altissimo si è incarnato nel grembo della Vergine per effondere su ogni creatura lo Spirito ricreatore. Se l’effusione dello Spirito Santo nell’Incarnazione e nella Pentecoste implica la presenza di Maria (Madre di Cristo Capo a Nazaret - Madre della Chiesa, corpo del Cristo, nel Cenacolo), ciò non deve essere senza un senso: comprendiamo che la sua cooperazione materna è in qualche modo coinvolta nell’incessante santificazione che lo Spirito di Cristo compie nella vita dei suoi discepoli. Secondo due dimensioni.
* La prima riguarda la missione di Maria nei nostri confronti: se siamo uniti per grazia immeritata al Santo, è anche grazie a Colei che ce lo ha donato. "Concependo Cristo, generandolo, nutrendolo, presentandolo al Padre nel tempio, soffrendo col Figlio suo morente in croce, Maria cooperò in modo tutto speciale all’opera del Salvatore, con l’obbedienza, la fede, la speranza, l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo fu per noi madre nell’ordine della grazia" (Lumen gentium 61). Il risvolto dell’associazione di Maria all’opera del Redentore, è così espresso da Cirillo di Alessandria: "Per te Maria i credenti arrivano alla grazia del santo battesimo… Per te gli apostoli hanno predicato al mondo la salvezza". In questa linea, possiamo aggiungere noi: "Per te, Maria, è elargita la grazia del sacramento dell’Ordine; per te i sacerdoti sono quello che sono; per te i sacerdoti svolgono il ministero della santificazione delle membra del Corpo di Cristo".  Nella santa unzione che, mediante il sacramento dell’Ordine conforma, chi lo riceve, a Cristo Sacerdote, intravediamo scorrere un riflesso mariano. Come non è pensabile di separare il sacerdozio di Cristo dalla cooperazione di Maria, che le ha donato "il corpo e il sangue" per il sacrificio della nuova ed eterna alleanza, così dobbiamo pensare che il vincolo tra Maria e i sacerdoti è ordinato a renderli un’offerta gradita a Dio.
* La seconda dimensione concerne il nostro legame con la Tuttasanta: per essere davvero uniti al Santo ci stringiamo a Maria, imparando da lei a vivere la santità della e nella Chiesa. É quanto hanno fatto gli Apostoli nel Cenacolo, uniti alla Madre del Signore che implorava "con le sue preghiere il dono dello Spirito, che l’aveva già ricoperta nell’Annunciazione" (LG 59). Da quel cinquantesimo giorno dall’alba della risurrezione del Figlio, Maria continua incessantemente a sintonizzare la preghiera della comunità cristiana, invocando lo Spirito Santificatore sul ministero dei sacerdoti, insegnando loro ad accoglierlo degnamente, docilmente, con perseveranza, quotidianamente. La spiritualità mariana di tanti Santi sacerdoti ci esorta ad accogliere Maria nella nostra esistenza, ossia a lasciarle spazio affinché ella, per la potenza dello Spirito Santo, riproduca nelle nostre anime Gesù Cristo al vivo. "Gettiamoci in Maria, come cera in uno stampo per assomigliare perfettamente a Cristo" direbbe ancora oggi il Montfort ai sacerdoti. Lo richiamava anche Paolo VI in questi termini: "Maria è il modello stupendo della dedizione totale a Dio; Ella costituisce per noi non solo l’esempio, ma la garanzia di poter restare sempre fedeli alla consacrazione, che abbiamo fatto dell’intera nostra vita a Dio".

Maria "maestra di vita spirituale"

Alla domanda che cosa dice Maria ai sacerdoti, è facile rispondere rifacendosi alle sobrie ma importanti parole che ella disse ai servi nelle nozze di Cana: "Fate quello che Gesù vi dirà" (Gv 2,5). E’ evocativo collegare queste parole con quelle che Gesù disse agli apostoli nell’Ultima Cena: "Fate questo in memoria di me". Nutrire una vera devozione a Maria si risolve infatti nell’obbedire esistenzialmente a Cristo, lasciandolo "rivivere" nelle nostre persone e nel nostro ministero sacerdotale. In breve, Maria ci richiama maternamente a comportarci secondo la vocazione ricevuta mediante l’imposizione delle mani, ossia a fare memoria nella vita quotidiana dei santi misteri che celebriamo all’altare in persona Christi. Prestare ascolto ai richiami di Maria: "Fate quello che Gesù vi dirà", vuol dire per noi sacerdoti lasciarci formare spiritualmente dalla Madre del Sommo ed eterno Sacerdote: ella educa alla santità, accompagnandoci nel cammino; ella ci chiama a convertirci alla santità; ella ci introduce alla comunione con Cristo nella Chiesa. Per essere fruttuosi, l’amore, la contemplazione, la preghiera, la lode a Maria devono tradursi in "imitazione delle sue virtù" come ricorda Lumen gentium 67. Da lei apprendiamo: la beatitudine della fede; la serenità del farci portare dall’eccomi, anche quando non è tutto chiaro; il perseverare nella vocazione ricevuta, di cui siamo umili servitori e non i padroni; lo spirito missionario dell’andare solleciti a portare Cristo al prossimo, come ella fece recandosi da Elisabetta; l’atteggiamento eucaristico del Magnificat; il custodire nel cuore meditando parole e fatti; il silenzio recettivo davanti al mistero che ci supera; la fortezza di abbracciare con gioia la sofferenza della Pasqua; l’amore al Corpo di Cristo che è la Chiesa. Una sintesi dei frutti che matura nei sacerdoti l’accoglienza di Maria come Madre e Maestra di vita spirituale, è offerta dal n. 68 del Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri pubblicato dalla Congregazione per il Clero: "La sempre Vergine diventa allora la Madre che li conduce a Cristo, che fa loro amare autenticamente la Chiesa, che intercede per essi e che li guida verso il Regno dei cieli. Ogni presbitero sa che Maria, perché Madre, è anche la più esimente formatrice del suo sacerdozio, giacché è Lei che sa modellare il suo cuore sacerdotale, proteggerlo dai pericoli, dalle stanchezze, dagli scoraggiamenti e vegliare, con materna sollecitudine, affinché egli possa crescere in sapienza, età e grazia, davanti a Dio e agli uomini (cf. Lc 2,40). Ma non si è figli devoti se non si sanno imitare le virtù della Madre. A Maria, quindi, il presbitero guarderà per essere ministro umile, obbediente, casto e per testimoniare la carità nella donazione totale al Signore e alla Chiesa".

Conclusione: educarsi per educare alla dimensione mariana della vita spirituale

Anche per la spiritualità mariana ci sono dei tempi di iniziazione e di maturazione. Penso alla formazione nei seminari e negli istituti di studio, ed alla formazione permanente del clero. Per vivere in comunione con Maria e sul suo esempio, occorre conoscerne il mistero, coltivando una spiritualità mariana lontana da ingiustificati massimalismi e minimalismi, in armonia con il posto che la Madre del Signore deve occupare nell’esperienza sacerdotale, imparando da lei a scoprire il "Mistero" per poi dispensarlo, affinché i santi misteri si trasfondano nell’esistenza degli uomini. La santità di Maria è aperta la mistero di Dio, della Chiesa, dell’uomo, della comunione inseparabile con l’Eterno nella Gerusalemme del cielo. In questo Convegno sono state evidenziale le diverse e complementari qualifiche della santita: trinitaria, cristologia, pneumatologica, ecclesiale, eucaristica, apostolica. Mi domando: Maria non è forse un "compendio" che riverbera tutte queste dimensioni della santità? Ecco perché noi sacerdoti, sentendola "matrice" del nostro sacerdozio, dobbiamo amarla con amore filiale e aiutare gli altri a crescere in questo amore.

 

Inserito Martedi 12 Settembre 2017, alle ore 19:38:06 da latheotokos
 
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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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