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  La poesia mariana in Pier Paolo Pasolini: ''L'usignolo della Chiesa Cattolica'' 
Cultura

Il Secondo capitolo della tesi di Luciano Labanca, La poesia mariana. Confronto tra Dante Alighieri e Pier Paolo Pasolini, Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale, Istituto Teologico del Seminario Maggiore di Basilicata, Potenza, Anno Accademico 2007-2008, pp. 9-17.



Eccoci dunque al secondo capitolo del nostro lavoro, nel quale cercheremo di delineare i caratteri della poesia religiosa, in particolare mariana, del grande poeta, scrittore e regista Pier Paolo Pasolini (1922-1975). Dopo qualche spunto di riflessione generico sulla sua figura e in particolare sulla sua religiosità, analizzeremo il suo lavoro poetico L’usignolo della Chiesa cattolica, soffermandoci attentamente su due liriche con argomento mariano: L’Annunciazione e  Litania.

La sua è una figura molto singolare, egli infatti sembra portare nella sua persona tutto il dramma del XX secolo, con luci ed ombre. Come molti letterati di quest’epoca, anch’egli visse un rapporto molto particolare con la fede e il cattolicesimo. Ci sono momenti della sua esistenza in cui vive momenti di profonda nostalgia per quell’universo estatico che la religione porta in sé, altri invece in cui nutre per essa una profondissima avversione. L’opera in cui meglio di tutte si coglie questo dissidio interiore del poeta, è L’usignolo della Chiesa cattolica, un insieme di liriche pubblicate nel 1958 e che raccoglie componimenti che risalgono agli anni ‘43-’49. Nel 1943 Pasolini ha 21 anni e si trova ad affrontare il dramma dell’omosessualità, in queste liriche egli si rivolge a Dio chiedendogli di mostrargli il suo volto e gli offre le sue sofferenze. Il poeta vive un continuo dissidio tra "carne e cielo" che lo travaglia, insomma, desidera la protezione del Padre, affinché si plachino in lui il senso del peccato e il rimorso per la castità che ha violato con i suoi desideri sessuali: chiede che “L'Occhio di Dio” ritorni su di lui, nonostante “l'amore sacrilego” che lo pervade29. Egli vive in sé “un conflitto tra ansia di purezza e desiderio di trasgressione, la scoperta della propria omosessualità, ora vissuta come colpa, ora esaltata con orgoglio30.

A proposito della raccolta L’usignolo della Chiesa cattolica, lo stesso poeta afferma che si tratta di un “libretto di meditazioni religiose” e in una sua lettera scrive: “Quanto all’Usignolo sento per lui una certa tenerezza perché rappresenta quel me ventunenne e ancora vergine, che ritornato a Casarsa dopo molto tempo, si era lasciato suggestionare da una specie di cristianesimo paesano, non senza trovare però nel suo eros esasperato dolci ed equivoche fonti di eresie. Ma le situazioni non si risolvono, si consumano31.

Tra i componimenti della raccolta ci soffermeremo in particolare su quelli dedicati alla Madonna. Questi due, ossia  L’annunciazione e Litania, risalgono proprio al 1943, sono tra i primi della raccolta. Alcune delle liriche precedenti a queste due, che hanno per soggetto Cristo crocifisso, fanno cogliere come il poeta veda nel Figlio di Dio, una figura della sua persona sofferente e con la conseguente proiezione della Madre nella Vergine32.

Detto questo passiamo ora all’analisi del primo dei due componimenti scelti: L’annunciazione33. Il poeta qui ripresenta l’episodio dell’annuncio dell’angelo Gabriele alla Vergine Maria, la quale diviene Madre del Signore Gesù, per opera dello Spirito Santo. La scena rappresentata da Pasolini, è in forma dialogica, con l’intervento di tre personaggi, “i figli”, emblema di tutti gli uomini, tra i quali si nasconde il poeta stesso, “l’Angelo” e “Maria”. Analizziamo ora la prima parte del dialogo, quella in cui i figli di Maria le parlano:
- I FIGLI
Madre, cos’hai
sotto il tuo occhio?
Cosa nascondi
nel riso stanco?
Domeniche antiche,
fresche di cielo,
antichi maggi
rossi negli occhi
delle tue amiche,
antichi incensi...
Ora, al tuo letto,
tremiamo per te, madre, fanciulla,
per le domeniche,
gli incensi, i maggi.
Tu eri tanto bella e innocente...
Madre... chi eri?
quando eri giovane?
E Lui, chi era?
Madre, che muoia...
Ah, sia fanciulla
sempre la vita
nella severa
tua vita fanciulla...

La Vergine in base alle parole del poeta appare quasi stanca e nostalgica, prova dentro di sé qualcosa che la turba. Ella nasconde qualcosa nel suo “riso stanco” e i suoi figli desiderano sapere cosa ella provi. Secondo il poeta Maria ha perduto la bellezza e l’innocenza di un tempo: “Tu eri tanto / bella e innocente”, ma allo stesso modo, non ha perduto la maternità. È entrata nel mondo diverso dell’età adulta, tanto che il poeta le chiede “chi eri / quando eri giovane?”. Il nostro poeta in queste parole che insieme ai suoi fratelli immaginari rivolge alla Madonna, sembra provare nostalgia per quei tempi sereni fatti di domeniche antiche, fresche di cielo, antichi “maggi” e antichi incensi. Tutto ciò che ora gli manca, in un momento in cui qualcosa è venuto a rompere il suo equilibrio, facendogli sentire tutta la dolcezza di quei momenti “antichi”, forse rimpianti. Maria è cambiata, non è più la stessa. Da questo sorge la preghiera spontanea e intensa dei figli che le chiedono di conservare la vita innocente, proprio come era un tempo. Il poeta è consapevole di tale cambiamento di Maria, che ha ricevuto la notizia sconvolgente del divenire Madre di Cristo. È qui che si può sentire la voce del poeta tra i suoi fratelli, mentre invoca una vita innocente anche per sé stesso. Come la Vergine è entrata nel mondo della maternità, lasciando la fanciullezza e conservando comunque la “severa vita fanciulla” nello spirito e nel corpo, così il poeta, entrato nel dramma della scoperta di sé, invoca da Maria l’innocenza di un tempo. Più avanti troviamo le parole dell’Angelo:
- L’ANGELO
Non senti i figli?
O lodoletta canta
in un’alba di eterno amore...

In questa seconda parte del componimento l’angelo dell’annuncio rivolge parole di intercessione a Maria, chiedendo di ascoltare la voce dei figli che la invocano. Si rivolge a lei col termine “lodoletta”, un vezzeggiativo per “allodola”, un famoso uccello canoro, affinché canti in un’alba di amore senza fine, quasi a prolungare all’infinito l’innocenza tanto attesa. Alla fine della lirica troviamo le parole di Maria che risponde alla richiesta dell’angelo per i figli:
- MARIA
Angelo, il grembo
sarà candore.
Pei figli vergini
io sarò vergine.

Ella rassicura tutti del fatto che l’innocenza rimarrà, dicendo emblematicamente che sarà vergine per i figli vergini. È difficile comprendere quello che il poeta volesse dire con questi versi; ciò che si nota senza difficoltà è che emerge con forza e insistenza il dolore e la nostalgia di questo figlio che soffre il conflitto tra il peccato e l’innocenza, la terra e il cielo, pertanto una cosa è certa: “Ai suoi figli – anche a quelli curvi sotto il fardello della miseria umana – la “Madre” si presenta sempre nella sua bellezza e innocenza di fanciulla. Alla richiesta dell’angelo di ascoltare la voce dei figli, lei risponde che pei figli vergini lei sarà vergine. L’espressione è ambigua, ma il senso di candore ed’innocenza, diffuso dalla "Madre", illumina gli sfondi” 34.

L’altro componimento che vogliamo esaminare è Litania35. Esso è caratterizzato da 7 parti con un titolo autonomo. Ogni parte ha come titolo una delle celebri Litanie Lauretane, una celebre raccolta di invocazioni a Maria risalenti al XIV secolo. In ogni parte si trovano due strofe di 4 versi ciascuna. Analizziamo questi versi:
- JANUA COELI
La porta s’apre
quando la pioggia
marcisce la sera.
Allora un raggio
        rompe dai nuvoli.
        Tu nuda, o Vergine,
        specchi nell’umido
        il viso azzurro.

Si inizia col titolo di Janua coeli, ovvero “Porta del cielo”, un titolo attribuito a Maria nelle litanie di cui dicevamo. Ella è il tramite per il cielo, è colei che porta a Dio, per questo è considerata porta. Ma i toni del poeta sono ben diversi da ciò che il titolo può far pensare. C’è una scena di pioggia e oscurità, interrotta da Maria, che giunge come un raggio tra le nuvole, specchiando nell’umidità il suo viso azzurro come il cielo. È lei dunque che apre le speranze del poeta nel cielo burrascoso e oscuro del suo animo tormentato. La Vergine però è descritta come “nuda”. Un aggettivo alquanto insolito per indicare la Vergine, potremmo dire quasi dissacrante, in apparente contrasto con ciò che lo stesso poeta ha detto dell’innocenza di Maria nella lirica esaminata prima.
- SPECULUM JUSTITIAE
Specchio del cielo!
In te le nubi
i muri gli alberi
cadono immoti.
        Spio capovolto…
        Che pace paurosa!
        Non c’è un sospiro
        nel cielo, un alito.
Maria è invocata come Speculum Justitiae, “specchio della giustizia”, colei che è immagine di ogni giustizia umana e divina. È descritta da Pasolini come lo specchio del cielo, quasi riprendendo l’immagine dei versi precedenti, ritorna il tema della visione. Ella è la portatrice di pace, in lei tutto ciò che è imponente cade come morto. Nella prima quartina la mancanza di segni di punteggiatura fa quasi vedere il movimento di questi elementi che incalzano fino a trovare il porto sicuro in Lei. Il poeta è sconvolto da questa“pace paurosa” e si ferma quasi in estasi a contemplare questo cielo senza un movimento.
- MATER PURISSIMA
Poveri miei occhi
di giovinetto
chini su in corpo
colore dell’alba!
        Il gesto santo
        del mio peccato
        cade in un vespro
        di castità!

In questo e nelle prossime due litanie, il poeta attribuisce a Maria i titoli caratteristici di purezza e verginità. Qui, Maria è Madre purissima; gli occhi del poeta cadono sul suo corpo “colore dell’alba”, un corpo bianco, puro, senza macchia. Vedendo questa immagine di Paradiso il poeta desidera condurre “il gesto santo del suo peccato”, delineato con una espressione ossimorica, tipica anche di altri componimenti, alla castità.
- MATER CASTISSIMA
Ahi crudeltà
non trapassarmi
con gli occhi il corpo!
Sì è nudo
        caldo e innocente…
        Sotto quel crudo
        amore degli occhi
        mi sento morire.
Maria è la Madre castissima, perciò pur rivolgendo gli occhi sul corpo nudo del poeta, caldo della passione, ma anche innocente, compie solo uno sguardo pieno d’amore spirituale. Il poeta però soffre per l’amore tanto puro dello sguardo di Maria, molto diverso da quello delle donne terrestri.
- MATER INVIOLATA
Dal tuo grembiule
accieca il figlio
un lume candido
di albe e gigli.
        Madre! quel lume
        è tanto puro
        che la tua coscia
        pare di neve.
Ecco ancora come il poeta si sofferma a contemplare Maria, Madre inviolata. Ella non ha conosciuto uomo, perciò dalla sua figura si sprigiona una luce che acceca quasi il figlio, immagine dello stesso poeta non abituato ad una luce tanto pura (si consideri anche il segno dei gigli, fiori che da sempre indicano la purezza). Ella comunque, per uno strano disegno divino, è anche Madre; una Madre speciale che sembra essere candida come la neve, anche nelle sue parti più intime come può essere una “coscia”. Come già in altri punti della lirica, il poeta sembra rendere un po’ troppo plastica l’immagine di Maria, quasi dissacrandone l’umanità divinizzata.
- TURRIS EBURNEA
Seni di avorio,
nidi di gigli,
non v’ha violato
mano di padre.
        Fianchi lucenti
        di nere nuvole
        non vi fa scuro
        la nostra pioggia.

L’immagine della luce bianca ritorna anche in questi versi. Maria è “Torre d’avorio”, ossia donna forte e purissima come il bianco di questo prezioso materiale. Continua ancora lo stile insolito e dissacrante di Pasolini anche qui: Maria ha i seni d’avorio, puri, inviolati, non macchiati da mano d’uomo, così come i fianchi, spendenti di santa luce, mai oscurati dalle tempeste umane. Ritorna ancora l’immagine del cielo oscurato e turbato dalle nubi, chiaro segno dell’animo tormentato del poeta.
- STELLA MATTUTINA
Nel duro silenzio
rustici uccelli
pungono l’aria
e il casto cuore.
        Che calma morte!
        Su ridestiamoci,
        che il nostro cuore
        vuole peccare.
Nella penultima parte del componimento Maria è “stella del mattino”: colei che anticipa la venuta del Sole, Cristo Gesù. Il poeta dipinge un quadro di iniziale pace, un clima di profondo silenzio rotto soltanto dal volo di uccelli che attraversano l’aria e addirittura disturbano il cuore casto della Vergine. Davanti a questa scena di calma mortale, dopo i desideri di castità che la purezza di Maria aveva ridestato nel poeta, il richiamo della carne ritorna veemente in lui, tanto che il suo cuore, in contrasto con quello casto di Maria, desidera peccare. Infine, abbiamo l’ultima parte della lirica:
- REGINA PACIS
O Inesistente
quante preghiere
strappate al cuore
per ricadere
        sul nostro cuore!
        Febbrile e vano
        suono degli angelus
        sul giorno umano.
Qui Maria è “Regina della pace”, ma non nel senso in cui è inteso dal cristianesimo, cioè quello di portatrice di pace nei cuori: ella per il nostro poeta è tale in quanto è la sua più grande illusione. Viene invocata addirittura come “Inesistente”: Ella ha solo strappato preghiere vane al poeta, il quale adesso, scoprendo la propria inconsistenza, è ricaduto su se stesso, nel profondo dell’inquietudine passionale. Maria, dunque, non è altro che un febbrile e vano suono di campane sulla vita umana, tanto da non portare la pace, se non nella caduta sul dramma della propria esistenza.

Concludendo la nostra analisi dei componimenti, possiamo affermare che la poesia mariana di Pasolini è molto diversa da quella di Dante Alighieri, sia per stile, che per contenuti. Il poeta friulano in un denso sistema di quinari e senari cantabilissimi, ricchi di fusioni di immagini che non prevedono una dinamicità, ma si chiudono nell’ossimoro, prospetta una religione dissacrante che è quasi eresia, negazione dei principi dati. In lui riemergono tratti comuni del decadentismo europeo, nel narcisistico e sofisticato gioco di specchi, in cui emerge spesso il suo volto triste ed inquieto 36.
 

NOTE
29 Cf F. PANZERI, Guida alla lettura di Pasolini, Mondadori 1988, citato in http://www.cinetecadibologna/sitopasolini/poesia.html.
30 AA. VV.,  Letteratura, Il Novecento, tomo 6A, ATLAS, Torino 2005, p. 92.
31 P. P. PASOLINI, Lettere 1940-1954 con una cronologia della vita e delle opere, Einaudi, Torino 1986, Lettera a Contini del 26 gennaio 1947, p.283.
32 Cf Prefazione di Rienzo Pellegrini in P.P. PASOLINI, L’usignolo della Chiesa Cattolica, Garzanti, Gravellona Toce (VB) 2004, p. 16.
33 Il testo usato è in P.P. PASOLINI, L’usignolo della Chiesa Cattolica, Garzanti, Gravellona Toce (VB) 2004, p. 63-64.
34 Cf F. CASTELLI,  I così detti "poeti maledetti" invocano Maria, in «La civiltà cattolica», maggio 1999.
35 Il testo usato è in P.P. PASOLINI, L’usignolo della Chiesa Cattolica, Garzanti, Gravellona Toce (VB) 2004, p. 65-68.
36 Cf Prefazione di Rienzo Pellegrini in P.P. PASOLINI, L’usignolo della Chiesa Cattolica, Garzanti, Gravellona Toce(VB) 2004, p. 16.

 

Inserito Sabato 22 Settembre 2018, alle ore 9:49:36 da latheotokos
 
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