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  Elio Fiore: un poeta immerso nel mistero di Maria 
Cultura

Un articolo di Maria Di Lorenzo su Madre di Dio, n. 12, dicembre 2002.



Il suo poemetto Miryam di Nazareth, interamente dedicato alla Madonna, è quanto di più alto la poesia contemporanea ha prodotto sulla figura della Madre di Cristo.

Ci sono degli uomini che passano attraverso la vita senza difendersi. Uomini che la loro vita la vivono, semplicemente, ma più spesso la patiscono, e qualche volta se ne rallegrano, senza però mai arrivare a possederla, senza mai appropriarsene veramente. Razza di perdenti, di visionari, per alcuni che giudicano secondo le categorie del mondo; razza di profeti e di mistici per altri, capaci di leggere attraverso la follia scandalosa della Croce tutta la saggezza che il mondo non è in grado di scorgere. A quest’ultima tipologia apparteneva il poeta Elio Fiore, morto a Roma nella notte tra il 19 e il 20 agosto 2002, a 67anni di età.
Con Fiore scompare un poeta, un poeta autentico. Un poeta cristiano profondamente innamorato di Maria. Lei - come ci confidò - era la sua musa, la sua prima ispiratrice. Lo intervistammo qualche anno prima di morire e qualcuno ricorderà certamente i bellissimi versi dedicati a Maria che pubblicammo e quanto lui ci disse di sé e della sua originale e profonda devozione mariana.

Un outsider della poesia

Nato a Roma nel 1935 e battezzato in San Pietro, bibliotecario al Pontificio Istituto Biblico per oltre un ventennio, dopo molti mestieri, l’esperienza della fabbrica e della malattia discesa come una "lunga tenebra" nella sua vita per oltre un decennio, Elio Fiore non era un "poeta laureato" e nella moderna babele massmediatica la sua voce di outsider assomigliava a quella della vedetta di cui parla Isaia: "Mi ha detto il mio Signore – Va’/ Sii la Vedetta Notturna / Quello che vedi grida…"(Is. 21, 6).
Alla sua prima raccolta del ’64 intitolata Dialoghi per non morire (allora presentata da Giuseppe Ungaretti: quasi una"investitura" poetica), avevano fatto seguito le plaquettes Maggio a Viboldone (1985) e Nell’ampio e nell’altezza (1987), quest’ultima preceduta dal volume di poesie In purissimo azzurro (Garzanti, 1986). Seguirono poi i Notturni (Scheiwiller, 1987), All’accendersi della prima stella (i., 1988), Dialoghi per non morire (i., ristampa, 1989), Improvvisi (i., 1990), Myriam di Nazareth (Ed. Ares, 1992), Gli occhi dell’universo (1995), Il cappotto di Montale (Scheiwiller, 1996), I bambini hanno bisogno (Interlinea, 1999).
Artista delicato e appartato, Fiore godeva dell’amicizia e dell’ammirazione di Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti, Mario Luzi, Carlo Bo. "Un grande poeta – disse di lui una volta, con la sua solita arguzia, mons. Claudio Sorgi –, ma si sa: i poeti diventano popolari in vita solo se vincono il Nobel o se fanno scandalo…".
Una voce assolutamente unica e originale nel panorama letterario italiano. Un poeta che ha percorso per tutta la vita una lunga strada solitaria, lontano dalle "conventicole" culturali e dalla grancassa dei mezzi di massa. Una strada fatta di preghiera, di ascolto e di laborioso silenzio, con gli occhi rivolti a Maria, "poetessa che spinge il suo sguardo / nei secoli dove la chiameranno beata".
Fiore era talmente innamorato di Maria, da riconoscerne i tratti moderni, attualissimi, nel volto di una homeless con figlio al seguito, su una strada addobbata per le feste natalizie, tra gente frettolosa e distratta, di una qualunque città dell’opulento mondo occidentale. Scriveva:        

        Maria era tutta vestita di nero,
        stava per terra, ferma, composta,
        tra le braccia stringeva Gesù.
        Sull’affollato corso i passanti
        andavano distratti, senza guardare,
        senza dare una lira di elemosina.
        Maria aveva gli occhi chiusi,
        ma due lacrime scendevano
        dal viso. Gesù mi sorrideva,
        mentre s’accendevano le luci
        sul mercato di lusso, sfavillante
        di regali, di stelle e di angeli.
        Gesù mi stringeva forte la mano
        e in quel sorriso innocente,
        sentivo tutto il dolore del mondo…

Una sorta di Natività mendicante che, come possiamo vedere, ben poco ha da spartire con l’immagine, oleografica e un po’ dolciastra, di tanta poesia devozionale mariana.

La fede e nient’altro

Battezzato in San Pietro, il poeta ha abitato per quasi trent’anni nel cuore della Roma israelita, al Portico d’Ottavia; una circostanza che ha avuto una grande influenza nella sua produzione poetica, alimentando il suo immaginario e rendendolo compartecipe della storia e della tradizione giudaica, tanto che la Comunità Ebraica gli fece dono - a lui, "cattolico apostolico romano" – dell’elenco dei circa duemila ebrei romani catturati dai nazisti e deportati nelle camere a gas nell’autunno del 1943.
Fiore aveva otto anni infatti quando assistette, da ignaro testimone, a quel terribile evento, e solo qualche mese prima, nel luglio ’43, era rimasto per dieci ore sepolto insieme a sua madre sotto le macerie nel bombardamento del quartiere San Lorenzo al Verano, che costò più di tremila morti e tanti feriti. Una storia spaventosa che non vorrà, né potrà, mai dimenticare:

        Qui, nel segreto della mia dimora, scava la voce
        della memoria, nel fragore del Tevere cresce la pietà,
        viva dal 16 ottobre 1943. Quando il mio piede innocente
        fu bagnato dal sangue dei giusti d’Israele.
        Quando gli empi urlavano, sfondavano le porte coi fucili….

Versi "semplici e terribili", li ha definiti Mario Luzi, "che affondano nella carne viva del nostro secolo". Versi emblematici nell’offrire le coordinate spirituali della storia di un poeta, di un uomo.
La follia dell’Olocausto, la dura memoria dei morti, la fede nella poesia e nei poeti, la ricerca di Dio non in astratto, ma "nel sangue e nel grido della Storia", il bisogno di guardare e di raccontare, perché la scrittura è un dovere, un imperativo morale, così come un dovere è la memoria. Sono i temi della sua poesia, insieme alla fede nell’invisibile, il primato della persona, la necessità del canto e della profezia, che esprimono il suo stare religiosamente dentro la Storia, con ogni emblema di bene e con ogni metafora del male. "La fede e nient’altro è la vita – scriveva lui –; il resto non conta, è Storia".

"Che posto occupa la Madonna nella sua vita di ogni giorno?" - gli chiesi nel corso dell’intervista che realizzai nella sua abitazione romana. Una casa, ricordo, che era un guscio di vive memorie, così zeppa di quadri e di disegni, quasi presenze sacrali i molti volti che occhieggiavano dai muri: lo sguardo felino di Giuseppe Ungaretti, il fiero profilo di Sibilla Aleramo, la verace vitalità di Anna Magnani, splendida interprete di Roma città aperta, a cui Fiore aveva dedicato versi di intrigante bellezza. Lari domestici in quotidiano, ininterrotto colloquio col poeta.
- "Che posto ha Maria nella sua vita?" - gli domandai.
-"Oh, un posto molto importante: Lei è costantemente presente nella mia mente e nel mio cuore".
- "É vero che ha un rosario regalatole da Lucia dos Santos,la veggente di Fatima?" - gli chiesi a bruciapelo -. "Come lo ha avuto?"
- "Ah, questo è un segreto…" - rispose lui.
- "Non vuole raccontarcelo?" - lo incalzai.
- "Le cose sono andate così: un giorno, molti anni fa, ebbi l’indirizzo di Suor Lucia a Coimbra e così decisi di scriverle. Non l’ho mai incontrata, naturalmente, perché lei vive in clausura e non vede nessuno da molto tempo. Nella lettera io le parlai di me, ma soprattutto le parlai di Lei, di Maria. Ne nacque una corrispondenza, e un giorno con mia grande sorpresa – senza che avessi osato chiederglielo – Suor Lucia mi inviò un rosario, a cui sono legatissimo: è con esso infatti che mi preparo ogni giorno alla chiamata del Signore".
Lo ha scritto anche in una delle sue più recenti poesie:

        Lasciami camminare
        Madre di Dio, nel tuo rosario finale,
        arco che squaderna luce e tenebre.
        C’è tanto buio ancora, figlia di Sion,
        ma voglio, nella salita aspra, superare
        ogni prova, per ritrovare mia madre,
        la Rosa che s’ingioia nel tuo Segreto:
        l’Amore incarnato dell’Unigenito Figlio….

- "C’è qualcosa di cui lei ha paura, signor Fiore?"-, gli domandai prima di congedarmi.
- "" - rispose lui prontamente -, "ho paura della menzogna, della calunnia: ho paura delle piccole cose ordite dagli uomini meschini. E poi mi terrorizza la burocrazia, la storia delle bollette e dei certificati mi sconvolge, mi smarrisce… Piccole cose: come vede" - spiegò con un sorriso -, "non grandi cose mi fanno paura". E poi, come indovinando il filo segreto dei miei pensieri, aggiunse: "Io non temo la morte, sa, non la temo assolutamente, perché so che essa è soltanto un passaggio. Verso Dio, la gioia senza fine". In quella gioia ora il poeta di Maria potrà contemplare, come desiderava, il volto tanto anelato della Madre.

"Per ritrovare mia madre"

In una lirica, dal titolo Assunzione di Miryam in Cielo, che è fra le più belle contenute nel poemetto Miryam di Nazareth, Elio Fiore scrive:

        Vergine Madre, io non ti chiedo nulla,
        ma dal Cielo, ti prego, assicura
        mio padre e mia madre che sono attento
        alla legge di tuo Figlio
        al suo amore che mi chiede di perdonare
        a chi mi ha fatto del male.
        Miryam, in questo antico Ghetto,
        eternamente lordo del sangue di David,
        mi preparo con il rosario
        di Lucia dos Santos
        alla tua chiamata improvvisa.
        Madre, perché tu sai
        che di te sono innamorato
        e se chiudo gli occhi,
        se cammino in piazza Santi XII Apostoli
        per andare al lavoro,
        ti vedo illuminata di un sole
        fisso nel tuo cuore immacolato,
        con ai piedi la tua Rosa del Creato,
        tessuta nel tuo eterno telaio.
        Con tuo Figlio ti vedo
        incessantemente rivestire
        i miei fratelli uomini di luce,
        brillare la tua gloria sul tuo servo
        che nel silenzio di questa casa,
        dove nel 1966 mi hai guidato,
        ho accolto il tuo mistero colmo di musica.

 

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Inserito Domenica 23 Settembre 2018, alle ore 9:39:53 da latheotokos
 
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