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  Conquiste attuali della mariologia e loro impatto su pastorale del nostro tempo 
MariologiaUn approfondimento di Stefano De Fiores, in A. Langella - G. Falanga (a cura di), La figura di Maria nella predicazione e nella pietà oggi, Verbum Ferens, Napoli 2013, pp. 11-30.

La mariologia del nostro tempo presenta un vasto panorama, documentato da una fitta bibliografia1, che la rendono interessante e articolata. Dopo il cosiddetto “decennio senza Maria” (1964-1974), il cantiere degli studi mariani non conosce sosta. Limiteremo ad alcuni punti fondamentali il nostro discorso. Muoveremo dalla presa di coscienza dell’importanza, anzi della necessità della mariologia nell’approfondimento della fede. Passeremo, poi, ad altre acquisizioni che devono influire sull’impostazione del discorso circa Maria nel contesto della storia della salvezza: la lezione del Vaticano II, il primato della liturgia, la valorizzazione della pietà popolare come parte di una cultura organica, la necessaria dimensione ecumenica della mariologia, il grande problema dell’inculturazione.

1. NECESSITÀ DELLA MARIOLOGIA NELL’APPROFONDIMENTO DELLA FEDE

Nel Congresso internazionale mariologico che si celebrò a Loreto (22-25 marzo 1995), l’allora cardinale Ratzinger, commentando l’articolo del Credo: «Et incarnatus est de Spiritu sancto ex Maria Virgine», affermava la centralità di Maria nella confessione di fede nel Dio incarnato, collocata proprio «nel punto centrale della confessione nel Dio vivente, il quale non può essere pensato senza di lei»2. La conseguenza teologica ineludibile è che Maria entra nel concetto del Dio vivo e agente nella storia, tanto che non si può pensare a lui senza il riferimento all’attiva collaborazione materna e consapevole di lei. Il “” di Maria apre al Verbo «lo spazio, ove egli può piantare la sua tenda», poiché «Dio non è legato a pietre, ma egli si lega a persone vive»3. Se Maria non può essere assente dalla teologia, non lo può essere nemmeno dalla catechesi. Parliamo della catechesi come fase formativa organica e sistematica, che assume la qualifica mariana quando Maria non è soltanto “elemento decorativo” dell’insegnamento della fede, ma viene considerata lei stessa “educatrice”, “madre e modello dei catechisti” e, in quanto sintesi dei misteri della fede, “catechismo vivente”, come l’ha definita Giovanni Paolo II al n. 73 della Catechesi tradendae4.

2. SVOLTA STORICO-SALVIFICA DEL CONCILIO VATICANO II E FINE DEL DISCORSO AUTONOMO SU MARIA

Tutti conosciamo la storia del capitolo VIII della Lumen gentium5. In essa risulta particolarmente importante la svolta decisiva del 29 ottobre 1963, quando, dopo il plaidoyer dei cardinali Rufino Santos e Franz König a favore o contro lo schema mariano separato, si votò in aula conciliare sul quesito: «Piace ai padri che lo schema sulla Beata Vergine, madre della chiesa, si modifichi così da diventare il capitolo VI dello schema De ecclesia?». Su 2193 vescovi votanti (la maggioranza richiesta era di 1097 voti) furono favorevoli all’inserimento dello schema mariano nel De ecclesia 1114 padri, contro 1074 contrari (con 5 voti nulli): la corrente favorevole all’inserimento vinse, pertanto, per lo scarto di 17 voti; per la corrente contraria lo scarto fu di 40 voti. Questa votazione è considerata una svolta storica e «uno spartiacque spirituale»6, in quanto ha condotto il Concilio a cambiare rotta e a elaborare una nuova impostazione mariologica più adatta alla situazione ecclesiale. Direttamente si tratta di una questione di procedura. Tuttavia, a motivo della teologia sottostante alle due posizioni, lo schierarsi dall’una o dall’altra parte riveste un’importanza di ordine dottrinale, metodologico e pastorale. La ragione teologica principale addotta dal cardinale Santos ci sembra la singolarità e trascendenza di Maria rispetto alla chiesa, che ricalca la dottrina medievale secondo cui ella «sta tra Cristo e la chiesa»7. Per il cardinale König, invece, Maria fa parte della chiesa, quindi è conveniente non escluderla dal tema centrale del Concilio, che è la chiesa; anzi, la beata Vergine, «come membro eminente del popolo di Dio», deve essere collocata in essa8. Non vi sono dubbi circa il cambiamento radicale operato nel corso delle vicende conciliari del testo mariano. La nuova prospettiva appare già dal titolo che pone Maria nel mistero di Cristo e della chiesa e dal primo numero che ruota intorno al «divino mistero di salvezza» (LG 52) inteso, in senso paolino, come il piano salvifico di Dio rivelato e realizzato nel tempo. Maria è profeticamente adombrata nei libri dell’Antico Testamento che «descrivono la storia della salvezza» (LG 55). Ella è vista, poi, nel momento centrale della storia della salvezza, poiché con lei, eccelsa Figlia di Sion, «si compiono i tempi e si instaura la “nuova economia”» (ivi). Il testo riassume la presenza di Maria nei misteri della vita di Cristo sotto la formula della cooperazione alla salvezza e rigenerazione umana («cooperò in modo tutto speciale all’opera del Salvatore […] per restaurare la vita soprannaturale delle anime» LG 61). Poi si passa a trattare di Maria nel mistero della chiesa, modulandolo secondo la tipologia («tipo della chiesa») e il «materno amore» (LG 63). Infine, la chiesa, proiettata verso l’escatologia e il «giorno del Signore», contempla in Maria glorificata «l’immagine e l’inizio» del suo futuro (LG 68). A lei si dirigono le preghiere dei fedeli perché, per la sua materna intercessione, si adempia il piano divino dell’unificazione dei popoli nell’unico popolo di Dio «a gloria della santissima e indivisa Trinità» (LG 69). La conseguenza immediata per la mariologia e, quindi, per la catechesi e la predicazione, è la fine di un discorso totalmente autonomo su Maria, dal momento che la primitiva evangelizzazione e catechesi ha come orizzonte la storia della salvezza o il tutto della fede, il cui centro è Cristo nel suo mistero. Ciò non significa che non si possa più scrivere un libro o fare una predica su Maria, ma, al di là dell’autonomia spaziale, deve emergere «una struttura interiore della trattazione di tipo comunionale e relazionale. Si coglie, cioè, Maria nei suoi nessi organici con il centro del piano salvifico, che è Gesù Cristo, e con i vari elementi ad esso collegati»9. Con il teologo Bruno Forte, proponiamo per il discorso mariologico un’autonomia non assoluta e isolata ma relativa e relazionale, proprio come quella che compete alla persona di Maria, dotata di autonomia libera, decisionale e attiva (con azione propria) e insieme funzionale all’intera opera della salvezza e al suo centro che è Cristo10.

3. PRIMATO DELLA LITURGIA NEL CULTO DI MARIA: DALLA MARIALIS CULTUS ALL’ECCLESIA DE EUCHARISTIA

La chiesa afferma il primato e l’efficacia del culto liturgico «culmen et fons» (SC 10) di tutta la sua vita. In realtà, la liturgia celebra l’opus salutis con cui Cristo ci ha liberati dal potere del male e chi ha trasferiti nel Regno di suo Padre, nel mistero pasquale della sua morte e risurrezione, nel mirabile dono effusivo dello Spirito di verità e di santità (cf. SC 6). La consegna conciliare di promuovere il culto «specialmente liturgico» verso Maria (LG 67) è stata accettata e sviluppata dalla Marialis cultus di Paolo VI 11, che, tra l’altro, applicando alla liturgia la dottrina conciliare di Maria “tipo della chiesa”, presenta la Vergine «quale modello dell’atteggiamento spirituale con cui la chiesa celebra e vive i divini misteri» (n. 16), riconoscendola di volta in volta come “Vergine in ascolto”, “Vergine in preghiera”, “Vergine feconda”, “Vergine offerente” (cf. nn. 17-20). Trent’anni dopo, l’Ecclesia de eucharistia di Giovanni Paolo II12 punterà sull’esemplarità di Maria come modello di vita eucaristica cui ispirarsi, sulla sua presenza e il rinnovo dell’affidamento nella celebrazione liturgica (cf. nn. 55-57). Secondo l’enciclica, la vicenda evangelica della Vergine si svolge in analogia con quanto avviene nella liturgia:
 –
Maria crede nel Verbo fatto carne: Nell’Annunciazione si riscontra «un’analogia profonda tra il fiat pronunciato da Maria alle parole dell’Angelo, e l’amen che ogni fedele pronuncia quando riceve il corpo del Signore» (n. 55).
Il Magnificat cantico eucaristico: Cantato da Maria dopo la rivelazione della sua maternità da parte di Elisabetta, il Magnificat rimbalza nella chiesa, che «nell’eucaristia si unisce pienamente a Cristo e al suo sacrificio, facendo suo lo spirito di Maria», ossia «rileggendo il Magnificat in prospettiva eucaristica» (n. 58).
Unita nell’offerta del sacrificio: Nel tempio di Gerusalemme, l’annuncio di Simeone riguarda «il dramma del Figlio crocifisso» e, quindi, «lo Stabat Mater della Vergine ai piedi della croce» (n. 56).
Presente presso la croce: Il vertice della partecipazione di Maria al mistero pasquale, di cui l’eucaristia è l’anamnesi, è certo l’esperienza di questo mistero da parte sua «in prima persona sotto la croce» (n. 56), dove Cristo «a lei consegna il discepolo prediletto e, in lui, consegna ciascuno di noi: “Ecco tuo figlio”» (n. 57).
Assidua alla frazione del pane: Infine, ci si soffermare con compiacenza su Maria «nel periodo post-pasquale, nella sua partecipazione alla celebrazione eucaristica, presieduta dagli apostoli, quale “memoriale” della passione» (n. 56). Certa è la presenza di Maria alla «frazione del pane» (At 2,42), formula indicante l’eucaristia, che veniva celebrata assiduamente dalla comunità di Gerusalemme e poi da Paolo (cf. At 20,7.11; 27,35). La Madre di Gesù, nominata come facente parte della comunità cristiana post-pasquale (cf. At 1,14), era tra quei “tutti” che «ogni giorno insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia (en agalliásei) e semplicità di cuore (kai aphelóteti)» (At 2,46).
Maria, nella sua vita terrena, ha seguito fedelmente Gesù fin sotto la croce «soffrendo profondamente col suo Unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di lui» (LG 58). Non per nulla, «il ricordo di Maria nella celebrazione eucaristica è unanime, sin dall’antichità, nelle Chiese d’Oriente e dell’Occidente» (n. 57) e il Communicantes del Canone romano pone in venerazione e in comunione in primo luogo «la gloriosa e sempre vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo»13. Ci soccorre una scoperta recente che interpreta la presenza personale di Maria con il suo corpo glorioso e pneumatico, non circoscrivibile dallo spazio e dal tempo14. Una realtà escatologica che entra nel mondo come forza viva di grazia e salvezza. Nel memoriale del Calvario – insiste Giovanni Paolo II – non manca la riattualizzazione di questa consegna, per cui in esso «è presente tutto ciò che Cristo ha compiuto nella sua passione e nella sua morte» e «pertanto non manca ciò che Cristo ha compiuto anche verso la Madre a nostro favore»(n. 57). In questa linea, si può concludere che nell’eucaristia si ripresenta e attualizza anche il gesto salvifico di Cristo che consegna Maria alla comunità e questa a lei. Prospettiva quanto mai attraente, che richiede di essere spiritualmente sperimentata e teologicamente approfondita. In sintesi: in ogni Messa siamo chiamati a partecipare all’eucaristia in modo attivo, consapevole e con sentimenti di fede. In particolare, dobbiamo rispondere al dono della salvezza, costituito dal mistero pasquale attuato sull’altare, accogliendo Cristo, unico Mediatore e Redentore, ma, secondo la sua stessa rivelazione, accogliendo anche Maria, come ha fatto il discepolo amato presso la croce del Salvatore. È un’unica accoglienza, poiché si tratta di accogliere Maria nello spazio di comunione in cui accogliamo Cristo. È lui che ci ha detto di fare spazio a Maria accogliendola come nostra madre nella vita secondo lo Spirito. Dobbiamo prendere atto di quest’impostazione nel presentare Maria nel culto cristiano, convogliando verso un’autentica vita liturgica l’intensa devozione mariana popolare, nel rispetto dei suoi valori.

4. PIETÀ POPOLARE COME PARTE DI UNA CULTURA ORGANICA

        4.1. Valorizzazione della pietà popolare
        Nel 1987, un professore dell’Università di Buenos Aires, Juan Carlos Scannone, salutava la “valorizzazione teologica” della pietà popolare come “uno dei segni dei tempi della chiesa oggi”. Tale valorizzazione consiste in una duplice operazione: da una parte si riconosce il popolo come “soggetto” della cultura popolare nella quale s’incarna la fede, dall’altra si ammette una “teologia popolare” che bisognerà porre in relazione con la teologia scientifica15. Rimane, comunque, che l’apporto della teologia del popolo consisterà, tra l’altro, nella «caratteristica sapienza di vita, cioè la sua vicinanza e connessione più profonda con l’esistenza umana quotidiana, la cultura propria, la prassi e la realtà storica»16. Riconosciamo che la chiesa ha percorso un lungo cammino dall’epoca immediatamente anteriore al Concilio Vaticano II fino al nostro tempo. Essa è passata dalla diffidenza verso la pietà popolare, a un’accettazione delle sue espressioni nell’ambito ecclesiale (“pii esercizi”) e, infine, a un atteggiamento di valorizzazione nel contesto di una vera e propria cultura popolare17. Il vero rilancio ecclesiale della pietà popolare è venuto dai vescovi dell’America Latina, i quali, nel Sinodo del 1974, attirarono l’attenzione su una realtà molto vitale. Il loro intervento rimbalzò nell’esortazione apostolica postsinodale Evangelii nuntiandi18, dove, al n. 48, Paolo VI richiamava a «essere sensibili» a quella «realtà così ricca e vulnerabile», che preferirà chiamare «pietà popolare», e a «saper cogliere le sue dimensioni interiori e i suoi valori innegabili». Giovanni Paolo II, poi, era convinto che tra il cristianesimo e la cultura esiste un “nesso organico e costitutivo” e questo legame si applica anche alla cultura popolare in quanto visione della vita e insieme di valori vissuti19. Ma un passo significativo verso la valorizzazione della pietà popolare è stato compiuto dal Direttorio su pietà popolare e liturgia20. L’elemento nuovo del Direttorio è il rapporto della pietà popolare con la cultura popolare. Anzi, il documento parla di «fusione armonica del messaggio cristiano con la cultura di un popolo, che spesso si riscontra nelle manifestazioni della pietà popolare»; e aggiunge che talvolta si tratta di una «fusione talmente profonda che elementi propri della fede cristiana sono diventati elementi integranti dell’identità culturale di un popolo. Si pensi, ad esempio, alla pietà verso la Madre del Signore» (n. 63). Se siamo in ambito culturale sappiamo che la fede non può prescindere dalla cultura, perché una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta. Ma poiché la cultura implica il rapporto degli esseri umani con il tempo e con lo spazio, anche le espressioni religiose (dai pellegrinaggi alla preghiera ripetitiva e alle altre pratiche) vengono assunte e opportunamente modificate dalla pietà popolare, illuminata dalla rivelazione biblica. La fede allo stato chimicamente puro non esiste, ma sempre ha a che fare con la religione, con i suoi miti e riti, valori e limiti, rapporti spazio-temporali. Altra conseguenza: trattare della devozione mariana o della pietà popolare mariana al di fuori del contesto della cultura popolare significa porsi in una posizione arretrata, malevola e mortificante, che non comprende come la cultura implichi concezioni antropologiche, le quali comandano le espressioni e conferiscono loro un senso. Abolire le espressioni senza cambiare l’antropologia sottostante appare un’opera pastorale dissennata, perché pretende di risanare un’acqua potenzialmente inquinata senza purificarne la fonte. A questo punto la via da seguire è obbligata: occorre esaminare la pietà mariana nel contesto della cultura popolare, per appurare come inserirvi la figura biblica di Maria e tentare, quindi, una valida “mariologia popolare”.

        4.2. Maria nell’orizzonte della cultura popolare
        Forse, solo inoltrandoci nell’immenso cumulo di leggende, poesie e tradizioni, di cui soprattutto il popolo dell’Italia Meridionale ha circondato la Madre di Gesù, è possibile cogliere la sua figura nella cultura popolare. Ha avviato questo discorso – ponendosi in ottica antropologica – Luigi M. Lombardi Satriani nel suo intervento al XIII Convegno nazionale del rettori del santuari d’Italia (1977): la “Madonna folklorica” appare in dimensione familiare, bisognosa di apprendistato, ma anche mediatrice presso il Figlio irato, addolorata che aiuta a superare il negativo (la morte…), che sceglie i poveri perché non implicata con gli sfruttatori21. Allargando la prospettiva, l’arcivescovo Giuseppe Agostino recensisce cinque intuizioni teologiche della pietà mariana popolare:
a) Maria è colta come presenza viva;
b) come presenza materna e incidente quale mediatrice singolare e universale;
c) condividente la sofferenza umana;
d) perché madre, veicolo di comunione;
e) modello dell’esistenza cristiana, progetto di ciò che dovremmo essere, approdo di ciò che vorremmo essere22.
Lo stesso autore ribadisce l’immagine folklorica di Maria, cogliendola come Madre di Cristo, quindi è madre potente e misericordiosa; la “diversa” da noi peccatori, in quanto Tuttasanta, ideale dell’uomo redento da Dio, vero capolavoro della grazia; è colei che ha condiviso il lato oscuro e tragico della sofferenza, della povertà… per cui è assai vicina al popolo e il popolo la “avverte”, la “sente” vicina come conforto, sprone e speranza23. Per tutto questo santa Maria di Nazaret è colta nell’universalità della natura umana e nella concretezza della storia di ciascuno. La pietà mariana del popolo ha sempre colto con verace semplicità i due estremi della vita della Madre di Dio: diversa da noi, eppure come noi; nostra sorella e madre, senza soluzione di continuità. Nel 1981, Francesco Tortora, allora vescovo di Locri-Gerace, nell’ammirata lettera pastorale Per una devozione popolare autentica verso la Madre di Dio, traccia con analisi penetrante le caratteristiche del culto della Madonna nel popolo della Locride, corroborando ogni paragrafo con canti o gesti della pietà mariana popolare. Queste caratteristiche potrebbero essere estese almeno a tutto il nostro Sud d’Italia: senso del sacro, riferimento alla Trinità, estrema vicinanza di Maria, affettuosa insistenza nella supplica, presenza di Maria nel mistero pasquale, sensibilità alla bellezza della Vergine, pellegrinaggio e celebrazione della festa24. È chiaro che alla teologia appartiene il compito di misurare quest’immagine popolare di Maria con l’editio typica di lei data una volta per tutte dal Vangelo, aggiungendo o togliendo quanto fosse in contrasto con essa. Quanto alle espressioni devote, il Direttorio su pietà popolare e liturgia, dedica il capitolo V a La venerazione per la Madre del Signore (nn. 183-207). Ivi si stabiliscono alcuni principi della pietà mariana, con particolare riferimento alla liturgia, culmine e fonte della vita del popolo di Dio (nn. 183-186); si esaminano i tempi dei pii esercizi mariani (nn. 187-191) e alcuni pii esercizi raccomandati dal magistero (nn. 192- 207).

        4.3. Verso l’elaborazione di una mariologia popolare
        Anche se si è tentato qui o là di presentare una mariologia popolare, soprattutto in America Latina25, sentiamo il bisogno di richiamare alcuni criteri e orientamenti che servano all’elaborazione di essa, ma che siano utili anche nell’impostare la catechesi e l’azione pastorale. Ci si presentano quattro questioni: il punto di partenza, il rapporto con la parola di Dio, l’armonizzazione con la liturgia, il raccordo con la vita. Ma ci fermiamo solo sulla prima e sull’ultima. Da dove iniziare? Da Maria celeste o da Maria terrena? Dalla Bibbia o dalla cultura popolare? Il circolo ermeneutico, che ha soppiantato il metodo deduttivo invalso nella scolastica, ci conduce con sicurezza sul terreno della cultura e della vita. Dobbiamo partire, dunque, dalla cultura popolare, dal suo universo simbolico e dalla sua antropologia, dove si può percepire come il popolo sente Maria e si rapporta con lei. L’atteggiamento di rispetto, coinvolgimento, ascolto del popolo deve condurre a valorizzare anche le sue intuizioni su Maria. È una conseguenza del sensus fidelium, il cui ruolo promotore di più ferma adesione alle verità appartenenti alla fede, si è manifestato nella definizione dei dogmi mariani dell’Immacolata e dell’Assunta. Ora l’intuizione centrale del popolo circa Maria è, senza dubbio, quella di averla percepita nella fede come una persona viva, glorificata, dotata di potenza e bontà materna e, quindi, in grado di intervenire nelle vicende umane. In altri termini, il popolo vede in Maria il successo della redenzione, il trionfo della vita sulla morte, il valore dell’intercessione di colei che vive la Pasqua eterna di Cristo. L’elaborazione di una “mariologia popolare” dovrebbe muovere, dunque, dalla condizione escatologica di Maria nel suo influsso costitutivo del “fatto mariano” nella chiesa, per scendere alla sua vicenda biblica e alla sua divina maternità: una mariologia originale, che ribalta il metodo del manuali.

5. ECUMENISMO E INCULTURAZIONE

Dovremmo ora affrontare altre due questioni: l’apertura ecumenica e l’inculturazione della figura di Maria. Quanto alla prima, ci limitiamo a dire che, intorno all’anno 2000, sembra che l’orizzonte ecumenico si sia rasserenato sulla mariologia. «I nostri giorni», puntualizza Salvatore M. Perrella, «sono testimoni del passaggio dall’occultamento al risveglio, dal risveglio all’accoglienza»26. E il pastore evangelico Michel Leplay parla di una bella schiarita27 nel cielo nuvoloso e brumoso delle confessioni cristiane circa Maria, augurandosi che non sia momentanea, ma duratura28. Non solo viene accolta la “Maria biblica”, come Madre credente di Gesù, ma si opera un certo recupero della “Maria dogmatica”, almeno come possibile sviluppo legittimo di una data tradizione, comunque non contraria al messaggio centrale del Nuovo Testamento, anzi in armonia con esso. Si ammette, se non una mariologia, almeno una “maria-eulogia”, cioè la lode o benedizione di Maria ormai da accogliere sulla base biblica di Lc 1,48. Essa si esprime nell’imitazione, venerazione o anche invocazione, in quanto atteggiamenti radicalmente diversi dall’adorazione riservata a Dio solo. Praticamente, quando un cristiano prega Maria, eleva una preghiera a Dio insieme con lei. Quanto all’inculturazione di Maria nel nostro tempo, essa è richiesta almeno da due motivi: il primo riguarda la necessità di evitare una presentazione superata di una “Maria passiva e remissiva”, che provocherebbe la ripulsa delle femministe e delle donne emancipate; il secondo è l’indole stessa della fede cristiana, che – come abbiamo già affermato – non esiste allo stato chimicamente puro, ma si trova sempre inculturata, cioè incarnata nelle varie culture (intese non in senso umanistico ma antropologico). È chiaro che l’inculturazione della figura di Maria ha una ripercussione nella pastorale e, in particolare, nella predicazione e nella catechesi, per cui non basta conoscere il contenuto del messaggio cristiano da trasmettere, ma è necessario conoscere la cultura del proprio uditorio. Questa mancata informazione rischia di fare un discorso tangenziale, che non tocca la reale situazione dei fedeli, sicché si può giungere a un sincretismo, quale si rivela nella commistione di magia e religione29. Ciò vale in particolare quando si tratta di Cristo e di Maria, che i fedeli vedono a proprio modo, cioè nei racconti del “Vangelo secondo il popolo30. È necessario, invece, partendo dall’aggancio con la cultura (così come ha fatto san Paolo nei suoi discorsi all’uditorio sia ebraico che pagano), insistere sulla vicinanza di Maria (per superare la mentalità dei privilegi e far emergere i rapporti di comunione e di esemplarità) e sottolineare la sua relazionalità costitutiva. È, quest’ultimo aspetto, la consegna di Paolo VI alla chiesa nel solenne discorso di chiusura della terza sessione del Concilio Vaticano II, a commento della costituzione Lumen gentium: «Soprattutto desideriamo che sia posto chiaramente in luce come Maria, umile serva del Signore, è tutta relativa a Dio e a Cristo [ad Deum et ad Christum Iesum… totam spectare], unico Mediatore e Redentore nostro»31.

6. CONCLUSIONI APERTE

1. Seguendo il Catechismo della Chiesa Cattolica, che riserva largo spazio a Maria, il presbitero e l’operatore pastorale non possono trincerarsi in un ossequioso silenzio su di lei, che appartiene all’essenza del mistero dell’incarnazione. Per cui, nell’attuale economia salvifica, niente Cristo senza Maria, niente teologia senza mariologia.
2. Si eviterà il discorso autonomo su Maria, per inserirla nel mistero di Cristo e della chiesa, cioè nella storia della salvezza, dove ella trova giusta proporzione e retta finalità.
3. Si favorirà il culto specialmente liturgico verso Maria, esortando a vivere il rapporto con la Vergine in ogni celebrazione eucaristica, dove Cristo rinnova e attualizza il suo mistero pasquale.
4. Anche la pietà popolare dev’essere affrontata con atteggiamento positivo, come forma rispettabile d’inculturazione, con valori da non trascurare e lati negativi da purificare ed elevare alla luce del Vangelo. Il rosario, unicum nella pietà occidentale, va rinnovato e meditato alla luce del Rosarium Virginis Mariae32; il Santuario di Pompei, in tal senso, è un esempio da imitare a più largo raggio.
5. L’ecumenismo conduce a prendere atto dei progressi operati dai recenti documenti, in cui Maria è accettata nella sua personalità di Madre credente del Verbo incarnato e nella sua missione materna nei riguardi dei discepoli di Cristo. 6. Infine, l’inculturazione ci ammonisce a parlare un linguaggio comprensibile e che tenga conto dell’esigenza dell’odierna cultura, in modo che Maria rappresenti ancora un valido “codice morale” e un “sistema di valori” per gli uomini e le donne del nostro tempo. Mai s’insisterà abbastanza sulla relazionalità costitutiva della persona di Maria, “tipo antropologico” per un’umanità solidale, necessaria per assicurare il futuro del mondo.

NOTE
1 Per una panoramica sulla mariologia postconciliare, cf. S. DE FIORES, Maria nella teologia contemporanea, Roma 1991; J. C. R. GARCÍA PAREDES,
Mariologia in cammino: prospettive mariologiche all’inizio del secolo XXI, in Marianum 63 (2001) 273-296; S. M. PERRELLA, Percorsi della mariologia postconciliare. Il contributo della teologia italiana (1964-1992), in Asprenas 41 (1994) 85-96; F. SCANZIANI, Da Lumen gentium ad oggi: il trattato di mariologia. Scelte di metodo. Rassegna bibliografica in campo italiano, in La Scuola Cattolica 132 (2004) 75-122; M. SEMERARO, Percorsi della mariologia postconciliare, in Rivista di Scienze Religiose 6 (1992) 277-294; E. M. TONIOLO, Il rinnovamento della riflessione mariologica dopo il Vaticano II: impostazione e criteri, in E. PERETTO (cur.), La mariologia nell’organizzazione delle discipline teologiche, Roma 1992, 89-139.
2 J. RATZINGER, «Et incarnatus est de Spiritu sancto ex Maria Virgine», in Theotokos 3 (1995) 292.
3 Ivi 300.
4 Cf. C. BISSOLI, Catechesi, in Mariologia (Dizionari San Paolo), Cinisello Balsamo (Milano) 2009, 237 e 239.
5 Cf. C. M. ANTONELLI,
Il dibattito su Maria nel Concilio Vaticano II. Percorso redazionale sulla base di nuovi documenti di archivio, Padova 2009; G. M. BESUTTI, Lo schema mariano al Concilio Vaticano II. Documentazione e note di cronaca, Roma 1966; G. PHILIPS, La chiesa e il suo mistero nel Concilio Vaticano II. Storia, testo e commento della costituzione Lumen gentium, Milano 51993; E. M. TONIOLO, La Beata Maria Vergine nel Concilio Vaticano II. Cronistoria del capitolo VIII della costituzione dogmatica Lumen gentium e sinossi di tutte le redazioni, Roma 2004.
6 J. RATZINGER,
Considerazioni sulla posizione della mariologia e della devozione mariana nel complesso della fede e della teologia, in J. RATZINGER - H. U. VON BALTHASAR, Maria chiesa nascente, Roma 1981, 19.
7 «Beatissima Virgo […] quodammodo est supra ecclesiam. S. Bernardus asserebat quod Maria stat inter Christum et ecclesiam. Ipsa, licet membrum ecclesiae, longe ab aliis membris differt»: Acta Synodalia, II/3, 340.
8 «Si ecclesia esset tantum institutum salutis, tunc Beata Virgo extranea esset. Sed quia ecclesia est etiam populus Dei et communitas sanctorum, Beata Virgo ut membrum eminens populi Dei intra schema ponendum [ponenda] est»: Acta Synodalia, II/3, 343.
9 S. DE FIORES - S. MEO, Presentazione, in Nuovo Dizionario di Mariologia, Milano 1985, VI e VIII.
10 Cf. B. FORTE,
Maria, la donna icona del mistero. Saggio di mariologia simbolico-narrativa, Cinisello Balsamo 1989, 37.
11 Cf. PAOLO VI, Esortazione apostolica Marialis cultus (2-2-1974): EV 5, 13-97.
12 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Ecclesia de eucharistia (17-4-2003): EV 22, 213-325.
13 Per approfondimenti cf. G. FALANGA,
«In comunione con Maria». La Vergine Madre nella preghiera eucaristica, in Asprenas 52 (2005) 129-144.
14 Cf. A. PIZZARELLI,
La presenza di Maria nella vita della chiesa. Saggio d’interpretazione pneumatologica, Cinisello Balsamo 1990; S. DE FIORES, La presenza di Maria nella vita della chiesa alla luce dell’enciclica Redemptoris Mater, in Marianum 51 (1989) 110-144.
15 Cf. J. C. SCANNONE,
Religiosità popolare, sapienza del popolo e teologia popolare, in Communio 95/1987, 32-46.
16 Ivi 43.
17 Per approfondimenti, cf. G. FALANGA,
Tu honorificentia populi nostri. Maria nella pietà popolare e nella devozione, in Liturgia 42 (2008) 4, 21-38.
18 Cf. PAOLO VI, Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (8-12-1975): EV 5, 1588-1716.
19 Cf. B. TESTA, La religiosità popolare nel magistero di Giovanni Paolo II, in Communio 95/1987, 47-63.
20 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, Città del Vaticano 2002.
21 Cf. L. M. LOMBARDI SATRIANI,
Il canto religioso specialmente mariano nel contesto della cultura popolare, in La Madonna 26 (1978) 1-2, 21-31.
22 Cf. G. AGOSTINO, Chi è Maria per il popolo, in La Madonna 32 (1984) 5-6, 66-70. Altre acute osservazioni in ID., Pietà popolare, in
Nuovo Dizionario di Mariologia
, 1111-1122.
23 Cf. AGOSTINO, Pietà popolare, 1111-1116.
24 Cf. F. TORTORA,
Per una devozione popolare autentica verso la Madre di Dio, Leumann (Torino) 1981.
25 Un primo interessante ed esplicito tentativo di elaborare una mariologia popolare latinoamericana è compiuto dal gesuita ANTONIO GONZÁLEZ DORADO nel saggio De María conquistadora a María liberadora. Mariología popular latinoamericana, Santander 1988.
26 S. M. PERRELLA, La Madre di Gesù nella coscienza ecclesiale contemporanea, Città del Vaticano 2005, 566.
27 Cf. M. LEPLAY, Le protestantisme et Marie. Une belle éclaircie, Genève 2000.
28 Per approfondire alcuni documenti che portano il dialogo ecumenico su Maria al di là di ogni attesa, cf. GRUPPO DEL DIALOGO CATTOLICO-LUTERANO NEGLI USA, The One Mediator, the saints, and Mary: Enchiridion Oecumenicum 4, 3083-3360; A. LANGELLA,
Un importante contributo al dialogo ecumenico su Maria. Il documento del Gruppo di Dombes, in Asprenas 46 (1999) 241-264; G. COLZANI, Dichiarazione di Seattle su “Maria: grazia e speranza in Cristo”. Chiarimenti e problemi, in Marianum 69 (2007) 454-480.
29 Cf. E. DE MARTINO, Sud e magia, Milano 31972.
30 Cf. LOMBARDI SATRIANI,
Il canto religioso specialmente mariano nel contesto della cultura popolare; AGOSTINO, Chi è Maria per il popolo; S. DE FIORES, Presenza e significato di Maria in una riespressione culturale della fede in Italia, in SERVIZIO NAZIONALE DELLA CEI PER IL PROGETTO CULTURALE e ASSOCIAZIONI TEOLOGICHE ITALIANE,
Identità nazionale, culturale e religiosa, Cinisello Balsamo 1999, 156-178.
31 PAOLO VI, Discorso a chiusura del terzo periodo del Concilio (21-11-1964): EV 1, 315*.
32 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae (16-10-2002): EV 21, 1167-1250.

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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
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