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  Con Maria vivere le relazioni, trasfigurare l’umano 
Società

Un articolo di Alfredo Jacopozzi in Riparazione mariana, n. 1-2017, pp. 4-6.

 



L’icona evangelica di Maria introduce al Mistero dell’uomo e del mondo con occhi benevoli e cuore aperto.
Maria entra in sintonia e dialoga con la profondità del Mistero che abita il mondo per lasciarsi trasformare.
La storia presentata da Maria è la storia vista con gli occhi della benedizione di Dio.

Quando penso a Maria, mi vengono in mente le parole di V. Truhlar, un autentico maestro di teologia spirituale: «Alla distanza niente paralizza e distrugge l’interiorità quanto un dogma interiormente non vissuto». Credo che Maria sia stata progressivamente rinchiusa in una visione dogmatica rigida e astratta, fuori dal vissuto di generazioni di credenti che hanno perso il significato simbolico della sua figura evangelica. Perciò, relativamente al nostro tema, credo sia opportuno richiamare alcune immagini evangeliche “classiche”, rileggendole in un contesto relazionale umano e cosmico.

La Parola: abitare il Mistero del mondo

Partiamo dal testo dell’annunciazione (Lc 1,26-38). Ciò che sorprende di questo brano è la sua struttura dialogale. Si parla dell’angelo Gabriele che viene mandato da Dio. L’iniziativa della sua missione viene da Dio stesso e noi sappiamo che àngelos significa “messaggero”, “ambasciatore”, “portaparola”. Dunque egli si identifica in qualche modo con la parola di Dio. Inoltre l’angelo si chiama Gabriele che vuol dire “forza di Dio”. È importante tener presente questo significato del nome “Gabriele” come forza divina, irrobustimento che viene da Dio. Questa forza entra presso Maria, le viene incontro. Che tipo di incontro è stato? Cosa ci sta dietro questa immagine così evocativa? L’etimologia del nome dell’angelo ci fa pensare, senza forzatura alcuna, a una straordinaria esperienza della parola di Dio, della sua forza vivificante. Va innanzitutto ricordato che dabar non significa semplicemente “parola” come la intendiamo nel nostro mondo occidentale, un mondo che ha prodotto una cultura sovrabbondante di parole: libri, giornali, discorsi, pubblicità, e ora anche computer, che sembrano impegnarsi tutti insieme a cambiare il significato profondo della parola. Se vogliamo cogliere la profondità antropologica del testo evangelico dobbiamo tornare ai tempi antecedenti ai media, i tempi in cui vi era tanto silenzio, quando le parole esprimevano qualcosa di significativo e vitale. La dabar era anzitutto il riflesso dell’energia creativa divina, quella dei primi capitoli della Genesi, nei quali è scritto che «Dio disse» e le grandi forze della creazione - luce, cielo, terra, sole e luna - vengono all’esistenza, prendono vita. Dunque, in ebraico dabar implica non soltanto parole, ma cose ed eventi concreti. La parola è veramente energia creativa e vitale, non qualcosa di mediocre e impotente che sfuma ad un orecchio disattento. Nel testo evangelico, Maria vive l’esperienza diretta e meravigliosa che nel mondo c’è un’unica Parola divina, un unico flusso creativo che lo attraversa e lei ne prende conoscenza, vi porge l’orecchio, ne rimane turbata, ma entra in sintonia e dialoga con la profondità del Mistero che abita il mondo per lasciarsi trasformare e per cogliere che la vita è una creazione continua, una realtà in atto, ricettacolo sacramentale del tutto speciale della parola di Dio e della sua incarnazione, perché la dabar divina desidera incarnarsi nel grembo dell’umano, non in un mondo parallelo o a parte. In Maria, la dabar divina diviene veramente attiva, immaginativa, giocosa, diviene esperienza di chi mette al centro la vita e diviene pertanto sensibile, attento, sveglio, vitale nei confronti del continuo fluire e sentire gli eventi svilupparsi dalla divina dabar. Come afferma Meister Eckhart: «ogni cosa passata, ogni cosa presente e ogni cosa futura, Dio la crea nel regno interiore dell’anima». Il mondo, letto alla luce del Mistero, è una realtà senza posa, proprio come lo siamo noi, ed è vasto proprio come vasta è la nostra esperienza di esso.

La benedizione: un nuovo ordine nelle relazioni

Dopo questo incontro intimo e vitale con la parola di Dio, Maria raggiunge Elisabetta, sua parente, (Lc 1,39-56), che la riconosce «benedetta fra le donne» (v. 42). Nel saluto di Elisabetta si apre uno squarcio, una fenditura luminosa sulla realtà dell’uomo e del mondo. La teologia del peccato e della caduta con cui abbiamo letto l’antropologia e che è aliena alla tradizione ebraica, ci ha fatto perdere di vista che la benedizione rimane il modo con cui Dio guarda il mondo e l’uomo. La benedizione è la parola originaria, l’ordito che tesse la trama del creato, il desiderio dietro la creazione, poiché Dio non condanna e non rimane neutrale di fronte alla sua opera. Come ogni artista, egli ama la sua creazione e questo amore che spinge incondizionatamente all’esistenza è una benedizione. La benedizione implica una relazione: benedire è donare qualcosa di sé a chi riceve la benedizione e non si può ricevere una benedizione senza accorgersi di chi benedice. Una spiritualità di benedizione è una spiritualità di relazione. E se è vero che tutto il mondo fluisce da un’unica sorgente di amore, allora tutto il creato è benedetto ed è una benedizione l’atomo per la molecola, la molecola per la cellula, la cellula per l’organismo, la terra per le piante, le piante per gli animali, gli animali per gli altri animali, le persone per le persone. La dabar di Dio fluisce nel cuore del mondo, la benedizione continua a fluire e dove c’è la dabar c’è la benedizione. La teologia della caduta e del peccato ha derubato i credenti della ricca tradizione biblica della vita come benedizione. Se si chiedesse alla maggior parte dei credenti che cosa significa “benedizione”, molti si limiterebbero a fare un segno di croce. Nell’orizzonte biblico, invece, non è un’astrazione o un gesto magico, ma riguarda la sopravvivenza e il godimento dei doni fondamentali della vita, il piacere di esistere e di avere relazioni vitali che ci fanno essere in pace con noi stessi, con gli altri, con l’universo e con la sorgente di ogni benedizione che è Dio. È vero che, nascendo, facciamo ingresso in un mondo tormentato e segnato dal peccato, tuttavia non vi entriamo come delle macchie che sporcano l’esistenza, come creature peccaminose; al contrario, vi entriamo come benedizione. Maria, la creatura benedetta, ci ricorda questa possibilità: ognuno viene al mondo come creatura che porta in sé l’immagine di Dio; ciascuno è coperto dall’ombra paterna dell’amore di Dio e inizia il suo cammino per generare in sé l’esplosione di quell’energia vibrante di amore che si rivela in Cristo. «Ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,48): così Maria si esprime nel suo inno di lode, il Magnificat. Nella tradizione spirituale classica l’umiltà si qualifica sempre come sottomissione, deferenza, insignificanza; una virtù per anime deboli, come stigmatizza Nietzsche. Nella prospettiva dinamica e creativa della dabar divina, l’umiltà è altra cosa. Meister Eckhart, che ripete questo messaggio di continuo nei suoi Sermoni tedeschi, fa derivare la parola “umiltà” da humus, che significa “terra”. Essere umili, dunque, non significa essere sottomessi e schiacciati, bensì essere a contatto con la terra, con la nostra dimensione creaturale e gioire del fatto che la creaturalità, la sensualità, la passionalità sono energie positive che fanno parte della benedizione di Dio per la nostra vita. Il piacere è una delle esperienze spirituali più vibranti e profonde della vita. Il piacere di relazioni vitali e ricche di umanità non emerge facilmente in una società inondata dalla mentalità consumistica, da una parte, e dalla consapevolezza che “tutto è peccato”, dall’altra. Lo sguardo contemplativo, che supera questi eccessi, insegna che contemplare significa diventare talmente uniti con ciò che amiamo e di cui godiamo, che di questo evento siamo capaci di fare una tenda sacra, un tabernacolo. Il vero sguardo contemplativo insegna l’arte di gustare la vita. Il mondo, infatti, ha bisogno più di persone che sappiano assaporare che di persone che sanno ordinare: saremmo meno compulsivi e giocheremmo con più fantasia. Se noi gustassimo di più, comunicheremmo anche più a fondo, ci relazioneremmo più integralmente, saremmo meno in competizione e saremmo capaci di fare festa in modo più autentico. Saremmo in relazione più profonda con noi stessi, con il mondo, con la storia passata, con l’attesa del futuro, con il presente e con Dio. Saremmo anche più in contatto con la nostra indignazione morale, perché il nostro amore per la vita crescerebbe in modo così esponenziale che diventeremmo sempre più nemici delle forze di morte che minacciano la vita. Diventeremmo amici del creato e della sua bellezza, ed entreremmo in esso alla ricerca della «sua dolcezza come di miele che viene da Dio», per dirla con le parole di Meister Eckhart.

Magnificat: la storia con gli occhi trasfigurati

L’inno di Maria continua con una storia strana, che sembra non esistere: la povera gente diviene importante, la gente importante viene cacciata via; i ricchi non hanno più un soldo in tasca e i poveri hanno quanto loro occorre; le persone intelligenti non sanno nulla, mentre gli ignoranti sono i veri sapienti. Perché viene raccontata questa strana storia che non abbiamo mai visto? Noi conosciamo una storia sempre uguale, in cui i ricchi hanno sempre di più e i poveri sempre di meno; nella nostra storia i potenti si fanno obbedire e gli umili devono ascoltare senza nulla pretendere. Anche nelle nostre chiese parlano sempre gli intelligenti e i sapienti, e le persone semplici non hanno diritto di parola. La storia presentata da Maria è la storia vista con gli occhi della benedizione di Dio, mentre la storia che noi conosciamo ha dimenticato quella benedizione e vive senza abitare il Mistero. Noi conosciamo la storia fatta dai grandi uomini, costruita con bombe e cannoni; abbiamo coscienza di una pace basata su accordi politici e preparata dalla diplomazia. Siamo molto attenti alle parole pronunciate dagli uomini di potere: le leggiamo e le studiamo; seguiamo i loro viaggi e spesso ci identifichiamo con loro e ne prendiamo le difese. E poiché tante persone fanno come noi, i grandi uomini si illudono di dirigere il mondo e di fare la storia dell’umanità. Maria, la benedetta tra tutto il creato, ha uno sguardo diverso, vede i potenti rovesciati dai troni e innalzati gli umili. Forse nessuno di noi ha visto cose del genere, ma non si tratta di vederle con gli occhi, quanto piuttosto di vederle dentro di noi con la forza della dabar che genera dinamiche nuove, e di avere il coraggio di sentirle già realizzate, come ha fatto Maria. Allora la dabar fa crescere una realtà di giustizia, che prende a cuore l’equilibrio e l’armonia dell’universo. Il popolo ebraico credeva che l’universo fosse sorretto da due pilastri: la giustizia e la rettitudine: «Giustizia e diritto sono la base del tuo trono» (Sal 88,15). Se una crepa appare in uno dei due pilastri, il cosmo intero perde la sua stabilità. La giustizia, come del resto l’amore, è una questione cosmica e come recita il Talmud: «Salvare una vita è salvare l’intero universo». La giustizia è la passione per l’universo, per quell’armonia divina, quell’equilibrio e quell’ordine in corso di sviluppo che scaturisce dalla dabar e viene portato a realizzazione da tutti coloro, uomini e donne di culture e religioni diverse, che lo vedono interiormente già realizzato. Se facessimo più attenzione a questo sguardo interiore che Maria ci indica nel Magnificat, se avessimo una comprensione corretta del rapporto tra gli esseri umani e tra questi e l’universo, la guerra sarebbe impossibile e un gran numero di artisti, di cantori dell’esistenza, di custodi della nostra terrestrità come benedizione, sarebbe l’arco teso nel cielo della vita, che annuncia una nuova umanità e una nuova terra.

 

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Inserito Martedi 4 Maggio 2021, alle ore 9:53:06 da latheotokos
 
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