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  Santa Maria e la Chiesa dei poveri 
Chiesa

Un articolo di Serena Noceli, in Riparazione Mariana,  n. 3/2015, pp. 7-9.


 



Il Concilio: la chiamata della Chiesa a essere povera

L'11 settembre 1962, a un mese dall’inizio del Concilio Vaticano II, Giovanni XXIII, in un radiomessaggio, affermava: «Oggi la Chiesa è particolarmente la Chiesa dei poveri». Le parole del Pontefice vennero riprese dal cardinale Lercaro in aula conciliare; egli lamentava l’assenza del tema dai lavori del Concilio, chiedeva di assumere come «principio unificante e vivificante» di tutta l’ecclesiologia del Vaticano II quella di “Chiesa povera” e “dei poveri”, e radicava in ottica cristologica questa affermazione, connettendo - in modo quasi sacramentale - i poveri e la presenza di Cristo nella storia umana: «Questa è l’ora dei poveri, dei milioni di poveri che sono su tutta la terra, questa è l’ora del mistero della Chiesa madre dei poveri, questa è l’ora del mistero di Cristo soprattutto nel povero» (intervento del 6 dicembre 1962). Tali istanze furono solo parzialmente accolte nel dibattito conciliare. Esse risuonano però come appello deciso alla maturazione della coscienza ecclesiale e alla riforma nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium (= LG): «Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Gesù Cristo “che sussistendo nella natura di Dio, [...] spogliò se stesso, prendendo la natura di servo” (Fil 2,6-7) e per noi “da ricco che era si fece povero” (2Cor 8,9): così anche la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria terrena, bensì per diffondere, anche col suo esempio, l’umiltà e l’abnegazione. Come Cristo infatti è stato inviato dal Padre “ad annunciare la buona novella ai poveri, a guarire quelli che hanno il cuore contrito” (Lc 4,18), “a cercare e salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10), così pure la Chiesa circonda d’affettuosa cura quanti sono afflitti dall’umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si premura di sollevarne l’indigenza e in loro cerca di servire il Cristo» (LG 8). Con estrema chiarezza la Chiesa è richiamata al nucleo della sua vocazione: seguire Cristo nella scelta di povertà radicale, di rinuncia a tutti i privilegi in vista della salvezza di ogni uomo. Come mostrano le citazioni di Fil 2,6 e 2Cor 8,9, Gesù si è rivolto ai poveri e ha cercato chi era perduto, senza salvaguardare se stesso, il suo ruolo, il suo onore, la sua dignità. L’annuncio ai poveri ha contraddistinto il suo messaggio, la condivisione con i poveri e uno stile scevro da ogni potere, inteso come dominio e autoaffermazione, hanno caratterizzato la sua forma di vita e l’esercizio della sua missione. Il Vaticano II mostra che la Chiesa, assimilata a Cristo, è chiamata a continuarne l’opera messianica, annunciando ai poveri il Vangelo del Regno e assumendo lo stesso stile nella gestione dei beni e nelle relazioni con i poteri umani. I padri conciliari erano consapevoli della necessità di mezzi materiali ed economici per la missione, ma nella scelta e nell’uso di essi la Chiesa deve essere guidata da sobrietà ed essenzialità. Il messaggio portato non può essere contraddetto da un volto ecclesiale segnato da ricchezza e privilegio. Così pure la comunità cristiana è chiamata ad accettare la via della persecuzione. La Chiesa è fatta per diffondere l’umiltà e l’abnegazione, unica modalità attraverso cui si può rendere evidente, nella stessa esistenza della Chiesa, l’amore di Cristo.

Il postconcilio: una chiamata vissuta da pochi

Il testo del Concilio è estremamente deciso nel ricordare questo tratto definitorio dell’identità ecclesiale, ma è bene rilevare che nei 50 anni successivi poche volte si è fatto riferimento a quelle parole di LG 8 nel contesto della Chiesa italiana. Esse appaiono esplicitamente citate in un documento sul sostentamento del clero del 1988, Sovvenire alle necessità della Chiesa, e raramente sono richiamate nei testi di ecclesiologia; si rimanda al servizio ai poveri, in particolare per l’opera svolta egregiamente dalla Caritas, e alle opere di misericordia alle quali ogni cristiano è tenuto e che sempre hanno segnato la vita della Chiesa nella fedeltà al Vangelo, ma non si mostra il legame intrinseco tra missione e povertà della Chiesa a imitazione del Cristo e non si fa menzione della povertà come stile che deve contraddistinguere il rapporto della Chiesa con i poteri politici ed economici. Nelle assemblee di Medellin (1968), di Puebla (1979), di Santo Domingo (1992), invece, più volte è risuonato il testo di LG 8. Si è delineato il volto di una Chiesa autenticamente povera, missionaria, pasquale, svincolata da ogni potere temporale e coraggiosamente impegnata nella liberazione di tutto l’uomo e di tutti gli uomini, e si è indicato nell’“opzione per i poveri” il tratto qualificante della prassi pastorale. Così pure la teologia della liberazione ha fatto di questa prospettiva la chiave di volta dell’ecclesiologia: non si possono dimenticare gli scritti di Gustavo Gutierrez, Leonardo e Clodovis Boff, Jon Sobrino, Ignacio Ellacuria, che hanno alimentato il cammino delle comunità cristiane e il servizio ai poveri di tanti credenti. Le parole del Concilio tornano oggi a risuonare nelle omelie, nei discorsi, nei gesti di papa Francesco: «Come vorrei una Chiesa povera e dei poveri». Esse diventano un richiamo alla conversione e alla riforma ecclesiale; chiedono alle Chiese locali, alle comunità cristiane, ai cristiani, ai religiosi in specie, una revisione di vita, un ripensamento dei criteri di scelta e di giudizio sulla realtà e sulla gestione economica, un cambiamento di mentalità in un’epoca che ha fatto del consumo, del possesso, dell’apparire il punto di riferimento.

Alla scuola di Maria

Cosa vuol dire accogliere questa prospettiva di identità e operare di conseguenza? Cosa comporta essere Chiesa povera e dei poveri? La meditazione su alcuni testi mariani può aiutarci a comprendere più profondamente questa vocazione ecclesiale e ad assumerne i tratti. In particolare cinque racconti evangelici possono alimentare il rinnovamento della coscienza e della prassi.
- In primo luogo il vangelo di Luca ci conduce a sostenere e visitare l’altro nel suo bisogno e nella sua fragilità con Maria, che sostiene Elisabetta negli ultimi mesi della gravidanza e vede realizzato il segno divino nella sterilità visitata da Dio e divenuta feconda. La Chiesa, che ha ricevuto l’annuncio del Regno, è chiamata a percorrere i sentieri della Giudea quale arca dell’alleanza e ad entrare nelle case portando la fecondità di Dio a chi ha vissuto nella rassegnazione e nella sterilità. Dobbiamo re-imparare ciò che è essenziale per vivere da chi sperimenta - a diversi livelli e in diverse forme - il bisogno; solo chi commisura la sua vita e le sue scelte all’essenziale sa essere veramente umano. Oggi i richiami dei bisogni indotti dalla pubblicità e dai miti del benessere risuonano nelle orecchie di tutti, anche dei cristiani, e incantano molti. La parola della dottrina sociale cristiana e la denuncia di un sistema economico che crea e alimenta una miseria disumanizzante deve levarsi alta in una “Chiesa dei poveri” che ascolta il loro grido e da essi impara la chiamata all’umano autentico.
- Con Maria la Chiesa è sollecitata a ricevere le parole dell’annuncio e dello stupore che le sono portate dai poveri: i pastori annunciano un Salvatore che vive tra i poveri e che si incontra in un bambino deposto in una mangiatoia, perché non ha trovato posto nell’albergo. La Chiesa deve imparare ad evangelizzare i poveri, ma anche a farsi evangelizzare da essi, a scoprire, nelle loro esperienze, la logica di Dio.
- Maria ha vissuto, secondo il vangelo di Matteo, l’esperienza di essere profuga, costretta a fuggire dalla sua patria per proteggere il bambino, perseguitata dai potenti e obbligata all’esilio. Ha vissuto l’esperienza di lasciare i parenti, la casa, i suoi averi, le sicurezze, il suo paese, la sua lingua per conoscere la condizione di chi è sradicato e non ha diritti perché straniero; ha percorso i passi di quanti cercano futuro in un “altrove” che sanno precario e difficile. La Chiesa imparerà a essere povera quando accetterà la logica di passi incerti ma pieni di speranza nel futuro del Regno.
- Il vangelo di Giovanni ci ricorda lo sguardo di Maria a Cana, colei che sa cogliere il bisogno degli sposi e sa confidare nella pienezza messianica del banchetto del Regno. Oggi più che mai la Chiesa è chiamata a rendere più limpido lo sguardo, per cogliere i bisogni di ogni persona e gli appelli muti dei poveri, ma anche per leggere le complesse dinamiche dell’economia e della finanza mondiali, per denunciare le logiche d’impoverimento che toccano la vita di milioni di persone e rendono disumana l’esistenza di tutti.
- È soprattutto il Magnificat, il “canto dei poveri di Jhwh” che Luca mette sulla bocca di Maria, ad aiutarci a essere “Chiesa dei poveri”. Maria è qui portavoce delle attese dei poveri, di coloro che sono piegati dalla vita e dalla violenza, che sperimentano la mancanza di prospettive. Donna di fede e speranza, Maria canta il Dio che “opera dal rovescio della storia”, secondo una logica di salvezza, di crescita e di liberazione per tutti; il Dio che vuole cambiare il modo di pensare dei ricchi, che li rovescia, li “ricolloca” perché apprendano l’umano reale. Dio “guarda” e “cambia le sorti”, opera un ribaltamento delle situazioni in campo religioso, sociale, politico. La storia di cui parla il Magnificat non è una storia idilliaca, è la nostra storia, quella di cui siamo protagonisti, talora come corresponsabili talora come vittime. Dio si pone con la sua forza di salvezza per portare questa storia di conflitti alla pace, allo shalom, che non è solo assenza di guerra, ma pienezza di vita. Davanti a questa storia di condizioni di vita impossibili per gran parte dell’umanità, la Chiesa è guidata a riposizionarsi nella parte scelta da Dio, quella dei poveri, e a guardare da questa prospettiva la storia, se stessa e il futuro del mondo. Il Magnificat chiede di riconoscere presenti anche in noi le grandi cause di conflitto e di miseria: il desiderio di autoaffermazione, la ricerca di potere e dominio, la sete di ricchezza. Dio confonde l’uomo perché si liberi dalla sua ridicola pretesa di autosufficienza; abbatte i troni perché sia superata la logica del dominio; manda a mani vuote i ricchi perché possano sperimentare la gioia del ricevere e della gratuità. La Chiesa che impara da Maria il Magnificat è allora chiamata in primo luogo a conversione, per riconoscere in se stessa queste logiche e superarle, per porre una netta e decisa “opzione preferenziale per i poveri” e per dire, infine, parole chiare di denuncia della logica di questo mondo.


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Inserito Domenica 27 Giugno 2021, alle ore 18:35:37 da latheotokos
 
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