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  Le nostre povertà si confrontano con Maria  
Spiritualità

Dal libro di Denis Sahayaraj Kulandaisamay - Luca Di Girolamo, Maria di Nazaret tra Bibbia e Teologia, NSO, Sivakasi 2017, pp. 239-247.


 



 

La povertà è senz’altro uno dei peggiori mali che affliggono la società di ogni tempo. «I poveri – dice Gesù – li avete sempre con voi» (Mt 26,11): parole che rappresentano una sfida alla quale far fronte per sanare le ferite che essa provoca. Ma di quale povertà si tratta? Ed inoltre: da quale forza si deve essere animati per portare un reale beneficio? Tentiamo ora di rispondere a questi due interrogativi ed illustrare il ritratto di Maria, Madre e discepola povera del Signore. Metteremo in evidenza il significato di povertà nel suo rapporto con la Benedetta dell’Altissimo.

La Porta Bella

«Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, álzati e cammina» (At 3,6). Le parole dell’apostolo Pietro al povero infermo della Porta Bella, oltre ad essere dotate di quel carattere performativo tipico della Parola di Dio – carattere che unisce l’oralità (esser detta) e la sua efficacia (produrre qualcosa) – pongono in rilievo tutta la carica di paradosso propria del Cristianesimo. Uno dei tratti più caratteristici di Gesù di Nazaret – perché è a Lui che Pietro allude – è senz’altro la povertà, oltre che raccomandata, abbracciata volontariamente ci dice Paolo, ma che si coniuga con un tipo di essenzialità che potremmo definire esistenziale ed antropologica. Non sono tanto le ricchezze materiali a rendere l’uomo grande, quanto piuttosto la sua consistenza creaturale. In tal senso il «Beati i poveri» (Lc 6,20) mantiene tutta la sua pregnanza. In una parola, l’essere prevale sull’avere (di qualsiasi tipo esso sia) e, su questo punto, Rivelazione, filosofia e teologia trovano il loro punto di incrocio: l’essere creato ad immagine di Dio, l’appartenenza al mondo dell’essere e della vita ed il poter parlare di Dio che si è espresso/manifestato come Parola umana/divina, tutto questo non fa altro che mettere in luce l’uomo e riaffermare la sua povertà che va colmata di ricchezza vera. «Da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9): questa povertà è la cifra del nome di Dio pronunciato da Pietro nell’episodio inizialmente evocato. Dio quindi nella sua Incarnazione sposa questa povertà e i due luoghi del Presepe e della Croce ne mostrano visivamente tutto lo spessore. Del resto, questa è la strada che appare più scandalosa per i pagani di ieri e di oggi ammalati di idolatria (persino del proprio pensiero, anche se esso si qualifica debole), strada che, tuttavia, ci conduce ad una logica concreta che affonda le radici nel nostro vissuto quando, nei casi più dolorosi di povertà e malattia, siamo pronti a ripetere l’accorata espressione «Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato» (Sal 22,1). Anche di questa espressione il Gesù povero si fa carico (cf. Mt 27,46 e Mc 15,34). Ma quasi rispondendo a questa espressione ricorrente, la Lettera agli Ebrei ci rassicura: «Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze» (Eb 4,15) e, più avanti, lo stesso testo afferma con convinzione: «Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva» (ivi 7,26): la povertà è quindi la sigla con la quale Dio si presenta al mondo e che, per questo, merita rispetto in quanto luogo in cui può collocarsi la sua benefica ricchezza destinata soprattutto a coloro che sono poveri di quello spirito umano (cf. Mt 5,3) che tende all’accaparramento e all’arroganza. Il nostro Dio è Colui che abbassandosi si dona, si rende povero per arricchire: è da qui che occorre partire per una seria riflessione sul nostro agire a favore della povertà.335 I mezzi materiali, le ricchezze, le energie, tutto ciò che si ha va subordinato al valore dell’essere umano che riscopre la propria singolarità nel suo collaborare con Colui che lo ha creato insieme ed in armonia con il cosmo del quale si è, talvolta, servito, come di un linguaggio per esprimersi. Ne facciamo esperienza diretta, ad esempio, nella celebrazione della Veglia pasquale così carica di elementi naturalistici.

Priorità dell’essere

Quale povertà siamo dunque chiamati a colmare? È chiaro che la risposta è inquadrabile nell’integralità della persona per cui, più che insistere sull’avere, è necessario e doveroso partire dall’essere che è all’origine dell’agire a beneficio (si spera!) dell’umanità. È noto come tutta una corrente di pensiero di matrice razionalista e scientista ha condotto alla cosificazione dell’uomo, rendendolo – nella peggiore delle ipotesi – merce di scambio. A ciò poi si aggiunge la forte miopia di questo pensiero che ha riversato sul Cristianesimo le sue accuse di sfruttamento e violenza contro il cosmo. Da qui è sorto un nuovo paganesimo336 che non rende ragione della singolarità che l’uomo rappresenta posto al vertice del cosmo e creatore di una cultura nelle sue diverse manifestazioni. In merito, molto è stato scritto ed è superfluo ripetere cose già note.337 Sta di fatto che, tanto sul piano filosofico quanto ancor più su quello teologico, una strada possibile di ricomposizione e riconciliazione è rappresentata dall’offerta che ogni persona è capace di proporre all’altro che, pur sempre, scopre in sé un fondo di indigenza e di povertà. È chiaro che questo è un discorso che supera un livello materiale (denaro, genere primari di sostentamento, risorse tecniche, ecc.) ma non lo esclude. Mettere in comune, donare, offrire: ma come? Questa è la domanda centrale: tutto quanto può fare l’uomo lo compie, ma da cosa è mosso? Laicamente, la risposta può essere espressa come segue: da una profonda fede nel prezioso carattere universale della vita umana e nelle sue potenzialità, oppure da un limitante e, talvolta, pericoloso do ut des che provoca il naufragio nelle derive della menzogna, dell’egoismo e del funzionalismo fini a sé stessi che rendono l’uomo un mezzo e non un destinatario beneficato dall’azione che si compie.338 Anche l’operare il bene per mettersi a posto la coscienza rientra in questo circolo vizioso. Due soluzioni delle quali solo la prima manifesta un certo grado di positività e di accettabilità, sebbene agli occhi di un credente rimane incompleta in quanto non implica il semper novum della Creazione e, ancor più, dell’Incarnazione redentrice che assume, realizza e completa il nostro essere creati a immagine somiglianza di Dio (cf. Gen 1,26), indice ed appartenenza ad un progetto che oltrepassa e sana le nostre povertà. Nessuna macchina, o prodotto del pensiero umano, o essere mitologico si sono mai incarnati, né hanno mai salvato totalmente l’uomo attraverso un cammino in cui la povertà, lungi dall’esser disprezzata, è valorizzata come condizione ottimale per accogliere una ricchezza che non è di questo mondo e perciò non destinata a corrompersi (cf. Mt 6,20).339 Da qui comprendiamo come la povertà che va colmata mostra diversi volti e non resta legata ad un discorso di danaro o beni materiali. Di tutto questo denso piano di realizzazione per l’uomo troviamo il compendio nell’Eucaristia dove la Parola infinita e il Pane inesauribile vengono dati senza misura quali realtà concrete di una Presenza che la Chiesa deve accogliere ispirandosi, a quanto Maria – che è Madre di questa Parola e di questo Pane – ha proclamato e compiuto. I due comandi: «Fate questo in memoria di me» (cf. Lc 22,19 e 1 Cor 11,25) e il «Quanto vi dirà fatelo» (Gv 2,5) relativi alla persona di Gesù sono congiunti nel rinviare all’unico suo mistero nel quale è inserita la Vergine santa, emblema singolare di una testimonianza attiva di povertà che è ricolmata dal dono di grazia.

Il Cantico di Maria

Indubbiamente il grande cantico intonato dalla Vergine nell’episodio della Visitazione (cf. Lc 1,46-55) resta un punto fermo per il credente che vuole comprendere la povertà evangelica,340 ma anche per il ‘lontano’ che può rendersi facilmente conto di come la trama della storia è vissuta dagli indigenti. In questo testo, Maria – la donna povera341 ormai arricchita in modo incomparabile dalla presenza del Figlio – proclama il rovesciamento, la novità che il Dio di Israele ha offerto al suo popolo e, in extenso, a tutte le genti. Si tratta di un rovesciamento di tutti coloro che – per un verso o per l’altro – restando attaccati al potere e alla ricchezza mondani si rendono refrattari all’azione liberante di Dio. Il povero (nelle varie specificazioni), in questo testo, è benedetto ed elevato perché è colui che con maggiore facilità accoglie questa azione divina; tuttavia a tale povertà è collegata l’umiltà della quale Maria, sin dall’Annunciazione, si è resa modello ed immagine. Partendo proprio dalla riconsiderazione rispettosa del povero, il Magnificat diviene «contestazione radicale al regno del peccato sconfitto dall’opera del Salvatore e ormai senza futuro».342 Un regno espresso con le immagini della ricchezza e del potere. Tutte realtà ed elementi che già conosciamo, ma che ci spingono nuovamente a riflettere sul significato del nostro agire nei confronti della povertà senza quei conti che siamo soliti fare quando, invece, ci relazioniamo con persone che possono darci il contraccambio. Nella persona di Maria vediamo perciò il duplice rapporto con la povertà: da un lato, l’umile ancella di Nazaret che si pone dinanzi a Dio nella sua semplicità offrendo/sacrificando quel poco che ha: un normale progetto di vita e, dall’altro, il Dio ricco ed onnipotente che si dona a questa donna insegnandoci con questo atto  – ancor prima che con le parabole – la gratuità dell’amore e dell’offerta disinteressati. Ecco allora che da questa creatura così importante per la nostra fede e così discreta comprendiamo la pregnanza dell’offerta della donna povera che, nel tesoro del tempio, getta quanto ha per vivere (cf. Mc 12,41-44 e Lc 21,1-4) e, per altro verso, la necessaria attuazione del comando dato da Gesù di invitare alle nostre feste coloro che sono più indigenti (cf. Lc 14,12-14), invito che apre le porte del cielo. Che cosa può dare l’uomo al Dio ricco che lo benefica? Nulla, ma l’uomo benestante che soccorre l’indigente ispirandosi al comportamento di Dio può partecipare della vita senza fine e tutto ciò sfuggendo ad ogni logica di calcolo e, se vogliamo, di mercato. Possiamo allora dire che la persona di Maria ci aiuta a considerare il concetto e le situazioni di povertà con una maggiore completezza: senz’altro abbiamo la povertà materiale e spirituale da combattere sanando laddove ci sono fasce di degrado socio-economico attraverso un adeguato ed equilibrato uso dei beni della terra e diffondendo una vera e rispettosa cultura dell’uomo. Riprendendo il testo evangelico che la Chiesa quotidianamente recita (o canta) a Vespro possiamo condividere quanto afferma ancora Alberto Valentini: «è compito dei cristiani illuminare con questo canto la verità su Dio e sui suoi disegni, smascherare e rendere vane le trame di potenti, ricchi ed oppressori».343 Siamo molto vicini, nella sostanza di queste parole, ai continui appelli alla Chiesa di papa Francesco alla sobrietà e al rispetto-soccorso verso i meno abbienti. Non distaccata dalla precedente denuncia evangelica del lato negativo insito nella povertà, abbiamo il volto della medesima quale condizione ottimale per seguire ed essere discepoli di Gesù, senza che nulla appesantisca il cuore e la mente e conduca l’uomo ad un pericoloso e peccaminoso attaccamento a ciò che passa.

Conclusione

La povertà vissuta e rappresentata da Maria, oltre a caratterizzarsi per l’assenza di qualsiasi concessione all’idolatria e all’avidità, si contraddistingue per il servizio disponibile a Dio e, nella persona del Figlio, rivolto anche ai suoi fratelli e sorelle.344 Assenza di ricchezza non significa disimpegno, ma collocarsi dalla parte di coloro che, non ponendo ostacoli, sono più facilitati a scoprire le benefiche orme di Dio nella storia.

NOTE
335 La dialettica abbassamento-esaltazione propria della kenosi di Cristo (cf. Fil 2,5-11) è la trama sottile di molte sue parabole (buon samaritano, padre misericordioso e i due figli, ecc.) nelle quali Egli esorta ad aver cura delle situazioni di indigenza dell’altro.
336 L’odierno paganesimo possiede molti volti. Nel vasto panorama di Internet non pochi sono i siti e personaggi che inneggiano al ritorno di una religiosità classica pre-cristiana ripetendo in modo assai caricaturale elementi che troviamo in filosofi come Nietzsche e Sartre. Ciò senza contare coloro che si presentano e si proclamano apertamente satanisti. Ciò obbliga ad un’assidua vigilanza da parte di genitori ed educatori sulle giovani generazioni.
337 Basterebbe rileggere alcune pagine del grande filosofo G Marcel (1889-1973), nonché la densa panoramica offerta da S. Giovanni Paolo II nella sua prima enciclica Redemptor hominis (1979) che riprende, pur senza nominarlo, alcuni aspetti di questo pensatore.
338 È la morale espressa da I. Kant († 1804) nei suoi scritti (specie nella Fondazione della metafisica dei costumi) in cui il filosofo tedesco osserva che la positività dell’azione umana è legittimata dal fatto che essa: a) deve esser compiuta in modo da erigersi a norma di legislazione universale e b) deve tener conto che l’uomo è sempre un fine e mai un mezzo.
339 Ricordiamo che, storicamente, è stato questo capovolgimento di valori, affermato dal Cristianesimo, uno dei fattori che ha minato le basi del mondo greco-romano in cui soprattutto la potenza fisica e la forza del pensiero erano al vertice. Soltanto pochi pensatori (specialmente di corrente stoica come Seneca) hanno considerato la comune condizione degli esseri umani.
340 Per l’esame esegetico dettagliato di questo testo rinviamo all’ormai classico volume di A. VALENTINI, Il Magnificat. Genere letterario. Struttura. Esegesi, Dehoniane Bologna 1987. L’esegeta italiano è poi tornato sul tema nel suo successivo ed ampio volume dal titolo Maria secondo le Scritture, Dehoniane, Bologna 2007 dedicando al Magnificat due capitoli (pp. 133-164).
341 Povertà che si desume anche dalla piccolezza dell’offerta rituale nell’episodio della Presentazione di Gesùal tempio (cf. Lc 2,22-40).
342 A. VALENTINI, Maria secondo le Scritture, 164.
343 Ibidem.
344 Questo elemento di disponibilità è un altro elemento che tiene uniti i due momenti della presenza di Maria a Cana (cf. Gv 2,1-11) e presso la Croce (cf. Gv 19,25-27). Nel primo, Maria intercede ed è via ed occasione per la realizzazione del segno, nel dolore della Croce, la Madre del Signore diviene (è disposta) per suo volere Mater universalis.

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Inserito Sabato 12 Febbraio 2022, alle ore 19:47:46 da latheotokos
 
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