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  Maria di Nazaret, testimone di speranza e compassione 
Società

Un articolo di Alessandro Andreini in Riparazione Mariana, n. 1/2021, pp. 13-16.



La sfida della trasformazione

«Un mondo in continua trasformazione»: è così che il Messaggio del 214° Capitolo generale dei Servi di Maria descrive la realtà nella quale i discepoli di Cristo sono chiamati a portare la propria testimonianza di ascolto, riconciliazione e custodia, ravvivando «l’impegno ad essere, come Maria, donne e uomini di speranza».1  E non è la notizia più bella e appassionante che potremmo ricevere? Il mondo è vivo, dunque si trasforma. Può rovinarsi, certo, ma soprattutto, anzi sicuramente, finirà per diventare sempre più bello e splendente! Nella sua enciclica "Fratelli tutti", papa Francesco insiste molto su questo aspetto, invocando, appunto, la trasformazione del mondo da chiuso ad aperto, passando da un mondo di soci, preoccupati solo di se stessi, a un mondo di fratelli legati indissolubilmente gli uni agli altri, da un mondo diviso da frontiere a un mondo dove tutti comunicano, da un mondo in cui domina la manipolazione a un mondo illuminato dalla verità. Soprattutto, la sfida è quella di aiutare il nostro cuore ad aprirsi al mondo intero e così contribuire all’avventura della trasformazione che salva le persone umane e la storia nel suo insieme. Il Messaggio ha un riferimento molto commovente alla vita e all’opera dei Fondatori, al loro aver scelto di «fare del bene in una confraternita, non cambiando il mondo intero, ma facendo i piccoli passi possibili nello spirito dell’amore» (n. 4). Analogamente, papa Francesco suggerisce la pratica della gentilezza. Sembra cosa da nulla, ma può davvero trasformare profondamente la storia: «La gentilezza è una liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni umane, dall’ansietà che non ci lascia pensare agli altri, dall’urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto a essere felici. [...] Dal momento che presuppone stima e rispetto, quando si fa cultura in una società [la pratica della gentilezza] trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee. Facilita la ricerca di consensi e apre strade là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti» (n. 224). Parlare di trasformazione significa collocarsi al cuore del Vangelo e proprio nel punto di intersezione tra la speranza e la compassione. Noi speriamo, infatti, perché gettiamo lo sguardo oltre il tempo presente verso quello che deve venire e che siamo certi verrà proprio attraverso la trasformazione di tutte le cose. Così come siamo certi che è proprio la forza della compassione a produrre quella metamorfosi profonda che genera il mondo nuovo della giustizia e della pace. Il Messaggio lo spiega molto bene: nell’orizzonte biblico, non è tanto decisivo comprendere chi è Dio - e, in effetti, chi potrebbe mai pretendere di farlo? -, ma piuttosto riconoscere cosa accade quando Dio interviene (cf. n. 3). In una parola, trasformazione è la Pasqua, proprio quel mondo nuovo che Maria canta nel suo Magnificat, straordinaria rilettura pasquale della storia. Come Israele ha imparato a riconoscere Dio attraverso i gesti che egli compie nella storia, così Maria ha appreso la novità di Dio nei gesti del suo Figlio Gesù, cominciando da Nazaret e Betlemme fino ai giorni cruciali dell’ultima Pasqua a Gerusalemme. Per questo Maria è diventata e rimane per i discepoli del Vangelo «la più alta testimonianza di una fede che genera speranza e gioia, vita che non si arrende, potenza nella debolezza» (n. 3).

Maria, a Cana, testimone di speranza

Non è certo un caso, allora, che il vangelo di Giovanni ci presenti la figura di Maria perfettamente al centro di quel processo di trasformazione che Gesù inaugura a Cana di Galilea e porta a compimento sul Calvario: dal primo dei segni al segno supremo, Gesù opera la metamorfosi della storia con la forza trasformante del suo amore. Inizia dal vino per concludere con il sangue, potremmo dire, puntando sempre e soltanto alla gioia e alla pienezza dell’umanità. È quanto il Messaggio afferma con parole particolarmente efficaci: «Contro ogni sistema di morte è la persona di Gesù a mantenere viva la speranza, colui che di fronte alla sua stessa morte, e al tradimento dei suoi, incoraggia ad affrontare la storia e i suoi contrasti con uno spirito nuovo: “Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33)» (n. 4). Di questa vittoria della speranza e dell’amore, Maria è testimone privilegiata, anzi vera e propria protagonista in azione. Forte di quanto ha appreso nei giorni della natività del Figlio, grazie alla sua intensa contemplazione di tutto ciò che aveva vissuto, visto e udito, a Cana di Galilea Maria sembra addirittura forzare i tempi di Gesù, spingendolo a portare vino sulla mensa povera e stanca del mondo. E lo fa insegnando a tutti noi a collocarci nella giusta posizione nei confronti di Dio: noi chiediamo, ma per metterci subito nella posizione dell’ascolto e dell’obbedienza, dell’imparare a fare quello che il Maestro andrà dicendoci nel cammino della storia. A Cana di Galilea iniziamo a comprendere che la trasformazione è il cuore della differenza cristiana, la vera novità del Vangelo. È il vero stile con cui Dio stesso opera. Ed è uno stile per nulla lontano dalla condizione umana. Come ci dicono i biologi, infatti, il nostro corpo continuamente si trasforma. Ogni sette anni circa, tutte le molecole del nostro corpo sono rinnovate. Non è, dunque, questione di rimanere fermi, dal momento che è del tutto impossibile farlo: la natura stessa ci parla di movimento, di trasformazione, appunto. Non si rimane mai gli stessi. O si cresce o si decresce, o si migliora o si peggiora. Quel che fa la differenza, proprio la differenza cristiana, è la regia che presiede a tale trasformazione, la direzione verso la quale quella trasformazione è orientata. Ecco, la forza di Dio bussa al nostro cuore, chiedendo di essere accolta. La trasformazione, infatti, è un puro dono di Dio, che il Signore ha già compiuto nell’incarnazione di suo Figlio, ma che vorrebbe continuare a compiere in noi. Il contributo che possiamo dare da parte nostra è il nostro disporci a questa trasformazione, la volontà di indirizzare verso Cristo il nostro profondo desiderio di trasformazione. Allora, colui che ha trasformato l’acqua in vino, trasformerà anche la nostra vita, dandole un nuovo sapore e componendo, finalmente, ogni contrasto e opposizione, perché fiorisca il nostro vero essere e la nostra bellezza interiore si riveli come in una sposa. Ecco il ruolo di Maria a Cana: facilitare questa disposizione, esserne la prima, eloquente icona, con le sue parole straordinarie di fede e di abbandono. Guardando a lei, noi possiamo sperare di riuscire a pronunciare anche il nostro sì e comprendere, come scrive ancora efficacemente il Messaggio, che «il fondamento della speranza non è una storia trionfante o il successo visibile delle imprese umane, ma Gesù “il crocifisso risorto”» (n. 5).

Maria, sul Calvario, testimone di compassione

È sulla croce che viene compiuto quello che a Cana risplendeva come gloria di Dio: qui tutto, perfino la morte e la colpa, vengono portati dentro l’amore di Dio, qui tutti gli opposti del mondo diventano una cosa sola. Se, a Cana, Maria è stata la porta d’ingresso di Gesù nel mondo e l’ispiratrice della sua prima rivelazione pubblica, sotto la croce, ella è la porta attraverso la quale Gesù entra nella sua gloria e, proprio per questo, può finalmente abitare in ciascuno di noi. Vale per tutti noi quello che vale per il discepolo prediletto: siamo invitati ad accogliere Maria per accogliere suo Figlio Gesù. Ed è questo il nostro vero compito: accogliere nella nostra casa l’amore di Dio che ci raggiunge per mezzo di Maria e lasciarlo entrare “tra le cose che ci sono proprie” come dice letteralmente il testo (cf. Gv 19,27), nell’intimo più profondo del nostro cuore. Se a Cana la trasformazione è stata annunciata nel segno della speranza, al Calvario essa si realizza nella forza della compassione che trasforma il nostro cuore, così che tutto quello che Gesù ci offre possa effettivamente diventare vita della nostra vita. Come si legge ancora nel Messaggio, la prima ad aver imparato la Pasqua è proprio Maria: «Il dramma della croce e la gioia della risurrezione hanno segnato profondamente anche l’esistenza di Maria tanto da unirla in modo nuovo ai discepoli di ieri e di oggi, per divenire famiglia di Gesù mediante la fede e la speranza» (n. 4). L’invito che dalla croce Gesù indirizza alla madre, rivolgendosi a lei con lo stesso termine “donna” utilizzato a Cana (Gv 2,4; 19,26), è quello di riconoscere nel discepolo amato il figlio, cioè la sua continuità. Se la scena del Calvario sembra ed effettivamente è una scena di morte, in prospettiva teologica essa si trasforma, per la potenza dell’amore, in una scena di vita. Non una morte, ma un parto: è proprio a un parto che Gesù stesso aveva in precedenza paragonato la propria morte, sempre nel racconto giovanneo (cf. 16,21-22). Sul Golgota, non è tanto la morte di Gesù a venire in evidenza, quanto piuttosto la nascita della comunità dei figli di Dio i quali, come canta il Prologo del quarto Vangelo, «non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1,13). Due particolari lessicali confermano che il messaggio che il quarto Vangelo affida alla presenza di Maria sotto la croce è la proclamazione della vittoria dell’amore compassionevole che vince ogni chiusura e divisione. Gesù non si rivolge a Maria come a sua madre, ma come alla madre: ella, dunque, non è più semplicemente la madre di Gesù, ma di tutta la comunità che nasce dall’Israele rimasto fedele a Dio. Analogamente, nel rivolgersi alla madre, Gesù non dice tuo figlio, ma il tuo figlio: Gesù si identifica nel discepolo amato, che è come se stesso, e così si avvera quanto egli stesso aveva affermato nella sua preghiera sacerdotale nel Cenacolo: «Io in loro e tu in me» (Gv 17,23). La comunità dei figli di Dio nasce, dunque, dalla Croce. E nasce come “famiglia”: ecco tuo figlio, ecco tua madre. Ai piedi del Crocifisso, Maria è figura della perfetta discepola che ha percorso fino in fondo il cammino della fede. La fede matura, infatti, è quella che sa vedere lo splendore di Dio proprio nel volto sofferente del Crocifisso. Maria ai piedi della croce è l’immagine vivente della fede che ha saputo capire e che, proprio perché ha capito, mette immediatamente in pratica. Nell’evento del Calvario vi è come una doppia direzione: quella verticale, da Dio verso di noi, e quella orizzontale, che stabilisce nuovi e definitivi legami tra noi. Il primo dato è evidente e impressionante: è Gesù e solo Gesù che parla. Né la madre né il discepolo amato rispondono. Essi semplicemente ascoltano e mettono in pratica. Ed è qui che emerge il movimento orizzontale, il prendersi e il donarsi reciprocamente l’uno all’altra e l’una all’altro. Così la speranza si realizza nella compassione: accogliamo veramente Dio in noi accogliendo in noi il fratello. Ci appropriamo veramente di Dio nel momento e nella misura in cui accogliamo il fratello e la sorella. Tutto il resto è chiacchiera inutile. Non è, dunque, sufficiente comprendere che la via di Dio è la croce né basta condividere il destino di Gesù. Si tratta di imparare a servire Gesù amandolo negli uomini, condividere la sua croce condividendo il dolore degli uomini. È il passo indubbiamente più difficile, il passo della vera compassione, e Gesù ha invitato proprio sua madre a compierlo per prima: «Donna, ecco tuo figlio». Come a dire: l’amore che nutri per me, le tue attenzioni, il tuo servizio dirigili verso il discepolo amato, verso gli altri discepoli, verso tutti. Una totalità, però, che non è in nessun modo generica. Non può sfuggire, infatti, la singolare diversità tra l’evangelista che chiama Maria due volte semplicemente “madre” e altre due volte “sua madre” e Gesù che la chiama, invece, “tua madre” quando la presenta al discepolo che “la” accoglie. È chiaro che il testo vuole così suggerire che “sua” madre diventa “tua” madre, di te che leggi, se “la” accogli.

Conclusione

La scena che Giovanni narra immediatamente dopo quella della consegna di Maria sotto la croce riferisce la consegna dello Spirito da parte di Gesù, la sua morte in croce e la fuoriuscita del sangue e dell’acqua dal suo costato trafitto. È il compimento della Pasqua che ci richiama, ancora una volta, alla manifestazione di Cana. Qui si scopre in tutta la sua grandezza il ruolo della madre di Gesù secondo Giovanni: ella è davvero colei che, con il suo sì, fa posto all’opera di salvezza realizzata dal Figlio, la porta aperta a Oriente dalla quale è venuto a noi il Cristo, sole che sorge e illumina con una nuova luce il mondo intero. Se a Cana il vino era stato offerto solo al maestro di tavola, ora esso è destinato a chiunque lo accetti. L’amore di Gesù, che sgorga dal suo costato sotto forma di sangue e acqua, è il vero vino che rallegrerà le nozze nuove e definitive di Dio con l’umanità. Madre di speranza e di compassione, Maria sta al centro della Chiesa per continuare a presiedere alla trasformazione che l’amore inesauribile di Dio realizza nella storia, trasformando prima di tutto il mio cuore.

NOTE
1 ORDO FRATRUM SERVORUM BEATÆ MARIÆ VIRGINIS, Servi della Speranza in un mondo che cambia. Messaggio alla Famiglia dei Servi, Curia generalis OSM, Romæ 2020, n. 1.

Inserito Sabato 5 Marzo 2022, alle ore 19:19:45 da latheotokos
 
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