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  I Teologi Palamiti e l'immagine spirituale e cosmica di Maria 
Autori

Da Ermanno Maria Toniolo, La Vergine Maria, icona della spiritualità d'Oriente, Centro di Cultura Mariana "Madre della Chiesa", Roma 2004, pp. 90-97.



1. Premessa

Il secolo XIV e la prima metà del secolo XV, fino alla caduta di Costantinopoli il 29 maggio 1453, fu lo spazio privilegiato dell’ultima produzione libera e tenace della secolare teologia bizantina, che trovò nell’ambito monastico e nei circoli culturali dell’epoca continuità storica e novità d’impulso. La controversia esicasta, che vide schierati pro e contro insigni teologi e in pratica si concluse con la vittoria dell’esicasmo propugnato a spada tratta da Gregorio Palamas e dai suoi sostenitori, divenne occasione per una produzione teologica in parte nuova, impregnata di spiritualità monastica, sulla scia dei teologi spirituali del passato. Il mistero di Cristo fu il centro attorno al quale ferveva – teorica e pratica – la controversia: poiché gli esicasti, attraverso metodi ascetici, di preghiera incessante e di silenziosa contemplazione, miravano a raggiungere fin da quaggiù una fruizione di quella luce divina che emanava dal Cristo sul Tabor, e che essi cercavano non al di fuori, ma al di dentro di se stessi, nella vita nascosta in Cristo che il battesimo e i sacramenti producono e accrescono in noi. Il cammino dell’ascesi e il suo termine nella comunione divinizzante col Signore erano dunque l’oggetto della prassi monastica e della teoria teologica. In questo contesto prese nuovo risalto la figura spirituale di Maria e la sua verginale divina maternità, apice di ogni possibile percorso umano verso l’esperienza divina. I maggiori esponenti dell’epoca, sono:
1) Gregorio Palamas (†1359), prima monaco, poi arcivescovo di Tessalonica. La sua produzione teologica è cospicua; in essa figurano diverse omelie mariane, celebre fa tutte l’omelia 53, un discorso a modo di trattato sull’ingresso della B.V. Maria nel santo dei santi.
2)
Teofane II vescovo di Nicea (†1381), anch’egli sostenitore dell’esicasmo, è autore di un discorso singolare sulla santissima Madre di Dio, che porta il titolo emblematico: «Discorso sull’immacolata santissima Theotokos nostra Signora, che sviluppa in vari modi le sue grandezze ineffabili degne di Dio, mostrando che il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio è l’incontro e l’unione di Dio e di tutta la creazione: e ciò costituisce il bene supremo e la causa finale di ogni essere».
3)
Nicola Cabasilas (†c. 1396), laico dottissimo, è conosciuto anche in Occidente per la sua Spiegazione della divina liturgia e per il capolavoro di teologia mistagogica che è la sua Vita in Cristo, in sette libri; egli ci ha lasciato tre omelie mariane – sulla Natività, sull’Annunciazione, sulla Dormizione – che formano un vero trittico mariologico.
4)
Isidoro Glabas, arcivescovo di Tessalonica (†c. 1397), ha quattro omelie mariane: sulla Natività, sull’Ingresso della Vergine nel Santo dei Santi, sull’Annunciazione, sulla Dormizione, che documentano la stessa dottrina del circolo culturale costantinopolitano e tessalonicese.

2. Il Verbo incarnato, ricapitolazione del creato

Il fulcro attorno al quale si muove il pensiero teologico e mariologico di questi autori è la ricapitolazione in Cristo di tutte le cose, visibili e invisibili. Il mistero di Cristo, Verbo incarnato e redentore, pur essendo unico, è un mistero complesso, che congiunge insieme l’eterna preesistenza del Logos, la sua azione creatrice come Parola onnipotente e Sapienza del Padre, la sua nascosta presenza nel cammino storico di preparazione alla sua venuta, la sua incarnazione, il mistero pasquale e – alla fine – il mistero escatologico, che avvolgerà di sé e ricapitolerà in modo definitivo e plenario l’universo. Ora, in tutti questi aspetti dell’unico mistero, in maniera congiunta e subordinata, i nostri autori vedono presente la Vergine Maria, in quanto vera Madre di Dio. Questa presenza del resto è commemorata ogni giorno nella liturgia bizantina. In Oriente, incarnazione e mistero pasquale vengono professati e celebrati con grande solennità, come e più che in Occidente. Tuttavia, a motivo anche delle interminabili dispute che ebbero luogo attorno all’unione ipostatica delle due nature nel Verbo, e conseguentemente attorno alla divina maternità di Maria, per cui addirittura dopo il Concilio di Calcedonia si staccarono dalla grande Chiesa le antiche Chiese orientali, il mistero dell’incarnazione assunse una centralità dottrinale e celebrativa sconosciuta all’Occidente.

2.1. L’incarnazione è il fine della creazione

È proprio attorno al mistero dell’incarnazione che gravita la teologia bizantina della ricapitolazione di tutte le cose in Cristo e della loro deificazione: ricapitolazione documentata a sufficienza da alcuni testi biblici, soprattutto di Paolo (ricordo Ef 1,3-10 e Col 1,12-20), ma approfondita e precisata dalla tradizione viva della Chiesa, attraverso i concili di Efeso e di Calcedonia e le esposizioni dottrinali dei Padri greci, da Atanasio al Damasceno. Scrive Massimo il Confessore: «In vista di Cristo, cioè del suo mistero, tutti i secoli e le cose che sono in essi hanno avuto in Cristo il principio e il fine del loro esistere». Questo mistero consiste «nell’unione del limitato con l’illimitato, del misurato con l’incommensurato, del finito con l’infinito, del Creatore con la creatura, della quiete con il moto: tale unione si manifestò in Cristo negli ultimi tempi». Cristo dunque è il fine ultimo, al quale Dio guarda creando l’universo: egli è la Sapienza che assiste il Creatore mentre crea e ordina tutte  e cose e in esse si compiace. Dio Creatore infatti non poteva avere altro fine creando all’infuori dell’Incarnazione, perché – scrive Cabasilas – «nessun’altra delle opere di Dio ha fatto diventare l’uomo dio». E conclude: «Tutti gli esseri e gli avvenimenti sono stati creati e voluti in vista di questa economia». Perché altrimenti – afferma Teofane Niceno – «tutte le opere di Dio sarebbero inutili e indegne della munificenza del loro Creatore, perché prive del suo dono ineffabile e della sua grazia, cioè della deificazione». Tutto il creato dunque viene all’esistenza solo attraverso il Verbo, e tutto gravita attorno al mistero del Verbo incarnato, nel quale trova la sua vera e costitutiva pienezza. Ma i bizantini non dimenticano di porre in luce singolare un secondo principio: il divenire.

2.2. Il cammino del creato: dalla semplice esistenza alla vita beata

La nota che contraddistingue la creazione in genere, e l’uomo in particolare, è il divenire, il cammino, il progresso: cioè il “passare da” per “giungere a”: passare dalla semplice esistenza naturale per giungere alla partecipazione di Dio, della sua luce, del suo amore, della sua beatitudine, compimento di ogni anelito umano e creato: dalla semplice esistenza cioè alla vita beata. Quello che la filosofia greca definiva: «passare dall’“essere” al “bene-essere”, o al “meglio-essere”», la tradizione cristiana, seguita dai nostri autori, chiama: «passare dalla vita naturale a quella divina, da essere per natura uomini a diventare dio per partecipazione». È la legge della divinizzazione, di cui primariamente sono oggetto gli uomini, ma ne beneficiano angeli e mondo infraumano. Scrive Teofane Niceno: «È chiaro che Dio ha chiamato tutte le cose dal nulla non solo per la loro semplice esistenza, ma anche in vista della loro esistenza felice: ciò si addice alla suprema bontà divina... La semplice esistenza è quasi un’ombra ed una immagine imperfetta; l’esistenza felice è invece l’icona perfetta e la vera somiglianza di colui che per natura è beato». Però, il cammino della creatura umana (ed angelica) è legato non solo ai doni gratuitamente elargiti da Dio, ma in modo primario al retto uso del libero arbitrio, mediante il quale Dio ha voluto accanto a sé e nell’attuazione dell’unico progetto di Sapienza, creature libere, che responsabilmente lo accolgano. Il Creatore si è condizionato in certo modo alla sua creatura. Primariamente all’uomo; perché l’uomo è il “microcosmo”.

2.3. L'uomo "microcosmo", strumento della ricapitolazione dell'universo

Anche questa intuizione risale alla filosofia greca, addirittura dei naturalisti, che vedevano nell’uomo ricapitolati i quattro elementi primordiali. Ma la rivelazione cristiana dilata la conoscenza degli esseri e delle componenti del cosmo: gli esseri sono visibili ed invisibili, razionali e irrazionali. Ora l’uomo ricapitola tutto quest’immenso mondo, visibile e invisibile: nell’ottica di Palamas e degli autori del tempo, l’uomo, ultimo creato, è la sintesi perfettiva della creazione. In questo seguono la dottrina che Giovanni Damasceno aveva formulato: «Il beneplacito del Padre operò la congiunzione di tutte le cose nell’unigenito Figlio. Se infatti l’uomo è per costituzione un microcosmo, portando in sé il vincolo di ogni essenza visibile ed invisibile – e in verità è proprio questo –, piacque al Signore e creatore e governatore dell’universo che nell’unigenito Figlio a lui consostanziale si facesse l’unione della divinità e dell’umanità e, per mezzo di essa, di tutta la creazione, perché Dio fosse tutto in tutti». Ma l’uomo, creato per l’incarnazione e per ricapitolare in sé come
microcosmo tutto l’universo, non raggiunge questo fine se non realizza l’immagine e la somiglianza che Dio gli ha impresso creandolo. Di qui un quarto principio: il cammino perfettivo dell’uomo.

2.4. Il cammino perfettivo dell'uomo
Il primo Adamo non fu che in parte e per poco tempo “immagine e somiglianza” di Dio: perché non portò a compimento il suo cammino sulla strada dell’obbedienza alla Parola di Dio e decadde dalla sua amicizia. Bisogna infatti che l’uomo – scrive Cabasilas – giunga ad «amare puramente Dio, vivere secondo ragione, dominare le passioni, conservarsi immune da ogni peccato». Avendo pertanto creato l’uomo libero, ma in vista dell’incarnazione, due cose Dio si attende dall’uomo – e precisamente dalla futura Madre per mezzo della quale si farà uomo e ricapitolerà la creazione – : in primo luogo, che porti a compimento con libera scelta l’immagine e la somiglianza divina, cioè realizzi in sé il fine per cui fu creata la natura umana e la conduca al vertice spirituale cui l’ha destinata per essere assunta dal Verbo; in secondo luogo – appunto perché creatura libera – che liberamente accetti l’incarnazione di Dio e totalmente si doni a lui e alla sua opera. Al cammino di Maria dunque e alla sua libera accettazione è sospeso il progetto della Sapienza di Dio; dal cammino spirituale e dalla libertà di Maria dipende anche la ricapitolazione e la deificazione del creato.

3. Maria vertice di tutto il creato

Palamas definisce Maria «confine [o termine di demarcazione] fra il creato e l’Increato». Ella infatti – e solo lei – ha raggiunto la suprema perfezione. Lei dunque si è resa degna di diventare Madre di Dio. E tuttavia Dio subordina l’incarnazione del Verbo, dono totale di sé alla creazione, al libero «» di Maria.

3.1. L’itinerario spirituale di Maria, realizzazione dell'uomo
Gli autori bizantini non solo asseriscono che Maria è dono di Dio all’umanità, ma che è anche dono che l’umanità fa a Dio: un dono che Dio giusto concede a due giusti genitori, esaudendo le loro preghiere, e – come afferma Nicola Cabasilas – quasi intervenendo direttamente nel «creare l’Immacolata come il primo uomo». Con Maria Dio ci riporta agli inizi di una nuova creazione. Grazia e libero arbitrio sono i coefficienti dell’ascesa progressiva di Maria verso l’ultima perfezione. Palamas e Teofane Niceno affermano chiaramente questa singolare sinergia tra la grazia di Dio e la risposta di Maria. Anzi, per Gregorio Palamas Maria è il vertice realizzato e quindi il modello compiuto dell’ascesi esicasta che tende alla comunione con Dio e alla partecipazione della luce divina, fino a “vedere Dio”. Maria è l’esicasta perfetta. Scrive Palamas: «La Vergine purissima fin dall’inizio della sua vita rinunciò ad ogni legame terreno, si ritirò dagli uomini, fuggì la vita di peccato, scelse di vivere non vista dagli altri... salì al di sopra di ogni amore, compreso quello per il proprio corpo, e così unificò l’intero suo essere alla mente mediante l’attenzione e mediante l’incessante divina orazione... Salì al di sopra di tutte le creature e vide la gloria di Dio in modo più perfetto di Mosè, vide la grazia divina, che non può essere compresa dai sensi, ma è spettacolo santo, concesso alle anime pure e agli angeli». E Cabasilas aggiunge: «Da se stessa introdusse e operò quelle cose, che attrassero sulla terra il Creatore. Quali? Vita immacolata, comportamento castissimo, rifiuto di qualunque malizia, esercizio di ogni virtù, anima più pura della luce, corpo del tutto spirituale, più luminoso del sole, più puro del cielo, più sacro del trono dei cherubini; ala della mente non vinta da alcuna altezza, e se pur c’è ala per gli angeli, anch’essa le resta inferiore; divino amore, che attrae a sé tutta la forza concupiscibile dell’anima; possesso di Dio, comunione con Dio al di sopra di ogni creata capacità intellettiva. Mettendo in azione verso tale bellezza sia il corpo che l’anima, attirò su di sé lo sguardo di Dio, e con la propria avvenenza mostrò bella la nostra natura e attrasse l’impassibile; e colui che a causa del peccato era ostile agli uomini, per lei si fece uomo». Il cammino spirituale della Vergine è itinerario d’amore, che riempiendole la mente e lo spirito, trascina verso l’Amato non solo le potenze dell’anima e della mente, ma anche il corpo con le sue capacità. La sua unione ultima con Dio nello spirito e nell’intera persona umana sublimata è tale, che solo la divina maternità può ormai coronarla. La divina maternità appare come il vertice naturale della ascensione spirituale della Vergine, incontro amoroso tra lei che anela e Dio che si dona. Così l’incarnazione del Figlio corona il cammino spirituale della madre, corona la finalità e l’anelito della natura umana, corona la beatitudine degli angeli e la tensione a Dio del mondo creato. L’annunciazione è giorno di festa per tutto l’universo, è gioia che si apre fino all’ultimo compimento nella gloria.

3.2. Il "sì" di Maria, coronamento del progetto divino
Quando Maria ha raggiunto la vetta, tutto ormai è pronto per le nozze del Verbo con la natura umana. Ma come egli liberamente e totalmente si dona, altrettanto liberamente la Vergine – a nome degli uomini e dell’universo – deve interamente donarsi a Dio. Il coronamento del creato, e la salvezza umana che seguirà all’incarnazione, dipendono dal “” di Maria. Scrive Cabasilas: «Quando si trattò di creare Adamo, Dio dialoga col suo Unigenito: “Facciamo l’uomo”, dice (Gen 1,26). Ma quando si trattò di introdurre sulla terra – come afferma Paolo – quest’ammirabile Consigliere, cioè il Primogenito, e formare il secondo Adamo, di questo progetto assume come compartecipe la Vergine. E questo grande disegno lo dispose Dio, ma lo confermò la Vergine. L’incarnazione del Verbo non fu solo opera del Padre, della sua Virtù e dello Spirito – egli approvando, questa venendo, lo Spirito adombrando –; ma fu opera anche della volontà e della fede della Vergine. E come, senza le Tre divine persone, questo disegno non avrebbe potuto effettuarsi, così pure, se l’Immacolata avesse negato il suo consenso e la sua fede, era impossibile che il progetto andasse in atto». Maria è il partner di Dio, cosciente e libero. A quest’opera che tutto compendia, cioè l’incarnazione, tutto deve essere presente e donato: l’integra bellezza del corpo, la ricomposta armonia dell’anima e della mente, l’intelligenza e la volontà. Lo stato d’animo di Maria, o meglio la sua persona in tutte le sue componenti, si fondono in uno per dare una risposta veramente “umana” al Verbo che chiede di diventare suo figlio. Il corpo è nella pace più alta; l’anima in uno stato di imperturbabilità tale, quale nessun’altra creatura potrà mai raggiungere; la mente e i pensieri sono pieni di serenità. La Vergine dell’annuncio è dunque l’immagine della pace riconquistata, dell’armonia ricomposta come e più che alle origini nella complessità dell’essere umano, della chiarezza trasparente. Ella è giunta al traguardo spirituale, cui ogni santo monaco vorrebbe giungere. Le parole fluiscono dall’intimo del cuore, come sgorga gioiosa dal cuore la risposta dell’Amata al suo unico Amato: «Ecco – dice – l’Ancella del Signore: oh! che mi avvenga secondo la tua parola». E il Verbo si fece uomo: perché era giusto che Dio si facesse Figlio della Vergine ed era giusto che la Vergine diventasse la Madre di Dio. Scrive Cabasilas: «Con la parola della Madre fu plasmato il Verbo del Padre; con la voce di una creatura fu creato il Creatore». In quel momento, e solo in quel momento, si compì il tempo: l’uomo fu assunto dal Verbo, la creazione fu ricapitolata in lui; ed ebbe inizio, con la redenzione dell’uomo, una nuova creazione, che vide indissolubilmente unita la Madre al Figlio Salvatore in tutte le tappe della salvezza umana: nella povertà, nell’ignominia, nella morte, nella gloria; e la vede oggi partecipe del primato di Cristo su tutte le creature, quale dispensatrice dei suoi doni divini.
 

Inserito Lunedi 28 Marzo 2022, alle ore 10:08:34 da latheotokos
 
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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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