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  Maria di Nazareth, icona della "Lectio Divina" 
Spiritualità

Di Enrico Dal Covolo in AA. VV., Maria e la Parola di Dio, rivelata celebrata vissuta, Centro di Cultura Mariana "Madre della Chiesa", Roma 2009, pp. 173-184.



1. MARIA, «ICONA» DELLA LECTIO

Nel Vangelo dell’infanzia Luca ripete due volte che Maria «custodiva nel cuore tutte queste parole» (2,19.51). Per essere più precisi, in questi due passi l’evangelista usa lo stesso verbo greco (teréin, cioè «custodire»), ma con due preposizioni differenti. La prima volta (2,19) Luca usa la preposizione syn, che corrisponde al latino cum, e che dà al verbo «custodire» il senso di «raccogliere insieme»; la seconda volta (2,51), invece, usa la preposizione diá, che esprime piuttosto l’idea dell’intensità e della durata. In definitiva, Luca intende dire che nella teca preziosa del suo cuore la vergine madre «continuava a custodire insieme con grande cura» ogni reliquia del Verbo, cioè – per così dire – ogni «particola» del mistero di Gesù. Ma una delle due volte Luca aggiunge anche: «E le confrontava...» (2,19). Qui viene usato un altro verbo greco ricco di significato: è il verbo symbállein, imparentato fra l’altro con il sostantivo italiano «simbolo». In questo modo Luca vuol dire che Maria non soltanto «custodiva con diligenza» il Verbo di Dio: di più, essa «confrontava» le parole della rivelazione. Di solito gli esegeti interpretano questo «confrontare» mettendolo in rapporto unicamente con le parole e gli eventi della rivelazione, nel senso che Maria li «confrontava» tra di loro, per giungere a una comprensione più piena di essi. Ma nulla impedisce, a mio parere, di intendere questo «confrontare» anche in relazione con la vita di Maria. In questa interpretazione, che mi permetto di avanzare, Maria confrontava con la Parola la sua stessa vita, evidentemente per rendersi sempre più docile al progetto che Dio aveva su di lei. Certo, in lei non c’era peccato; ma questa assenza del peccato non l’ha mai esonerata dal faticoso itinerario della fede. Proprio a questo proposito Giovanni Paolo II, riecheggiando il testo della Costituzione conciliare Lumen Gentium, si riferiva alla «peregrinazione della fede», nella quale «la Beata Vergine avanzò», serbando fedelmente la sua unione con Cristo.1 Si vede così che i due verbi usati da Luca («continuare a custodire con diligente cura», e «confrontare») rappresentano una progressione di impegni dinanzi alla Parola. Di più, essi evocano il duplice movimento che caratterizza l’antica lectio patristica e monastica. Il primo movimento (cioè il «continuare a custodire con grande cura» di Maria) è come un «viaggio di andata» (dal lettore al testo): leggo e medito la Parola, per farla scendere in profondità nel mio cuore. A questo primo livello, la domanda guida è la seguente: «Che cosa mi dice questo testo?». Il secondo movimento (vale a dire il «confrontare» di Maria) implica un «viaggio di ritorno» (dal testo al lettore). La domanda-guida allora diventa questa: «Che cosa dico io al testo? Come lo faccio fruttificare nella preghiera e nella contemplazione, vale a dire nella testimonianza della vita, “faccia a faccia” con quel Dio che è tutto Carità?». Ben a ragione, dunque, Mario Masini – uno dei più accorti studiosi della lectio divina – osserva che «gli scritti del Nuovo Testamento... ci presentano in Maria madre del Signore l’icona del modo molteplice di “accogliere nel cuore” la Parola».2

2. LA LECTIO DIVINA E I PADRI DELLA CHIESA3

Ma che cosa intendevano esattamente i nostri Padri con l’espressione lectio divina, che proprio da loro è stata coniata? Bisogna riconoscere anzitutto l’oggettiva difficoltà della questione che ci poniamo. Le difficoltà sono legate alla precisa definizione dei due termini in questione: lectio divina e Padri della Chiesa. È vero che di per sé la definizione di Padre della Chiesa non pone grossi problemi. Come è noto, infatti, sono chiamati Padri quegli Scrittori ecclesiastici dei primi secoli che, distintisi per la santità della vita, l’eccellenza e l’ortodossia della dottrina, meritarono di essere insigniti dalla Chiesa del titolo pregnante di Padre: di conseguenza, a chi si compromise con l’eresia non fu assegnato il titolo di Padre, ma genericamente quello di Scrittore ecclesiastico. Noi qui ci riferiamo agli uni e agli altri scrittori, e cioè useremo l’appellativo di Padri della Chiesa in modo piuttosto ampio, intendendo abbracciare tutta intera l’antica letteratura cristiana.4 Occorre aggiungere però che, essendo la Chiesa ormai «cresciuta in età», il riferimento cronologico ai «primi secoli» tende anch’esso a crescere. Tradizionalmente l’età patristica termina con Isidoro di Siviglia in Occidente e con Giovanni Damasceno in Oriente (dunque tra il VII e l’VIII secolo), ma oggi molti studiosi preferiscono estenderla in Occidente fino a Bernardo di Chiaravalle (†1153), considerato come «l’ultimo dei Padri». Se si accetta questa periodizzazione, occorre accettare anche due conseguenze. La prima assicura la massima plausibilità alla nostra indagine, perché il discorso più cospicuo sulla lectio divina va riferito alla cosiddetta età monastica, e specialmente al secolo di Bernardo. La seconda conseguenza è meno incoraggiante, perché è evidente la difficoltà di riferirci complessivamente, pur nella prospettiva limitata che qui ci interessa, a dodici secoli di storia della Chiesa. Ma ancora più grave è la difficoltà determinata dall’altro termine in questione, precisamente la lectio divina. Abbiamo già accennato che la lectio divina, intesa come esercizio stabilmente codificato di lettura della sacra pagina, con i suoi tempi e con i suoi gradi, si afferma piuttosto tardi. È nel mondo monastico di lingua latina che la lectio vive più ampia consuetudine, fino a trovare il suo esplicito legislatore in Guigo II, priore della Grande Certosa quando Bernardo era morto ormai da vent’anni. D’altra parte, però, la lectio divina, più ampiamente intesa come «lettura e ascolto pregato della Parola di Dio», o anche come «lettura che concede molto spazio alla preghiera e alla conversione della vita», precede di gran lunga il XII secolo. Possiamo affermare anzi che essa non è successiva alla Bibbia, ma interna ad essa. Il discorso inaugurale di Gesù nella sinagoga di Nazaret (Luca 4,16-27) non è forse un esempio di lectio divina? I discepoli di Emmaus, che sentono ardere il cuore mentre il Maestro spiega loro le Scritture (Luca 24,27), non fanno l’esperienza caratteristica della lectio?5 E da sempre, fin dai primi secoli cristiani, i Padri greci hanno coltivato e raccomandato quella che Origene († 254) chiama la théia anágnosis,6 e che i Padri latini, a partire da sant’Ambrogio (†397), chiamano lectio divina. Nel secolare (addirittura millenario) consolidamento di questa pratica spirituale, un ruolo di particolare importanza lo esercitarono le antiche Regole monastiche di lingua latina, da sant’Agostino a Benedetto, fino a Gregorio Magno e a Isidoro di Siviglia (solo per fare alcuni nomi fra i più illustri). Questa cospicua eredità venne poi raccolta in maniera esaustiva da Guigo II, priore della Grande Certosa negli anni tra il 1174 e il 1180. Egli ci ha consegnato una presentazione organica della lectio divina nella celebre Lettera «all’amatissimo fratello suo Gervaso», intitolata anche La scala di Giacobbe, largamente diffusa e variamente pervenuta pure sotto i titoli di Trattato sul modo di pregare, Lettera sulla vita contemplativa, La scala dei monaci, La scala del paradiso. Queste diverse titolazioni dello scritto ne esprimono già i contenuti, e insieme indicano la speranza di frutti spirituali riposta nella lectio divina. «Un giorno, occupato in un lavoro manuale», scrive appunto Guigo II all’inizio della sua Lettera a Gervaso, «mi trovai a pensare all’attività spirituale dell’uomo». Dunque, proprio mentre sta eseguendo un’attività manuale, Guigo si rende conto che ogni manufatto, per riuscire soddisfacente, richiede tempi e ritmi precisi, o più esattamente una serie di operazioni scalari. Allora si domanda se per caso non succeda la stessa cosa anche per le attività dello spirito, e prosegue: «Si presentarono improvvisamente alla mia riflessione quattro gradini spirituali, ossia la lettura, la meditazione, la preghiera, la contemplazione. Questa è la scala che si eleva dalla terra al cielo, composta di pochi gradini, e tuttavia di immensa e incredibile altezza, la cui base è poggiata a terra, mentre la cima penetra le nubi e scruta i segreti del cielo».7 La riflessione di Guigo sollecita la nostra attenzione. Essa ci permette di elencare in ordine le quattro tappe fondamentali della lectio divina: la lectio, la meditatio, l’oratio, la contemplatio. Ora è opportuno accennare successivamente a ciascuna di esse, confrontando ciò che è scritto nella Lettera a Gervaso con alcuni elementi della tradizione patristica, a cui Guigo stesso si riferisce:

- Lectio
Nella coscienza dei Padri, la vera lectio è il «docile ascolto » di una Parola che si rivolge personalmente al lettore. Così Guigo scrive che «l’ascolto ha in qualche modo a che fare con la lectio», e che la lectio è inutile se non si viene istruiti dall’ascolto.8 Era questa la persuasione di fede del grande papa Gregorio, tanto per citare l’esempio di un autorevolissimo esegeta della tradizione occidentale. Un suo amico, di nome Teodoro, era diventato medico personale dell’imperatore, incarico di prestigio nella corte di Costantinopoli. Teodoro era generosamente impegnato in attività esterne, e anche in opere di carità, ma era negligente nella lettura della Bibbia. E Gregorio, da quell’uomo attento e squisito che era, non mancò di inviargli una lettera: «Ho da fare un rimprovero», gli scrive, «all’animo, a me carissimo, dell’illustrissimo figlio signor mio Teodoro, perché si lascia senza sosta avvincere dalle brighe secolari, è occupato in continue uscite e trascura ogni giorno di leggere le parole del suo Redentore. Che cosa è la Sacra Scrittura, se non una lettera di Dio onnipotente alla sua creatura? Certamente se Vostra Eccellenza si trovasse fuori sede e ricevesse uno scritto dal suo imperatore terreno, non starebbe tranquillo, non andrebbe a riposare, non piglierebbe sonno, prima di aver conosciuto ciò che l’imperatore terreno gli manda a dire. L’imperatore del cielo, il Signore degli uomini e degli angeli ti ha mandato le sue lettere che riguardano la tua vita, e tu non mostri alcuna impazienza di leggere queste lettere».9 La grande consegna biblica è: «Ascolta, Israele!» (Deuteronomio 6,4). E la Regula di Benedetto inizia così: «Obsculta, o fili...».10 Così anche la lectio, fondata sulla Bibbia e sui Padri, pone al suo primo gradino questo medesimo atteggiamento di ascolto. Non a caso la Costituzione dogmatica Dei Verbum (n. 25) richiama, citando il vescovo Ambrogio, un autentico leit-motiv della tradizione patristica: «Quando preghi, sei tu che parli con Dio; quando leggi, è Dio che ti parla...».11

- Meditatio
Lo stesso Guigo, priore della Grande Certosa, descrive così il secondo gradino della lectio: «La diligente meditatio non si ferma alla superficie». Occorre andare ancora «più in là: occorre penetrare il testo, interrogarlo analiticamente, considerarlo con attenzione».12 Stando alla tradizione dei Padri, raccolta da Guigo, la meditazione deve far scendere fino al cuore la Parola che è stata ascoltata. L’occhio, l’udito e la mente rappresentano solo tappe di passaggio della lectio: la destinazione vera è il cuore. Per la Bibbia e per i Padri il cuore è l’intimità dell’uomo. È là dove egli tiene in mano il suo destino, dove si giocano le grandi decisioni, dove in qualche modo sono chiamate a raccolta tutte le sue facoltà. Vale soprattutto per la meditatio delle Scritture l’antico adagio: Cor ad cor loquitur. Già Gregorio Magno, nella citata epistola all’amico Teodoro, medico dell’imperatore, raccomandava: «Impara a conoscere il cuore di Dio nelle parole di Dio».13 Ma perché questo avvenga, occorre che la Parola sia «digerita». Forse questa non è un’immagine molto attraente (Bernardo esortava addirittura i suoi monaci ad essere animalia munda et ruminantia),14 ma essa ha il pregio di ricordare in modo icastico che la Parola di Dio è vero cibo dello spirito. A questo riguardo la tradizione dei Padri è ricchissima. Mi limito a due soli esempi. Nella Vita Antonii di sant’Atanasio si legge che Antonio nel deserto era così attento alla lettura e alla meditazione, che nulla andava perduto di ciò che era scritto. «Tutto ricordava, al punto che la memoria sostituiva il libro».15 Del beato Aelredo di Rielvaux, discepolo e biografo di san Bernardo, si legge che parlava ex bibliotheca cordis sui.16 Il cuore di Aelredo (e a maggior ragione quello di Bernardo, suo maestro) era divenuto come una teca, o come un prezioso scaffale, in cui si allineavano ordinati tà biblía, cioè la Sacra Scrittura, «i libri» per eccellenza. Una simile meditazione plasma il cuore. E dal cuore parte l’altro grande movimento della lectio divina, che comprende l’oratio e la contemplatio.

- Oratio
La Parola, accolta e meditata, diventa il veicolo della preghiera. «La lectio viene prima a mo’ di fondamento», scrive infatti Guigo nella sua Lettera; «la meditatio indaga più a fondo che cosa si debba perseguire, e scavando trova il tesoro e lo mostra; ma poiché da se stessa non è capace di conservarlo ci conduce all’oratio».17 Nella meditatio l’anima vede che non può giungere con le sue forze alla dolcezza della conoscenza e dell’esperienza: vede anzi che quanto più nel suo cuore s’innalza, tanto più Dio si fa distante. Allora si umilia e si rifugia nell’oratio.18 Ma non è facile descrivere compiutamente questo terzo gradino della lectio divina: è un momento ineffabile, perché riguarda più da vicino il mistero di Dio e il mistero dell’uomo. Così i nostri Padri molte volte si limitano ad alludervi, invitando il credente a fare sua un’esperienza di per sé inenarrabile. Da parte sua, Gregorio Magno insegna come l’oratio sgorga spontanea dall’incontro del cuore dell’uomo con il cuore di Dio, attraverso le parole stesse di Dio.19 In tal modo, come per la meditatio, siamo ricondotti al «cuore», il quale, secondo la genuina tradizione teologico-spirituale, è l’intimo dell’uomo, il luogo dove abita Dio. In esso si compie quell’incontro nel quale Dio parla all’uomo e l’uomo ascolta Dio; l’uomo parla a Dio e Dio ascolta l’uomo: il tutto attraverso l’unica Parola divina. In questo senso Smaragdo, abate di San Michele alla Mosa nei primi anni del IX secolo, attesta che la preghiera «è opera del cuore, non delle labbra, perché Dio guarda non alle parole, ma al cuore dell’orante».20

- Contemplatio
Infine, Guigo descrive la contemplatio come ciò che ricompensa tutta la fatica dei primi tre gradini, inebriando l’anima assetata con una rugiada di dolcezza celeste.21 In realtà questa contemplatio, ancor più dell’oratio, è anch’essa ineffabile. Solo approssimativamente può essere descritta, mentre rimane un’esperienza squisitamente personale. In ogni caso, le testimonianze dei Padri non cessano di metterla in rapporto con la conversione della vita (operatio).22 Possiamo dire così che la vera contemplazione è il confronto vitale con Dio Amore, un confronto che deve giungere a trasformare in amore tutta la vita del credente. È su questo realismo operativo che va misurato il celebre aforisma attribuito a san Nilo: «Con la mia vita io interpreto le Scritture»,23 nel senso che la vita orientata alla conversione consente di accostare più in profondità la Parola di Dio. E la lectio ricomincia, in modo sempre più ricco ed efficace. Così, riecheggiando san Gregorio Magno, Smaragdo annota che «la Scrittura, in qualche modo, cresce con chi la legge, perché i principianti imparano a conoscerla e gli esperti la trovano sempre nuova»:24 allo stesso modo i nostri Padri riconoscono che la lectio divina cresce con chi la pratica, e soprattutto con chi la mette in pratica.

3. CONCLUSIONE

Maria, «icona ineguagliabilmente significante» della lectio divina, così come la intendevano i nostri Padri».  

Se, come a me pare, è proprio questo ciò che i nostri Padri intendevano per lectio divina, si deve vedere nell’esperienza spirituale di Maria – così come è descritta dai due verbi impiegati da Luca nel Vangelo dell’infanzia, «custodire con diligente cura» e «confrontare» – l’«icona» della lectio divina. Maria di Nazaret, infatti, non solo «custodiva» la Parola di Dio (ecco la lectio e la meditatio), ma anche la «confrontava» nel suo cuore (ed ecco l’oratio e l’impegno di conversione della vita, cioè l’autentica contemplatio). Voglio sottolineare in modo speciale quest’ultima tappa della lectio divina, tanto decisiva presso i nostri Padri – perché era per loro il punto d’arrivo, lo scopo ultimo dell’intero esercizio – quanto fraintesa da noi oggi. Molte volte, infatti, quelli che oggi praticano la lectio divina coltivano le loro competenze in ambito biblico, e assai di meno (o niente affatto) in ambito patristico. Viceversa – come abbiamo visto – è proprio quest’ultimo il luogo proprio in cui si è sviluppata la lectio divina. Ebbene, stando ai nostri Padri, la contemplatio non è per nulla «la testa che se ne va tra le nuvole», o che perde il suo contatto con la realtà. Al contrario, la contemplatio rimane profondamente radicata nella vita, che proprio dall’esercizio della lectio deve uscire trasformata, convertita. Conviene ricordare, a questo proposito, un passo famoso della prima Enciclica di Benedetto XVI, là dove – alludendo chiaramente al pio esercizio della lectio divina – il Papa afferma: «Nel confronto “faccia a faccia” con quel Dio che è Amore, il monaco avverte l’esigenza impellente di trasformare in servizio del prossimo, oltre che di Dio, tutta la propria vita».25  «Mirabile profondità della Parola di Dio!», esclamava ancora Gregorio Magno all’inizio di una sua celebre Omelia su Ezechiele; e spiegava, più avanti: «L’impulso dello Spirito spinge l’animo alla carità».26 Proprio di questo itinerario di lectio divina, che giunge a trasformare in carità tutta la vita dell’orante, Maria di Nazaret rimane «l’icona ineguagliabilmente significante nei tempi degli inizi cristiani, e ancora e di nuovo oggi».27

NOTE
1 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica «Redemptoris Mater» 5.
2 M. MASINI, La lectio divina. Teologia, spiritualità, metodo (= Parola di Dio, 15), Cinisello Balsamo 22002, p. 91.
3 Su tutto questo paragrafo, vedi più ampiamente E. DAL COVOLO, Lampada ai miei passi. Leggere la Parola come i nostri Padri (= Collana Meditare), Leumann (TO) 2007, pp. 5-18.
4 Già H. CROUZEL, La patrologia e il rinnovamento degli studi patristici, in Bilancio della teologia del XX secolo, 3, Roma 1972, p. 544, faceva notare come non si possano separare dai Padri gli Scrittori ecclesiastici dell’età patristica che, per ragioni diverse, non ottennero il formale riconoscimento della Chiesa: è precisamente questo - fra altri - il caso di Origene, che qui maggiormente interessa.
5 Cfr. G. ZEVINI, La lectio divina nella comunità cristiana. Spiritualità - Metodo - Prassi (= Interpretare la Bibbia oggi, 1.2), Brescia 22001, pp. 120-121.
6 L’espressione compare, probabilmente per la prima volta nel linguaggio cristiano, in ORIGENE, Lettera a Gregorio 4, ed. H. CROUZEL, SC 148, Paris 1969, pp. 192-193. Cfr. M. MASINI, La lectio divina. Teologia..., pp. 13-15. Dello stesso autore, vedi anche la voce Lectio divina, in M. SODI - A.M. TRIACCA (curr.), Dizionario di omiletica, Leumann (Torino) - Gorle (Bergamo) 22002, pp. 757-761 (con bibliografia essenziale). A differenza di quanto Masini sembra credere, è tutt’altro che certa l’identificazione del destinatario di questa lettera di Origene con l’autore del Ringraziamento: cfr. M. RIZZI, Gregorio il Taumaturgo (?). Encomio di Origene (= Letture cristiane del primo millennio, 33), Milano-Torino 2002.
7 GUIGO II, Lettera sulla vita contemplativa (La scala dei monaci) 2, edd. E. COLLEDGE - J. WALSH, SC 163, Paris 1970, pp. 82-84.
8 Ibidem 13, edd. E. COLLEDGE - J. WALSH, SC 163, p. 110.
9 GREGORIO MAGNO, Epistola 5,46, edd. D. NORDBERG - V. RECCHIA, Opere di Gregorio Magno 5/2, Roma 1996, pp. 226-228.
10 Il codice O (Oxford, intorno al 710 d.C.), il più antico testimone completo della Regula, riporta la variante ausculta: ma la tradizione manoscritta è pressoché concorde con obsculta, che sembra rafforzare l’invito all’ascolto interiore. Cfr. BENEDETTO, Regula, Prol.1, edd. A. DE VOGUÉ - J. NEUFVILLE, SC 181, Paris 1972, p. 412.
11 «Cur non Christum revisas, Christum adloquaris, Christum audias? Illum adloquimur, cum oramus, illum audimus cum divina legimus oracula»: AMBROGIO, I doveri 1,20,88, ed. G. BANTERLE, SAEMO 13, Milano-Roma 1977, p. 76. Nel bel mezzo di una lunga tradizione, la massima si ritrova anche in Isidoro di Siviglia, al termine ormai dell’età patristica stricto sensu: «Cum oramus, cum Deo ipsi loquimur; cum vero legimus, Deus nobiscum loquitur» (Sentenze 3,8,2, PL 83, col. 679).
12 GUIGO II, Lettera... 5, edd. E. COLLEDGE - J. WALSH, SC 163, p. 88.
13 «Disce cor Dei in verbis Dei»: vedi sopra, nota 9.
14 BERNARDO, In festo omnium sanctorum 5, PL 183, col. 455. Sembra che il primo ad usare il termine ruminatio alludendo alla meditazione delle Scritture sia stato Cesario di Arles: vedi M. MASINI, La lectio divina..., p. 421, nota 39.
5 «Sic attendebat lectioni, ut nihil de his quae scripta sunt caderet..., ita ut de cetero memoriam pro codicibus habebat»: ATANASIO, Vita di Antonio 3,7, ed. G.J.M. Bartelink, Fondazione Lorenzo Valla 1974, p. 12.
16 Citato da M. MAGRASSI, Pregare la Bibbia, in G. ZEVINI (cur.), Incontro con la Bibbia. Leggere - pregare - annunciare (= Biblioteca di Scienze Religiose, 23), Roma 1978, pp. 127-128 e nota 10.
17 GUIGO II, Lettera... 12, edd. E. COLLEDGE - J. WALSH, SC 163, p. 106.
18 Ibidem 6, edd. E. COLLEDGE - J. WALSH, SC 163, p. 94.
19 Vedi sopra, nota 9.
20 SMARAGDO, Il diadema dei monaci 1, PL 102, col. 594.
21 GUIGO II, Lettera... 12, edd. E. COLLEDGE - J. WALSH, SC 163, p. 108.
22 Cfr. M. MASINI, La lectio divina. Teologia..., pp. 462-463.
23 Citato da L. BAROFFIO, Lectio divina e vita religiosa (= Vita consacrata, 6), Torino-Leumann 1981, p. 37 e nota 78.
24 SMARAGDO, Il diadema dei monaci 3, PL 102, col. 598.
25 BENEDETTO XVI, Lettera enciclica «Deus caritas est» 40.
26 GREGORIO MAGNO, Omelia su Ezechiele 1,5,2, ed. V. RECCHIA, Opere di Gregorio Magno 3/1, Roma 1992, p. 168.
27 M. MASINI, La lectio divina. Teologia..., p. 104.

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