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  Maria di Nazaret, vergine, madre e sposa 
Chiesa Meditazione di Bruno Forte per il Clero di Chieti dell'11 maggio 2010

Chi è Maria di Nazaret, anzitutto nel suo profilo di donna, di credente nel Dio d’Israele e di madre e testimone del Messia, Gesù? Che cosa dicono ai discepoli di Lui la vita e la fede di Lei? In particolare, come Maria ha vissuto le sue relazioni umane, a cominciare da quelle nella famiglia di Nazaret, e come il suo esempio può aiutarci a vivere le nostre? Proverò a rispondere a queste domande in maniera narrativa, seguendo i passi della Madre del Signore così come la discrezione dei Vangeli ci consente di accompagnarli, schiudendo allo sguardo della fede gli abissi del mistero.

1. Una donna ebrea dalla fede profonda
.

Il nome Maria viene dall’ebraico “Myriam” o “maryam”. Fra le possibili etimologie c’è “mara”, “signora”, o “miram”, dalla radice “rym”, attestata in testi ugaritici col significato di “alta, eccelsa, desiderata”. Già nel nome della giovane madre di Gesù si riconosce come ella sia stata l’oggetto del desiderio dei suoi genitori, la creatura rispettata dall’ambiente circostante, la donna venerata e amata. Quando concepisce il Figlio, Maria è una almah, termine usato da Isaia 7,14 (“la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele”), la cui traduzione corretta è “giovane donna”, una donna cioè di poco più di 14 anni. Poiché la nascita di Gesù va fissata intorno al 6 a.C. - almeno due anni prima della morte di Erode, che aveva ordinato la strage dei bambini di meno di due anni - la nascita di Maria può essere collocata fra il 22 e il 20 a.C. Al tempo degli eventi pasquali del Figlio Myriam aveva dunque fra i cinquanta e i cinquantacinque anni. La versione greca della Bibbia, detta dei Settanta e considerata ispirata dall’ebraismo della diaspora, tradusse l’ebraico almah con la parola greca parthénos, cioè “vergine”, aprendo così le porte alla lettura del testo come profezia della nascita verginale di Gesù (cf. Mt 1,23). Dal punto di vista dell’identità spirituale Maria si presenta come una giovane ebrea credente, familiare al linguaggio delle Scritture, come dimostra il fatto che nel racconto dell’annunciazione i riferimenti a Is 7,14 in Lc 1,31, o a Sof 3,14-17 e Zc 9,9 in Lc 1,28 (“chàire, esulta, piena di grazia…”), le risultano immediatamente comprensibili. È una credente che osserva scrupolosamente la Torah: si pensi a come rispetta le leggi della purità rituale, al punto da partorire in una stalla, in modo da non contaminare la locanda e precluderla così agli ospiti per tutto il tempo della purificazione: “Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio”, dove l’ultima frase andrebbe meglio tradotta “perché il loro posto non era nella locanda” (Lc 2,7). Si pensi anche all’osservanza della purificazione rituale al Tempio dopo il parto: “Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore - come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore - e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore” (Lc 2,22-24). La spiritualità di Myriam è quella dello “Shemà”, cioè dell’ascolto umile, obbediente e perseverante del Dio unico, perché parli quando e come vorrà alla sua serva e compia in Lei le sue opere stupende e imprevedibili: in questo Maria si colloca al vertice della spiritualità biblica dell’attesa, del desiderio e dell’accoglienza della Parola divina. Lo mostra la scena dell’adorazione dei pastori, dove Maria è la protagonista (si avverte nel racconto il richiamo del modello della gebirah, la regina madre), una protagonista silenziosa e raccolta: ella, “da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). L’espressione richiama un atteggiamento caro alla tradizione ebraica: il ricordare associando fra loro gli eventi, in cui si manifestano i misteriosi disegni dell’Altissimo (cf. Dt 4,9-10. 23. 32). In ciò consiste propriamente lo studio della Torah e il participio greco “symballousa” ben richiama questo atteggiamento meditativo, fatto di analisi, confronto, progressività, intelligenza, giudizio, decisione. Si tratta di un’attitudine costante in Maria (cf. 2,51), che ricorda, collega, vive in profondità la sua corrispondenza all’opera divina, e si lascia condurre dall’Altissimo, con totale consapevolezza e responsabilità. Maria è la donna meditativa e riflessiva, che si abbandona all’Eterno con serietà pensosa. È questo peraltro il modello di femminilità nella tradizione ebraica: la donna sa tenersi in prossimità dell’invisibile Voce. “Se il rinnovamento (hithadshut) ha un posto centrale nel pensiero ebraico è perché, dicono i saggi, esso fa segno all’uomo o alla donna di tenersi in prossimità della Voce invisibile, annidata nel più segreto di ogni creatura. Voce di cui la creatura conserva la vita, ma alla quale essa domanda anche, sulla traccia di Abramo e di Sara, di levarsi, di partire e di andare verso se stessa, in una partenza senza ritorno e, quindi, senza nostalgia. Il segno per eccellenza di questa prossimità in sé della Voce… si dà nella gioia” (Catherine Chalier, Le Matriarche. Sara, Rebecca, Rachele e Lea, La Giuntina, Firenze 2002, 9s). E Maria è la donna della gioia, che esulta in Dio cantando il Magnificat: “Allora Maria disse: L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva”(lc 2,46-48). Il suo atteggiamento interiore è ben espresso da questo canto, che è sì una silloge di testi dei Salmi degli “anawim”, i poveri che confidano solamente in Dio, e richiama il cantico di Anna (1 Sam 2,1-10), la donna che si apre con docile ascolto all’impossibile possibilità di Dio, ma non di meno rivela la profonda fede di questa donna ebrea, capace di consegnarsi con affidamento totale all’Eterno. All’inizio di tutte le vie di Dio e della corrispondenza della nostra vita alla Sua azione c’è l’ascolto docile, la costante vicinanza all’invisibile Voce: alla scuola di Maria di Nazaret impariamo il primato della dimensione contemplativa della vita, del continuo accogliere l’iniziativa del Signore, del lasciarci amare e condurre da Lui, nello sforzo di usare intelligenza e cuore per rispondere all’amore con l’amore e avanzare fedelmente nella notte della fede, rischiarando il cammino col ricordo dei “mirabilia Dei” per noi e il suo popolo. Ci chiediamo: è Dio il vero protagonista e signore della mia vita, come lo fu per Maria? Sono docile alla Sua azione, alla Sua Parola, al Suo silenzio? Mi lascio guidare da Lui, meditando quanto mi dà di vivere alla luce delle Scritture, per discernere la Sua volontà e realizzare con Lui il Suo disegno d’amore per me e per quanti mi affida?

2. Lo stile di vita di Maria.

La scena della visitazione mostra quali siano le caratteristiche dello stile di vita della giovane Myriam: ella è capace di un amore attento, concreto, gioioso e tenero. La prima caratteristica dell’agire di Maria è l’attenzione: la Madre del Messia ha capito il bisogno della cugina Elisabetta, divenuta gravida in età avanzata, e le corre in aiuto. Maria non ha aspettato richieste di soccorso, non ha avuto bisogno di parole: il suo sguardo, nutrito d’amore, ha capito il da farsi al di là dei segni, oltre ogni comunicazione verbale. “Ubi amor, ibi oculus”: dove c’è l’amore, lì l’occhio vede ciò che nessuno sguardo privo d’amore saprebbe vedere. È attento chi non si ferma alla misura del dovuto o dello scontato, chi non si soddisfa delle sole buone maniere: l’attenzione vive di un movimento sorgivo del cuore, di cui può essere veramente artefice solo lo Spirito Santo, inviato ad effondere in noi l’amore del Padre (cf. Rm 5,5). All’attenzione si unisce in Maria la concretezza: ella non indulge a sogni di bene, ma obbedisce all’urgenza che il suo intelletto d’amore le ha fatto conoscere e agisce di conseguenza senza alibi o fughe. L’espressione “in fretta” (v. 39) dice tutta la sollecitudine e la premura con cui Maria concretizza la decisione del cuore di andare in aiuto alla Madre di Giovanni. Commenta Sant’Ambrogio: “Nescit tarda molimina Spiritus Sancti gratia” - “La grazia dello Spirito non tollera indugi” (Expositio in Evangelium secundum Lucam, 2,19).! L’agire di Maria, poi, è pervaso di gioia: ella non vive i suoi atti come il compimento di un dovere o in ottemperanza ad un obbligo impostole dalle circostanze. In lei tutto è gratuità, bene diffusivo di sé, generosità vissuta senza calcolo o forzature. Gioia è sentirsi amati così profondamente da avvertire l’incontenibile bisogno di amare, per corrispondere all’amore ricevuto al di là di ogni misura con l’amore donato senza riserve e senza condizioni. Proprio così tutto in Maria si mostra nel segno della tenerezza, propria dell’amore che non crea distanze, che avvicina, anzi, i lontani, facendoli sentire accolti e li riempie dello stupore e della bellezza di scoprirsi oggetto immeritevole di gratuità, di puro dono. “A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo” (vv. 43s). La tenerezza è dare con gioia suscitando gioia nell’amato, è contagiare libertà e pace: chi non ama con tenerezza, crea dipendenze o mantiene distanze in cui è impossibile far sprigionare la gioia. In tutto questo modo di agire Maria è profondamente femminile: ma i tratti fondamentali della sua carità sono un modello per tutti, specialmente nei rapporti familiari e nelle relazioni del discepolo di Gesù. Caritas discreta, concreta, humilis et laetificans! Qual è il mio stile di vita? Sono come Maria attento agli altri, all’altro, ai bisogni espressi o inespressi di chi mi sta davanti, di chi Dio mi chiama ad amare e servire? So essere concreto nel mio modo di amare e di servire, suscitando gioia, agendo con la tenerezza che coniuga il rispetto e l’attenzione all’amore che rende liberi e suscita la vera pace del cuore?

3. Il rapporto col Figlio.

Come nella vita di ogni ebreo, così nella vita di Gesù, “ebreo per sempre” (Segretariato per l’unione dei cristiani, Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, Ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica. Sussidi per una corretta presentazione dell’ebraismo, 24.6.1985), Maria, la madre, ha avuto un ruolo decisivo. Per l’ebraismo è la donna che trasmette l’ebraicità (è ebreo chi nasce da madre ebrea), generando il proprio figlio alla fede dei Padri e alla coscienza dell’alleanza con Dio anzitutto attraverso la vita familiare. Il contesto domestico viene perciò considerato una sorta di “piccolo tempio” nel quale la tavola costituisce “l’altare”: e la donna è la responsabile della liturgia domestica e dell’applicazione delle norme di purità che regolano la vita quotidiana dell’ebreo osservante. La tradizione ebraica sottolinea che la Torah rivelata al Sinai fu data prima alle donne, poiché senza di esse la vita ebraica non sarebbe possibile, ed invita perciò i mariti ad “ascoltare” le proprie mogli, poiché è per loro merito che le benedizioni raggiungono la famiglia. La famiglia diventa così il nucleo più importante dell’ebraismo, al cui interno decisivo è il ruolo della donna. Secondo i maestri ebrei è compito degli uomini insegnare il contenuto della rivelazione, la Torà e il Talmud, mentre quello della donna è di trasmettere l’esperienza della rivelazione, il senso del mistero, senza il quale i contenuti non avrebbero valore e il loro studio diverrebbe puro esercizio intellettuale. Perciò è sempre la donna ad accendere e benedire le candele del sabato, simbolo del dono della vita e della luce che illumina i cuori. Maria ha assolto pienamente questo ruolo, come mostrano le due visite al tempio della famiglia di Nazaret, riportateci dai Vangeli, quella per la circoncisione di Gesù e quella per il suo “bar mitzvah”, la festa dei dodici anni ovvero della maggiore età per un bambino ebreo maschio. In esse Maria mostra tutto il suo rispetto per la tradizione dei Padri: è la madre ebrea che educa il figlio, che le è sottomesso (cf. 2,51), secondo la Legge del Signore. Madre attenta e tenera, ella vive tutte le attese, i silenzi, le gioie e le prove che ogni mamma che accompagna un figlio nella vita è chiamata ad attraversare: è significativo che non sempre comprenda tutto di lui (così in Lc 2,50, dopo il ritrovamento di Gesù e la sua risposta). Avanza nella notte, fidandosi di Dio, amando e proteggendo a modo suo quel Figlio così piccolo e così grande, con una mescolanza di prossimità e di dolorosi distacchi, che la rendono veramente modello di maternità: i figli vengono generati nel dolore e nell’amore per tutta la vita. Così Maria si offre come un modello significativo di Madre, capace di un’azione educativa fatta di totale coinvolgimento, di condivisione del tesoro del cuore, di umile pazienza e di fermezza d’amore, di progressività e di fiducia nell’Altissimo. Ci chiediamo se e come nella nostra responsabilità di testimoni e generatori della vita che viene dall’alto ci sforziamo di essere come Maria nel suo rapporto con Gesù: vicini con tenerezza a chi ci è affidato e rispettosi della libertà e del mistero di ciascuno; tutto affidando a Dio ed insieme senza sottrarci ad alcuna delle nostre responsabilità; capaci di ascolto verso tutti, senza mai venir meno al dovere di testimoniare la verità che solo libera e salva, e che è Gesù in persona. Come Maria davanti al piccolo Gesù, dovremmo sempre stare davanti a chi ci è affidato a piedi scalzi, perché è terra santa quella su cui si sta quando si vive il rapporto educativo e il ministero della riconciliazione.

4. Il servizio di Maria.

Maria accompagna Gesù nella vita pubblica, a partire dall’episodio che si colloca al settimo giorno della settimana inaugurale del Quarto Vangelo, e che proprio così può considerarsi il compendio di tutto ciò che verrà: il segno di Cana. In esso Gesù si manifesta come lo Sposo divino del nuovo popolo di Dio, con il quale conclude l’alleanza nuova e definitiva nel suo mistero pasquale. Si è alla svolta decisiva della storia della salvezza e la Madre ha in essa un ruolo, che non a caso l’Evangelista ha voluto evidenziare. È lei a notare il bisogno che si è venuto a determinare: “Non hanno più vino” (v. 3). Si manifesta ancora una volta l’attenzione tenera e concreta di Maria, che presenta al Figlio la necessità degli amici. Nel vino, poi, nominato cinque volte nel racconto (vv. 3.9.10), è possibile riconoscere un segno dei tempi messianici (cf. ad esempio Am 9,13: “dai monti stillerà il vino nuovo e colerà giù per le colline”), che caratterizzerà il banchetto escatologico (cf. Is 25,6) e sarà offerto con gratuità (cf. Is 55,1). Il vino nuovo allieterà il giorno delle nozze eterne fra il Signore e il suo popolo (cf. Os 2,21-24). In questa luce, il banchetto nuziale di Cana appare come il segno dell’avvento del tempo promesso, l’ora dell’intervento escatologico di Dio, che viene a colmare in maniera sovrabbondante l’attesa e trasforma l’acqua della purificazione dei Giudei (acqua della preparazione, del desiderio e dell’invocazione: cf. v. 6) nel vino nuovo del Regno. La lettera della Legge è trasformata nel vino dello Spirito! La risposta apparentemente tagliente di Gesù: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora” (v. 4) indica la novità sorprendente di questo passaggio che si compirà a pieno nella Pasqua. Le parole che la Madre rivolge ai servi sono di grande importanza: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (v. 5). Esse evocano il contesto dell’alleanza del Sinai: come il popolo dell’antico patto risponde alla rivelazione divina assentendo nella fede - “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo” (Es 19,8; 24,3.7) -, così Maria manifesta la sua fiducia incondizionata nel Figlio, che ha appena evocato il mistero della sua “ora”. Ne risulta evidenziata anzitutto la fede della Madre, che si mostra aperta all’impossibile possibilità del segno che il Figlio vorrà compiere. L’invito, poi, che ella rivolge ai “servi” (indicati qui col termine “diakónoi”, con cui in 12,26 Giovanni designa i veri discepoli di Gesù) mostra il ruolo di modello e madre nella fede che ella avrà nella comunità dell’alleanza: in Maria l’antico patto passa nel nuovo, Israele nella Chiesa, la Legge nel Vangelo, per via della sua fede totale e incondizionata nel Figlio, al quale orienta se stessa e gli altri. Nella Chiesa nata dalla Pasqua di Gesù, la Vergine Madre è colei che presenta al Figlio i bisogni dell’attesa e conduce alla fede in Lui, condizione necessaria perché il vino nuovo riempia le giare dell’antica purificazione. Il servizio di Maria è di orientarci a Gesù e di portarci a compiere la Sua volontà. Siamo pronti a rispondere all’invito della donna Maria, per metterci a nostra volta al servizio degli altri nella maniera più vera e feconda, che è quella di introdurli alla fede con la fede vissuta e testimoniata? Sappiamo dire con le labbra e con la vita le parole che indicano a ciascuno la strada della libertà e della realizzazione più piena, “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”?

5. Maria sotto la Croce.

Quanto a Cana è prefigurato e annunciato, viene a compiersi in pienezza nella scena della Madre ai piedi della Croce e nelle parole rivolte da Gesù morente a lei e al discepolo che egli ama (Gv 19,25-27): la madre viene chiamata da Gesù con l’appellativo “donna” (v. 26), che rimanda a Gerusalemme e al popolo eletto. “Donna, ecco tuo figlio!”. Maria rappresenta al tempo stesso il popolo eletto della prima alleanza e il popolo radunato dal sacrificio pasquale del Cristo. Accanto alla madre c’è il discepolo amato (cf. v. 26), simbolo di ogni altro discepolo, nel quale, a motivo della fede, si realizza la parola di Giovanni 14,21: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”. A partire dall’“ora” della croce (cf. v. 27) il discepolo accoglie la madre “fra quanto gli è proprio” (“eis tà ídia”: v. 27): non si tratta soltanto dell’accoglienza “in casa sua”. L’espressione va riferita al mondo vitale, all’ambiente esistenziale (così, ad esempio, in 1,11, detto di Israele in riferimento al Verbo, o in 10,4, detto dei discepoli in riferimento a Gesù): essa sta a dire che la Madre entra nel più profondo della vita del discepolo, ne fa ormai parte inseparabilmente, come bene e valore irrinunciabile. Il rapporto che il Crocifisso stabilisce fra la madre e il discepolo appare allora intensissimo: in quanto la “donna” è figura dell’antico Israele e il discepolo della Chiesa credente, il messaggio è che l’antico Israele entra a far parte in modo vitale del nuovo. La Chiesa riconosce in Israele l’antica madre che porta al centro del suo cuore. In quanto la “donna” rappresenta il popolo dell’era messianica e il discepolo è il tipo di ogni singolo credente, la loro reciproca appartenenza sta a dire la reciproca appartenenza fra la Chiesa - madre e i figli della Chiesa: al discepolo la Chiesa sta a cuore come madre amata, bene prezioso affidatogli dal Redentore crocifisso. Infine, in quanto la madre è la singola donna concreta, la madre di Gesù, il testo sembra evidenziare un rapporto privilegiato fra lei ed ogni singolo credente, oltre che fra lei e l’intera famiglia del Signore: Maria fa parte della Chiesa e della vita di fede del discepolo come bene prezioso, valore vitale; ma insieme in lei la Chiesa e i singoli credenti potranno riconoscere la madre, a loro affidata ed a cui sono affidati. In questa luce, Giovanni 19,25-27 si rivela testimonianza matura del significato che la Chiesa dei martiri e dei pellegrini attribuisce alla Madre del Signore per la sua vita presente e la sua speranza futura, specialmente nello stare sotto la Croce del Messia, lasciandosi sempre di nuovo generare dal “sangue” e dall’“acqua” scaturiti dal costato del Crocifisso. Mi relaziono così a Maria? Riconosco in Lei la Madre cui Gesù mi ha affidato e che mi aiuta a riconoscere Lui nei fratelli e gli altri come fratelli in Lui? Lascio che l’amore a Maria nutra in me l’amore alla Chiesa?

6. Perseverante nella notte della fede.

All’ora terribile della morte del Figlio abbandonato sulla Croce, segue un tempo oscuro, il sabato santo della prostrazione e dell’attesa, in cui la tradizione cristiana ha sempre riconosciuto un ruolo unico di Maria, la Vergine Madre di Gesù, come attesta il titolo di “Sancta Maria in Sabbato”. Mentre il Figlio giace morto nel sepolcro, la Madre custodisce in silenzio la fede, abbandonata nelle mani del Dio fedele, che compie le Sue promesse. È perciò antico uso liturgico della Chiesa latina consacrare il sabato alla Vergine, quale memoria di quel “grande sabato”, nel quale in Lei si raccolse tutta la fede della Chiesa e dell’umanità, nell’attesa trepida della Risurrezione di Cristo. Il sabato santo di Maria parla in modo eloquente a noi, pellegrini nel grande sabato del tempo, che sfocerà nella domenica senza tramonto quando Dio sarà tutto in tutti e il mondo intero sarà la patria di Dio. Nel tempo del silenzio di Dio, nello stupore dolente davanti al Dio crocifisso e abbandonato, viene allora da chiederci sull’esempio e con l’intercessione di Maria: credo veramente in Dio? Mi pongo in ascolto docile e perseverante del Suo progetto d’amore su di me? vivo la gioia del sapermi amato con Cristo e in Lui dal Padre, anche nel tempo della prova e del silenzio di Dio? irradio questa gioia? cerco di piacere sempre e solo a Dio nella silenziosa eloquenza dei gesti, senza inseguire l’immagine o crearmi maschere di difesa o di evasione? Possa la Vergine Madre aiutarci a rispondere con verità a questi interrogativi ed a vivere, come lei lo ha vissuto, il primato dell’amore e della fede come caratteristica del discepolo del Figlio suo, il Signore nostro Gesù, nel lungo sabato del tempo, di cui il sabato santo è figura e profezia, finché venga a compiersi la grande domenica senza tramonto, nella quale Maria è già entrata, anticipando il destino di quanti avranno creduto, amato e sperato.

7. Aperti con Maria alle sorprese del Signore.

Chiudo questa meditazione con una preghiera a Maria, perché ottenga a noi pellegrini nella notte del tempo l’apertura alle sorprese di Dio e al loro compimento nella gioia dell’eternità, dove Lei ci ha preceduto, assunta in cielo nella totalità del suo essere:
Prega per noi, Maria,
Regina della notte del tempo e della storia,
in cui l’Eterno compì fra noi
le meraviglie della nostra salvezza!
In Te, Vergine accogliente,
rifulse l’Amore umile
che aveva reso possibile
il primo mattino degli esseri.
In Te, Vergine dell’ascolto,
la fede di Abramo
toccò il vertice puro
fra quanti credettero
nell’impossibile possibilità di Dio.
Per il Tuo sì ospitale
la promessa divina si realizzò in Gesù,
l’atteso delle genti:
la notte del Tuo grembo verginale
fece spazio alla Luce della vita.
La notte del Tuo amore materno
accompagnò i Suoi passi
fino all’estremo abbandono.
La notte della Tua fede umile
condivise l’ora delle tenebre,
quando la spada ti trapassò l’anima
come i chiodi il corpo del Tuo Figlio.
Il Tuo cuore trafitto
custodì nella fede
l’attesa innamorata dell’aurora.
E fu Pasqua nella storia del mondo:
resurrezione della carne amata dell’Amato,
gioia e vita rinnovata nel cuore di Te, Madre,
e dei Tuoi figli, resi tali nel Figlio.
Tu sei la Madre dell’amore abbandonato,
Tu la Sposa dell’amore vittorioso.
Tu, la Regina della notte del Messia!
In Te, al compimento di quella notte,
si offrì la luce dell’aurora:
Tu primizia degli amati
nel cuore dell’Amato,
con Lui nascosta in Dio
nella Tua carne di donna,
meraviglioso pegno dell’umanità nuova,
riconciliata per sempre nell’amore.
Prega per noi, Maria,
Vergine e Madre delle nostre notti,
Sposa e Regina dell’ottavo giorno
che in Te risplende e che con Te ci attende.
Amen. Alleluia

 

Inserito Venerdi 1 Aprile 2011, alle ore 17:38:24 da latheotokos
 
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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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