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  Iconografia mariana e ricerca artistica 
Arte

di Mariano Apa in Aa. Vv., Via pulchritudinis e mariologia, Edizioni AMI, Roma 2003, pp.47-54.



A quarant'anni dal Concilio, vale ricordare come nella Sacrosanctum concilium si riafferma la condizione liturgica dell'identità sacra nell'arte cristiana. In modo specifico, tra i paragrafi 122 e 129, si ricorda:
Fra le più nobili attività dell'ingegno umano sono annoverate, a pieno titolo, le arti liberali, soprattutto l'arte religiosa e il suo vertice, l'arte sacra. [...] La santa madre chiesa ha sempre favorito le arti liberali e ha sempre ricercato il loro nobile servizio, specialmente perché gli oggetti destinati al culto splendessero veramente per dignità, decoro e bellezza, segni e simboli delle realtà soprannaturali: ed ella stessa ha formato degli artisti [...].
Con speciale sollecitudine la chiesa si è preoccupata che la sacra suppellettile servisse con la sua dignità e bellezza al decoro del culto, ammettendo nella materia, nella forma e nell'ornamento quei cambiamenti che il progresso della tecnica ha introdotto nel corso dei secoli
(SC 122).
La chiesa non ha mai considerato come proprio un particolare stile artistico, ma, secondo l'indole e le condizioni dei popoli e le esigenze dei vari riti, ha ammesso le forme artistiche di ogni epoca, creando così, nel corso dei secoli, un tesoro artistico da conservarsi con ogni cura [...]. Anche l'arte contemporanea di tutti i popoli e paesi deve avere nella chiesa libertà di espressione, purché serva con la dovuta riverenza e il dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti. In tal modo essa potrà aggiungere la propria voce al mirabile concento di gloria, che uomini eccelsi innalzarono nei secoli passati alla fede cattolica (SC 123).
La «libertà di espressione» indica la possibilità da parte della chiesa di far propria la ricerca artistica in cui specificatamente l'artista coniuga la tradizione e il magistero con la realtà della propria contemporaneità. Se tradizione e ricerca convergono nella capace intenzionalità, là dove l'ascolto e le attese realizzano la rettitudine dell'immagine, tutte le battaglie culturali per affermare o per negare la realtà della ricerca, sono legittimate dalla realtà culturale entro cui ci si muove. Ovvero, davanti alla verità del magistero è la ricerca artistica che si fa carico della sincerità della ricerca medesima e al magistero spetta la capacità e l'ispirazione del discernimento: si è avuto un papa che ha imposto a Michelangelo di eseguire la decorazione in cappella Sistina, e si è avuto un papa che voleva cancellare la medesima decorazione.
Davanti all'affermazione della secolarizzazione e del nichilismo o del generale eclettismo spiritualistico, come riaffermare la identità forte della cristologia dell'immagine, della valenza liturgica dell'immagine? La sfida della Sacrosanctum concilium è di condurre l'arte a cimentarsi con la radicalità della testimonianza evangelica, là dove proprio la libertà dell'espressione esprime la verità della ricerca coniugando ricerca artistica a vocazione. Se l'arte chiama all'immagine, l'immagine chiama al significato profondo dell'esprimersi e al valore simbolico dell'immagine, se questa immagine non vuole cedersi al decorativismo, alla superficialità della narrazione e del mediocre passivo raccontarsi chiuso in se stesso. Poter ascoltare e decifrare e realizzare i «segni dei tempi» vuoi dire avere le capacità di decifrare e affermare le antropologie della contemporaneità, per rimarcare e affermare la verità della testimonianza.

Esiste una specificità marialogica entro tale contesto, che è contesto di spiritualità e teologia, di liturgia e pastorale, storicamente individuabile tra la metà del secolo XIX e il nostro aggiunto secolo XXI? È realizzabile circoscrivere una specificità marialogica, nel senso di caricare nell'iconografia mariana la sovrabbondanza delle culture e dei nodi culturali della nostra contemporanea antropologia?
Si può affermare che le tipologie iconografiche che riguardano Maria, appartengono similarmente alle altre tipologie - dal Cristo a Dio Padre, dai santi alle parabole evangeliche, ecc. -, ovvero all'immaginario di una teologia artistica che si dispiega per tutta la modernità, a partire dal contesto postridentino e a rimarcarsi dalla crisi postilluminista, fino al crogiuolo delle avanguardie storiche. Ma si può ben affermare come proprio la tipologia mariana venga a proporsi quale eccellente campionatura onde verificare le tematiche di una spiritualità e di una cultura teologica capace - oppure, anche, «incapace» - di affermare nella contemporanea nostra modernità, lo splendore della testimonianza mariana, tra vangelo e apocalisse. Si può affermare come nella filigrana delle problematiche artistiche e liturgico-spirituali sottese alla tipologia dell'iconografia mariana, si percepiscano anche le motivazioni ecclesiali al riguardo della specificità femminile nella traditio cristiana ed ecclesiale. La specificità del ruolo della donna recupera, per esempio, il lascito della concentrazione claustrale oppure il mistico e pastorale mondo delle beghine, fino alla carismatica attenzione per la parrocchia, da parte di Maria Bordoni, ad esempio; altresì la comunità cattolica dibatte e rimarca la differenza, cattolica, da altre posizioni teologiche ed ecclesiali, in cui con l'affermazione del sacerdozio femminile s'istaura il groviglio dei fraintendimenti e la secolarizzazione dei ruoli.

 

F. PODESTI: Proclamazione e Discussione del dogma dell'Immacolata

Con la bolla Ineffabilis Deus, 1'8 dicembre 1854 Pio IX definiva il dogma dell'Immacolata Concezione concludendo un iter teologico-spirituale che partiva da san Giustino e Sant'Ireneo e passava dalla preghiera dantesca:
«Vergine madre,figlia del tuo figlio / umile e alta più che creatura / termine fisso d'eterno consiglio / tu se' colei che l'umana natura / nobilitasti Si, che 'l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura» (Paradiso, XXXIII. 1-6),
per giungere artisticamente alle due summae di iconografia mariana, nei palazzi pontifici e nella basilica lauretana: al palazzo pontificio in Vaticano, la sala adiacente a quelle del Raffaello, in cui Francesco Podesti (1800-1895), confortato dal card. Antonelli, con cui stipulò il contratto (20 gennaio 1857), iniziò a lavorare a partire dal 1858, dopo che aveva realizzato il bozzetto della scena della Proclamazione del Dogma, nel 1856, per concludersi nel 1861, quando alla Proclamazione - in parete maggiore - si affiancò la Discussione sull'Immacolata Concezione - parete ovest - e l'Incoronazione dell'immagine della Vergine - parete est; e nella basilica di Loreto, entro la cui cupola Cesare Maccari (1840-1919) dispiegò la cosmologia mariana, dopo che l'Ottaviani distaccò le pitture lacerate del Pomarancio (1890). Dal 1890 al 1895 Maccari prese a trattare le Litanie lauretane - che erano state ufficializzate dalla chiesa con il decreto Quondam multi di Clemente VIII, il 6 settembre del 1601 - nella calotta della cupola, e il 16 aprile del 1895 tali affreschi vennero inaugurati; dal 1895 al 1908 dispiegò il racconto mariano culminato con il Dogma della Immacolata Concezione, nel tamburo della cupola: il 16 luglio del 1908 fu inaugurata.
Con il Podesti e con il Maccari abbiamo due privilegiate campionature di una poetica artistica, in cui la magniloquenza narrativo-iconografica si esalta nell'identità ecclesiale. I due impegnativi cicli iconografici rispecchiano l'evidenza catechetica sottesa all'invito dogmatico. I luminismi cromatici costruiscono plasticamente le figure dei personaggi evidenziando in scenografiche composizioni i dati narrativi dell'esplicitato discorso in cui coinvolgere, educandolo, lo spettatore. Chi entra nella sala ai palazzi pontifici e chi sottostà dentro il perimetro sotto la cupola lauretana, ecco che sembra esser risucchiato in una sublimale ascensionale dimensione, al cospetto di una pittura che vuole proporsi come realtà di visione, altamente e profondamente spirituale visione, nella sembianza della pittura offerta in visione.
 

F. OVERBECK: Assunzione di Maria

Un discorso antecedente, risalente al 1840, è la grandiosa opera, ora allo Stadelsches Kunstinstitut di Francoforte, che Friedrich Overbeck realizzò quale «manifesto 174» della poetica nazarena. In quest'olio su tela, la Vergine è assisa su un trono di nuvole, dentro uno splendente solare rosone, con il Bambin Gesù sulle ginocchia; evangelisti e santi la attorniano nella serena limpidezza del cielo, accompagnando la folla di artisti e poeti che si ordinano nella sottostante scena di un giardino con fontana, che si apre ad una vallata dai lontani azzurri monti. Sapienza e arte, natura e storia, si intrecciano in un ordito di arazzo in cui si impone il trionfo cristologico della Vergine. Nella composizione si evidenziano i rimandi alla raffaellesca Scuola di Atene e al Miracolo di Bolsena, in un partecipato omaggio a Raffaello in cui si indovina la altrettanto partecipata lettura dello Overbeck nei riguardi degli scritti di Wackenroder e di Dante - come si dimostrerà tra l'altro con il ciclo al romano Casino Massimo, dove il Veit affrescò Maria vergine con la ss. Trinità, a cui rende omaggio il medesimo Dante Alighieri (1824).
 

CITTA' DEL VATICANO: Cappella Redemptoris Mater

Nei medesimi palazzi vaticani, a segno della carismatica presenza di papa Giovanni Paolo II, ecco che l'antica cappella Matilde si traduce in un luogo dove armoniosamente convive l'ispirazione artistica occidentale con l'evocazione della scuola orientale, in un tentativo di coniugare cattolicità e ortodossia, nella poetica di una bellezza che sa testimoniare l'unità cristologica della verità. Maria compare quale Redemptoris Mater, ad opera dell'artista russo Alexander Kornooukhov, nella visione della Gerusalemme celeste; quindi, nell'opera dello sloveno Marko Ivan Rupnik, nelle raffigurazioni dell'Annunciazione e della Crocifissione: nella parete dell'incarnazione del Verbo, con l'icona della Natività sulla volta; nella Pentecoste, quale Vergine Madre - chiesa in epiclesis, nella parete dell'Ascensione e della Pentecoste, su cui presiede nella volta l'icona della Dormizione. Nell'ambito del complesso e profondo programma iconologico, redatto da padre Tomas Spidlik, la figura di Maria pervade come un campo magnetico l'intero progetto iconografico-iconologico, rispondendo alla qualificazione mariana con cui si è presentato il magistero del papa polacco:
«sono lieto di consacrare e di inaugurare la cappella rinnovata», ha dichiarato nell'omelia di consacrazione papa Giovanni Paolo II, «nei cui mosaici rivive la ricchezza della tradizione orientale riletta con la consapevolezza di chi conosce anche quella occidentale. Qui l'oriente e l'occidente, lungi dal contrapporsi tra loro, si scambiano i doni nell'intento di esprimere meglio le insondabili ricchezze di Cristo» (cf. L'Osservatore Romano, 15-16 novembre del 1999).
 

MONTE TAMARO. Cappella S. Maria degli Angeli

Con la cappella dedicata a santa Maria degli Angeli, edificata tra il 1992 e il 1994, al Monte Tamaro, vicino Lugano, l'architetto Mario Botta e l'artista Enzo Cucchi hanno realizzato un sogno nel sogno. Infatti, dentro la vallata sprofonda in volo la cappella che diventa un pulpito, un fotogramma di un angelo in volo. Al suo interno ecco graffiate sul muro le xilografate immagini di quelle che padre Pozzi, che ha seguito Botta e Cucchi nella elaborazione dell'opera, ha definito una «litania dipinta»:
«Figura di due grandi mani protese verso il basso, le dita ripiegate. Analoghe mani appariranno su ciascuna formella, tuttavia ineguali nel profilo, ora grandi, ora minute [...]. Si ha subito la sensazione di trovarsi in un mondo figurativo del tutto nuovo in ambito sacro, primo per l'assenza delle figure di santi, quale esige sulle pareti d'una chiesa la tradizione più affermata [...]. Tenendo presenti questi punti, salta subito all'occhio un fatto capitale per l'interpretazione del complesso: il soggetto non va identificato nelle mani, bensì nel gesto che compiono. Nella decifrazione dei gesti e nel loro rapporto con i simboli sta dunque la chiave dell'intera iconografia».
«Nella storia dell'arte di chiesa i gesti hanno svolto un ruolo importantissimo. Non soltanto sono serviti a interpretare le storie, ma hanno provocato nei riguardanti le emozioni più possenti. Qui al Tamaro, sottratte le figure, il gesto viene sublimato a vero interprete del soggetto sacro. Mediante un'assenza, anzi una cancellazione (delle persone), I'artista ha creato una presenza più intensa, che si tramuta in emozione mentale
» (G. Pozzi, La cappella del Morte Tamaro, Allemandi,1994).
 

S. DI STASIO: Madonna della pace

Tra la fine del decennio novanta e gli inizi del nuovo millennio, il vescovo della diocesi di Terni, mons. Vincenzo Paglia, ha ordinato il programma della nuova chiesa, progettata da Portoghesi, dedicata alla Madonna della pace, con l'ausilio di Stefano Di Stasio, impegnato a realizzare un grandioso ciclo dedicato alla rivisitazione di san Francesco d'Assisi. Nell'ambito di questo programma, particolare attenzione è stata data alla pala dell'altare principale, pala dedicata alla Madonna della pace. Di Stasio ha disegnato una grande immagine che iconograficamente rivisita il tipo della Madonna della misericordia, sotto il cui manto stellato ella accoglie il popolo convenuto. La pala è imposta su tre registri: in quella centrale campeggia Maria con il Bambino sostenuto in braccio; negli scomparti di destra e di sinistra, rispettivamente sullo sfondo della cascata di Terni, ecco una processione con la colomba dello Spirito e dall'altra parte si buttano le armi e ci si abbraccia, sullo sfondo di un'alba di pace e il fuoco e fumo di una casa distrutta. Maria e il Bambino sono monumentalmente posti al centro di cubature architettoniche viste in prospettiva, come se la città intera fosse analogica del significato di Maria/tabernacolo.
Mentre Cucchi impone un espressionismo minimalisticamente rapportato alla simbologia letteraria delle litanie, Di Stasio recupera nella visione neometafisica il valore iconologico della tipologia iconografica. Comunque, sia Cucchi che Di Stasio evocano la forza della tradizione concettuale, quale supporto del pensiero dell'immagine che va a rinnovare anche il dettame catechetico della rappresentazione visiva marialogica.

Dal Podesti a Cucchi, dal Maccari a Di Stasio, da Overbeck a Rupnik; gli esemplificativi documenti dell'arte tra i secoli XIX e XXI scandiscono un percorso di tracce entro cui considerare l'iconografia mariana aderente sia al dettame catechetico e al magistero della chiesa, così come alle plurali indicazioni del dibattito culturale nell'arte moderna e contemporanea.
Valgono le considerazioni che svolgeva don Giuseppe De Luca, proprio in un saggio dedicato al Per dipingere una «Immacolata», all'interno di una serie di saggi iconografici che realizzò per la rivista montiniana Arte sacra (n. 4 del 1933); dopo aver illustrato le vicende teologiche e patristiche dell'Immacolata e legando quelle alla storia dell'arte con dovizia della sua contemporanea bibliografia, De Luca scriveva:
Dal sin qui detto apparisce chiara l'evoluzione lenta ma sicura di questo soggetto nell'arte: soltanto, per avere completo il quadro, è necessario ricordare i tipi della Medaglia miracolosa e dell'apparizione di Lourdes, anch'essi tipi di Immacolata. Quale insegnamento può trarsi da questa rapida rassegna della tradizione? [...] Si è forse condannati alla ripetizione eterna, da quando il tipo ha raggiunto il suo massimo splendore con il Reni e con il Murillo? Non diremmo; ma neppure, certamente, c'è troppo da spaziare. Il tipo è quello che è: non permette libertà eccessive, e nemmeno ritorni all'antico. [...] Ma insomma, mi dirà qualcuno, quali consigli precisi lei dà a un pittore in riguardo? Oh io non do mai consigli, in riguardo; mi limito a intrattenerlo sul tema, dandogli modo di capire (e, se vuole, anche studiare) non soltanto la dottrina e la storia, ma anche la tradizione artistica. Se quando si è così imbevuto del soggetto, il pittore domandasse ancora che cosa deve fare per dipingere, per esempio, un'Immacolata, non mi dispiacerebbe, dico la verità: tanto per me, che ho sprecato questo bel tempo a parlare, quanto per lui, e molto più per colui che s'è rivolto a un pittore del genere per avere un'Immacolata.
Il curatore di quel bellissimo bollettino mariologico che fu Mater Dei, edita dal 1954, il bollettino dell'Opera «Mater Dei», riunito dalle edizioni Storia e Letteratura nel 1972, con la presentazione di Domenico Dottarelli, aveva una particolare devozione per Maria e spesso si è soffermato anche a riflettere sui temi delle diverse tipologie iconografiche che riguardano la persona e la spiritualità mariana. Si riconnette a tale realtà di pietà mariana, l'opera di mons. Giovanni Antonazzi, che molto fu vicino a De Luca. Il suo libro ha per titolo Maria dignitas terrae. Saggio storico-letterario sulla pietà mariana (Morcelliana, Brescia 1996) e bene sintetizza la valenza iconografica della trattazione spirituale e patristica sull'identità della Madre di Gesù.

 

Inserito Venerdi 8 Luglio 2011, alle ore 11:01:09 da latheotokos
 
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