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  Dire Maria nel ''Cortile dei Gentili''? 
Società

Editoriale di Silvano Maggiani in Marianum LXXIII (2011), nn. 179-180, pp. 9-16.



Nei numeri conclusivi della Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et Spes (7-12-1965), il Concilio Vaticano II, alla luce della coscienza che ha la Chiesa di recare la luce del messaggio evangelico a tutto il mondo per ricondurre ad unità tutti gli uomini di qualunque nazione, stirpe e civiltà, indica nel “sincero dialogo” a cerchi concentrici uno dei compiti propri della sua missione. Dialogo tra fedeli, tra Chiese e comunità cristiane, dialogo fiducioso con tutti coloro che credono in Dio e coltivano “preziosi elementi religiosi ed umani” nelle loro tradizioni, e si aggiunge: «Il desiderio di stabilire un dialogo che sia ispirato dal solo amore della verità e condotto con l’opportuna prudenza da parte nostra, non esclude nessuno: né coloro che hanno il culto di altri valori umani, benché non ne riconoscano ancora la sorgente, né coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in diverse maniere» (n. 92). L’ardua via del dialogo è stata un seme riproposto nei solchi della Chiesa che ha permesso anche alla mariologia di aprire i suoi confini di ricerca oltre l’intraecclesialità cattolica e di portare frutto.1
L’impegno ecclesiale nella via del dialogo è stato intenso soprattutto nei primi cerchi concentrici descritti in GS n. 92. Più timido, necessariamente discreto, l’impegno vissuto a favore dell’ultimo cerchio, granello di senape comunque gettato dalla lettera e dallo spirito conciliare che, recentemente, con la proposta magisteriale del cortile dei gentili, appare un inaspettato germoglio aperto allo sviluppo.
La timidezza, forse l’afasia (?), ha caratterizzato anche la mariologia per il dialogo in quest’ultimo cerchio; probabilmente non si è osato, bloccati dall’arditezza del sentiero da percorrere, consapevoli di priorità fondamentale e primarie da considerare, timorosi di affrontare delle marginalità o pensando che siano ritenute tali dagli eventuali possibili interlocutori.
La sfida del cortile dei gentili deve coinvolgere il dire di e su Maria? È tentazione massimalista il pensarlo? Quali possono essere le contestualità per porre temi di dialogo? Quali gli ambiti su cui ha un significato dialogare?
Per tentare di rispondere nello spazio di un editoriale ritengo che sia opportuno comprendere il significato del cortile dei gentili e la sua progettualità ufficiale e virtuale, per quindi considerare possibili aperture di coinvolgimento della riflessione sulla presenza di Maria di Nazaret, madre del Signore Gesù nel dialogare all’interno del cortile.

Il cortile dei gentili

Esiste un prodromo ideale al cortile dei gentili anche se non vi è relazione né genetica né documentabile direttamente, ed è la Cattedra dei non credenti ideata e sostenuta dall’arcivescovo di Milano, il Card. Carlo Maria Martini, negli anni del suo ministero episcopale; come vi sono stati alcuni luoghi animati da religiosi o da monaci nei quali è stato possibile ed è possibile il confronto tra atei o agnostici e credenti, in un nobile dialogo sulla fede e sul senso della vita.
Ma l’originalità della proposta di un cortile dei gentili è ascrivibile, come immagine simbolica e come progetto, a Benedetto XVI.
Il 21 dicembre 2009, nel discorso di fine anno alla Curia romana radunata per gli auguri natalizi, il Papa esprime alcune valutazioni positive circa il suo viaggio apostolico nella Repubblica Ceca.2 Il viaggio era stato preceduto e accompagnato da timori a causa della numerosa presenza di atei e agnostici nel Paese. Riferendosi a questo clima e a questa presenza Benedetto XVI aggiungeva: «Sarei ora tentato di dire qualcosa sulla bellezza del Paese e sulle magnifiche testimonianze della cultura cristiana, le quali soltanto rendono tale bellezza perfetta. Ma considero importante soprattutto il fatto che anche le persone che si ritengono agnostiche o atee, devono stare a cuore a noi come credenti. Quando parliamo di una nuova evangelizzazione, queste persone forse si spaventano. Non vogliono vedere se stesse come oggetto di missione, né rinunciare alla loro libertà di pensiero e di volontà. Ma la questione circa Dio rimane tuttavia presente pure per loro, anche se non possono credere al carattere concreto della sua attenzione per noi»3.
Nel dire del Papa emerge, a causa di una concreta esperienza vissuta all’interno del suo ministero petrino, il soggetto-persona ateo o agnostico che si relaziona in qualche modo ai fedeli pur temendo, forse, di essere non più soggetto in una relazione matura, ma timoroso di essere ancora una volta oggetto della missione dell’annuncio della chiesa nel suo orizzonte di rilancio di evangelizzazione. In realtà, ciò che il Vescovo di Roma chiama “nuova evangelizzazione”, mutuando il termine dal beato Giovanni Paolo II, comporta uno sforzo di rinnovamento che la chiesa deve operare nel vivere, testimoniare, annunciare la fede in contesti socio-culturali che stanno vivendo complessi e molteplici mutamenti. In questa temperie culturale è indicata la “questione circa Dio” quale questione primaria e orizzonte di senso: «Come primo passo dell’evangelizzazione dobbiamo cercare di tenere desta tale ricerca; dobbiamo preoccuparci che l’uomo non accantoni la questione su Dio come questione essenziale della sua esistenza. Preoccuparci perché egli accetti tale questione e la nostalgia che in essa si nasconde».4 Il riferimento a Dio, rivelato in Gesù, ispira ad una lettura, direi mistagogica, di come l’accondiscendenza dell’Eterno compiuta in Gesù conduca ad un rinnovamento della relazione tra il Vivente e tutti gli uomini, e nel pensiero del Papa prende forma simbolica il “cortile”: «Mi viene qui in mente la parola che Gesù cita dal profeta Isaia, che cioè il tempio dovrebbe essere una casa di preghiera per tutti i popoli (Is 56, 7; Mc 11, 17). Egli pensava al cosiddetto cortile dei gentili, che sgomberò da affari esteriori perché ci fosse lo spazio libero per i gentili che lì volevano pregare l’unico Dio, anche se non potevano prendere parte al mistero, al cui servizio era riservato l’interno del tempio. Spazio di preghiera per tutti i popoli, si pensava con ciò a persone che conoscono Dio, per così dire, soltanto da lontano; che sono scontente con i loro dèi, riti, miti; che desiderano il Puro e il Grande, anche se Dio rimane per loro il “Dio ignoto” (At 17, 23).  Essi dovevano poter pregare il Dio ignoto e così tuttavia essere in relazione con il Dio vero, anche se in mezzo ad oscurità di vario genere».5
Da questa pericope mistagogica scaturisce umilmente, nel senso più letterale del termine, quale aderenza al concreto, al luogo terra, il progetto che dà forma ad una proposta operativa: «Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di “cortile dei gentili” dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto».6
L’umile e singolare lancio di un dialogo trova giusta risonanza in uno strumento come i Lineamenta per il Sinodo dei Vescovi in vista della XIII Assemblea Generale Ordinaria che sarà celebrata nell’ottobre 2012.7 Nel documento, che riporta il titolo del tema del Sinodo: La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana, nel paragrafo n. 5 del capitolo I, Tempo di «nuova evangelizzazione», dove si illustrano il significato e le possibili declinazioni dell’espressione “nuova evangelizzazione”, e alcune remore che la stessa espressione ha suscitato e nella Chiesa e nella cultura, si sottolinea come l’immagine del cortile dei gentili, nella sua audacia apre al dialogo da animare in quei contesti dove vive sono le attese più profonde degli uomini e la sete di Dio.
«Tale audacia – si commenta – permette di porre dentro questi contesti la domanda su Dio, condividendo la propria esperienza di ricerca e raccontando come dono l’incontro con il Vangelo di Gesù Cristo».8 I Lineamenta indicano due tempi per mettere in opera il dialogo, due tempi che vedremo risultare utili anche per l’eventuale entrata in scena della mariologia, e così si specifica: «Una simile capacità, una simile attitudine, richiede un primo momento di autoverifica e di purificazione, per riconoscere le tracce di paura, stanchezza, stordimento, ripiegamento su di sé che la cultura dentro la quale viviamo ha potuto generare in noi. In un secondo momento sarà urgente lo slancio, la messa in marcia, grazie al sostegno dello Spirito Santo, verso quella esperienza di Dio come Padre che l’incontro vissuto con Cristo ci permette di annunciare a tutti gli uomini. Questi momenti non costituiscono delle tappe temporali successive l’una all’altra, quanto dei moti spirituali che si succedono senza soluzione di continuità dentro la vita cristiana».9
L’immagine del cortile dei gentili entra, così, quale progetto da considerare da parte di tutte le numerose realtà ecclesiali che normalmente sono coinvolte nella preparazione del Sinodo.10 Nel frattempo ha preso vita la Fondazione del “Cortile dei Gentili” ad opera del Pontificio Consiglio della Cultura presieduto dal Card. Gianfranco Ravasi che, dopo un’anteprima avvenuta all’Università di Bologna il 12 febbraio 201111, ha conosciuto l’apertura ufficiale a Parigi il 24 e 25 marzo 201112 e sono già programmati altri incontri, in questa “terra di confine”, in diverse nazioni europee.13
Nell’incontro di Bologna il Card. Ravasi evidenziava «l’enorme bagaglio di sapere e di storia, di fede e di vita, di speranza e di esperienza, di bellezza e di cultura» che il credente pone sul tavolo di fronte al “gentile” il quale «potrà, a sua volta, imbandire la mensa della sua ricerca e dei suoi risultati per un confronto».14 Il dialogo che si delinea ben oltre un cadere in vuotaggini, in banalità, in stereotipi, dovrà permettere ai gentili e ai cristiani di guardare all’Essere nella sua pienezza. E orientava in quest’orizzonte la citazione di una poesia del nostro Davide Maria Turoldo, che pare chiamare in causa anche noi per quella stessa esperienza di vita, di ideali, di saperi, che ci accomuna a questo Servo di Maria: 
Fratello ateo, nobilmente pensoso
alla ricerca di un Dio che io non so darti,
attraversiamo insieme il deserto.
Di deserto in deserto andiamo
oltre la foresta delle fedi
liberi e nudi
verso il nudo Essere
e là dove la parola muore
abbia fine il nostro cammino.15

La Serva del Signore nel cortile dei gentili?

Abbiamo delineato succintamente il significato dell’immagine del “cortile” e i suoi ambiti tutti in corso d’opera, immagine simbolica che comunque dà a pensare e desideriamo comprendere se, nell’audacia del progetto, è possibile situare la presenza di Maria di Nazaret.
In prima istanza, pensiamo ad una presenza all’interno del “Cortile” programmato dal Pontificio Consiglio della Cultura e, quindi, le nostre riflessioni saranno dell’ordine delle suggestioni e proposte, ma non escludiamo di pensare anche alla possibilità di “inventare” “cortili” di dialogo in ambiti più circoscritti e, comunque, suggerire la possibilità di creare spazi reali mentre non si dimenticano gli altri ambiti del dialogo più sviluppati già nel nostro raggio d’azione.
Tento di dare una risposta ricordando un’esperienza vissuta e riportando una constatazione di natura socio-antropologica.
Nel 1986, nel scegliere i relatori del VI Simposio Internazionale Mariologico, organizzato dalla Facoltà «Marianum» che aveva per tema Maria nel l’Ebraismo e nell’Islam oggi16, gli organizzatori ebbero diversi rifiuti prima di avere la disponibilità di una relatrice che avrebbe svolto il tema sul perché l’ebraismo contemporaneo tace su Maria di Nazaret. Ciò che colpì l’uditorio fu quando la giovane M.me Avital Wohlmann, del l’Università Ebraica di Gerusalemme, si presentò come secolarizzata e atea, e motivò la sua adesione dicendo che il suo interesse a comprendere Maria nasceva dal fatto che questa donna ebrea aveva avuto ed ha una presenza assai singolare nelle culture e nelle civiltà non solo occidentali.17 In altre parole, prescindendo dall’ebraismo, esiste una presenza culturale della Madre di Gesù con la quale direttamente o indirettamente si entra in contatto, anche l’ateo e la persona che si ritiene secolarizzata.
Questa presenza è stata iconizzata, da alcuni decenni, dal sociologo statunitense A. M. Greely, in una frase riportata da C. Boff nella sua Mariologia sociale, tra alcune testimonianze circa l’importanza storica della figura di Maria: «Maria è, in Occidente, il simbolo culturale più potente e popolare degli ultimi duemila anni».18 Boff aggiunge «a eccezione della Croce». Ma la constatazione di Greely è del tutto plausibile e non è enfatica.
Dire indiscutibile presenza simbolica, nella gerarchia delle tematiche per un dialogo nel “cortile”, non sembrerebbe essere costringente. Tuttavia un dialogo che si orienti a promuovere la dignità dell’uomo nelle due dimensioni, materiale e spirituale, quando il credente si riferisce al Dio di Gesù Cristo, non può prescindere dal considerare la pluralità delle relazioni storiche del “nato da donna” e l’indissolubile legame della Madre con il Figlio anche in relazione al Dio dei Padri.19
Proviamo a indicare alcuni contenuti, che saranno tutti da verificare dialogicamente con l’“ateo nobilmente pensoso”.
1. Alla luce del numero 5 dei Lineamenta, dire di e su Maria comporta, innanzitutto, da parte dei mariologi, oltre che una rigorosa lettura della cultura in cui vivono e operano, anche un confronto con se stessi circa il linguaggio che usano. Non è peregrino ricordare la purificazione del linguaggio mariologico (e mariano). Negli ultimi cinquanta anni la Mariologia si esprime indubbiamente con un linguaggio ispirato alla Parola di Dio attestata nelle Scritture e al meglio della Tradizione cristiana. Tuttavia si è diffusa una verbosità arabescata che è più dell’ordine del rovo che della beltà. Il dare ragione della presenza di Maria comporta un’ascesi della parola a cui richiamarsi continuamente, un’ascesi delle aggettivazioni e attributi ed una essenzialità del dire. Aggiungerei la necessità di ricorrere ad un consapevole linguaggio sapienziale che sappia attingere anche al dato filosofico, libero da ogni spiritualismo inefficace.
2. Probabilmente, in seconda istanza, il dialogo dovrà operare sugli immaginari che l’influenza massmediatica concorre a fomentare. Se è faticoso approfondire il passaggio da una comprensione mitica di immagini presenti nell’arcaico pre-cristiano verso una transignificazione di senso in una prospettiva storica, così la forza simbolica della figura di Maria e la sua presenza che acquista senso per dire Dio, deve oggi lottare contro una sovrabbondanza di sensazionale e meraviglioso spesso fine a se stesso, con la proposta di fondamentalismi deleteri che la Storia della Mariologia rileva periodicamente.
3. Tra i grandi temi dell’esistenza il credente si è confrontato e si confronta con modelli ispiratori di senso e di vita. Nel dialogare vigile e attento la figura di Maria potrà trovare il suo significato ed esprimersi nel tema dell’amore, del dolore, del senso dell’esistenza. La relazione modello-esperienza storica del credente faciliterà, nello scoprire nelle opere e nella vita pratica che fecondano il rapporto religionesocietà, il ruolo ben al di là degli stereotipi, pur motivati da deviazioni storiche, del modello di Maria di Nazaret che può fecondare e ha fecondato, nella ricerca dello “Sconosciuto”, l’attenzione dell’umano, così come questa Donna, che ha camminato nella fede, continua ad indicare. Ritengo, inoltre, particolarmente fecondo inoltrarsi nel tema della compassione che, nel ricondurci al discorso su Dio della tradizione biblica e cristiana, trova incidenza e ispirazione in riferimento alla “nostra vera sorella”.
4. Nell’ottica di un umanesimo secolarizzato, analitico che, come rilevava Julia Kristeva all’inaugurazione di Parigi del “Cortile dei Gentili”, «ha rinunciato a fissare un Oggetto assoluto di desiderio uguale per tutti, senza peraltro rinunciare a questi due universali che sono il bisogno di credere e il desiderio di sapere, né tantomeno ai mezzi per delucidarli »20; in questo umanesimo, la Kristeva segnalava l’emergere di nuovi attori, tra i quali le donne e le madri. Forse che un rigoroso dire sulla Madre di Gesù, e proprio sulla sua originalità, non contribuirebbe a comprendere la singolare “attrice dell’affidamento”, donna che prende la parola in una storia che il credente chiama salvifica?
5. Nel dialogare del “cortile”, senza irenismi e senza confusione, nella consapevolezza che emerga sempre e comunque l’identità specifica dei dialoganti, un ambito di indubbio valore è il patrimonio artistico con i suoi codici. Questo ambito di ricerca, che si apre alla beltà, ha il pregio di introdurre ad una transculturalità efficace, mentre situa “il pensiero di fronte a se stesso e al proprio contenuto di verità”. Ora non serve insistere sul patrimonio artistico, nella pluralità delle forme, che si è ispirato a Santa Maria. L’arte estende la presenza del simbolo della Madre del Signore e, tramite la pluralità dei linguaggi, che coinvolgono anche il culturale, è luogo fecondo di un convenire dialogico di ragione, fede e sentimento, di intelletto e cuore, di “intelletto d’amore”.
Solo alcuni temi esemplificativi, che dicono a noi che è possibile osare con audacia la via del “cortile”. Ci sembra che lo suggeriscano anche alle istituzioni che sono promotrici del “Cortile dei Gentili” con il crisma di una ufficialità ecclesiale. Lo indicano ai luoghi e alle istituzioni di carattere mariologico. Sembra di percepire che l’immagine del “cortile” disegnata da papa Benedetto abbia sgretolato cortine ferrigne e liberato un desiderio profondo, relativamente sopito, nella coscienza credente. Siamo nel tempo operoso della seminagione fiduciosa che vuole osare, senza tralasciare il duro confronto con aspri contesti socio-politici-economico-culturali che mettono alla prova, riconoscendo nel dialogo aperto e tenace possibilità di alternative a favore dell’altro.

NOTE
1 Cfr, ad es., E. M. TONIOLO (a cura di), Maria nel dialogo ecumenico in Occidente. Atti del XVI SIM (Roma, 2-5 ottobre 2007), Marianum, Roma 2008; G. BRUNI, Mariologia ecumenica. Approcci – Documenti – Prospettive, Dehoniane, Bologna 2009. Non mancano riflessioni sia in ambito delle religioni monoteistiche che in ambito interreligioso, soprattutto asiatico.
2 Cfr AAS 102 (2010) 39-40 e, inoltre, Insegnamenti di Benedetto XVI, V, 2/2009, LEV, Città del Vaticano 2010, p. 781-782, a cui rinvio nelle note. Per una prima riflessione e contestualizzazione cfr A. MATTEO, Il cortile dei gentili. Un luogo di aperto dialogo e spassionata ricerca, in Rivista del Clero Italiano 112/7-8 (2011) 533-543 e, inoltre, nella Collana “Il cortile dei gentili”: L. FAZZINI, Dialoghi nel cortile dei gentili. Dove laici e cattolici si incontrano, pref. di F. Hadjadj, postf. del Card. G. Ravasi, Messaggero, Padova 2010.
3 Insegnamenti, p. 781-782.
4 Ibid., p. 782.
5 Ibid.
6 Ibid.
7 SINODO DEI VESCOVI. XIII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA, La Nuova Evangelizzazione per la trasmissione delle fede cristiana. Lineamenta, LEV, Città del Vaticano 2011.
8 Ibid., p. 27-28; cfr anche la nota 18, p. 28.
9 Ibid., p. 28.
10 Cfr ibid., p. 80, nota 77.
11 Cfr Il Regno – Documenti 5/2011, 155-158, con la presentazione del Card. Ravasi (L’Osservatore Romano 12.2.2011, p. 5) e un resoconto del suo intervento bolognese.
12 Cfr Il Regno – Documenti 9/2011, 314-320, con l’intervento della semiologa e psicanalista francese Julia Kristeva e una sintesi degli interventi del Card. Ravasi all’UNESCO, alla Sorbona e all’Institut de France.
13 Cfr www.atriumgentium.org
14 Il Regno – Documenti 5/2011, 157.
15 D. M. TUROLDO, Oltre la foresta, in ID., Canti ultimi, Garzanti, Milano 19925, p. 205.
16 Cfr E. PERETTO (a cura di), Maria nell’Ebraismo e nell’Islam oggi. Atti del VI SIM (Roma, 7-9 ottobre 1986), Marianum-Dehoniane, Roma-Bologna 1987.
17 Per la relazione della Wohlmann vedi in E. PERETTO (a cura di), Maria nel - l’Ebraismo e nell’Islam oggi, cit., le p. 9-38.
18 Cfr C. M. BOFF, Mariologia sociale. Il significato della Vergine per la società, Queriniana, Brescia 2007, p. 13, nota 5.
19 Pur non pensati nell’ottica del “cortile” cfr le numerose suggestioni ricavabili da S. DE FIORES, Maria sintesi di valori. Storia culturale della mariologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2005, e i volumi della Storia della Mariologia, il primo già editato (2009), il secondo di imminente pubblicazione, in coedizione Marianum-Città Nuova, Roma.
20 Osare l’umanesimo, in Il Regno – Documenti 5/2011, 315.

 

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Inserito Mercoledi 4 Aprile 2012, alle ore 17:09:57 da latheotokos
 
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