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  15 settembre: Memoria della Beata Maria Vergine Addolorata 
Culto

Il cammino del discepolo passa sul calvario, dal libro di D. M. Sartor, Le Feste della Madonna. Note storiche e liturgiche per una celebrazione partecipata, EDB, Bologna 1987, pp. 125-132.



1. FESTA PRESSO LA CROCE, MA A SFONDO PASQUALE

Il primo documento certo sul sorgere di una festa liturgica sul dolore di Maria proviene da una chiesa locale: infatti, il 22 aprile 1423 un decreto del concilio provinciale di Colonia introduceva in quella regione la festa dell'Addolorata come riparazione dei sacrileghi oltraggi fatti dagli Ussiti alle immagini del Crocifisso e della Vergine ai piedi della croce. La festa aveva per titolo Commemoratio angustiae et dolorum beatae Mariae virginis secondo il tenore del decreto conciliare, il quale diceva: «(...) Ordiniamo e stabiliamo che la commemorazione dell'angustia e dei dolori della beata vergine Maria d'ora innanzi venga celebrata ogni anno il venerdì dopo la domenica Jubilate [terza domenica dopo Pasqua], salvo che in quel giorno occorra un'altra festa, nel quale caso sarà trasferita al venerdì prossimo susseguente». Più sopra il decreto fissava anche il momento preciso a cui si riferiva la celebrazione: «(...) In onore dell'angoscia e del dolore che ella soffrì quando Gesù, le mani distese in croce e immolato per la nostra salvezza, affidò la benedetta Madre sua al discepolo prediletto». Inoltre il documento precisava che tale festa «verrà celebrata soltanto in coro con i primi vespri, mattutino ed ore e con i secondi vespri secondo le note, la storia e l'omelia composte per questa medesima festa», parole che sembrano alludere all'esistenza di testi liturgici precedenti al concilio stesso. Quello che merita di essere sottolineato è che si tratta di una festa incentrata sulla scena del calvario e sulla «raccomandazione» (commendatio) della Madre fatta da Gesù in croce a Giovanni, e inoltre che tale ricordo o commemorazione era assegnata al tempo pasquale.
Nel 1482 papa Sisto IV componeva e faceva inserire nel Messale romano, con il titolo di «Nostra Signora della Pietà», una messa incentrata sull'evento salvifico di Maria ai piedi della croce. In seguito tale celebrazione si diffondeva in occidente con varie denominazioni e in varie date. Oltre alla denominazione stabilita dal concilio di Colonia e a quella fissata nella messa di Sisto IV, veniva chiamata anche: «De transfixione seu martyrio cordis beatae Mariae», «De compassione beatae Mariae virginis», «De lamentatione Mariae», «De planctu beatae Mariae», «De spasmo atque doloribus Virginis», «De septem doloribus beatae Mariae virginis», ecc. Quanto alla data poi, si va dal venerdì dopo la domenica in albis, o il primo sabato dopo l'ottava di Pasqua, o il venerdì dopo la seconda domenica di Pasqua (per non ricordare la data fissata dal concilio di Colonia, ossia il venerdì dopo la terza domenica di Pasqua)... al lunedì o venerdì o sabato dopo la domenica di Passione. Insomma: nel nome si passa dalla commendatio ai septem dolores (cioè dalla scena ai piedi della croce ai diversi dolori della vita di Maria) e nella data dal tempo pasquale al tempo quaresimale: naturalmente questi passaggi avvengono lentamente, anche se ci è impossibile seguirne l'evolversi.
Il 18 agosto 1714 la S. Congregazione dei riti, dietro supplica del priore generale dei Servi di Maria, concedeva che la «Commemorazione solenne dei Sette dolori della beata Maria vergine», già celebrata in qualche provincia per indulto speciale, fosse estesa a tutto l'ordine il venerdì di Passione con rito doppio maggiore. Il 22 aprile 1727 poi, Benedetto XIII, sempre dietro richiesta dell'ordine servitano, estendeva la festa dei Sette dolori di Maria a tutta la chiesa latina e la fissava secondo la data dell'ordine al venerdì dopo la domenica di Passione: veniva così raggiunta l'unificazione sia del titolo che della data. Il riferimento ai sette dolori, causato da quello - assai più antico - delle sette allegrezze di Maria, risale al secolo XIV, anche se per molto tempo mancò l'uniformità nel determinare i singoli dolori: si ebbero, infatti, vari raggruppamenti e si fissò il numero sette e il loro contenuto rimasto finora solo verso il tramonto del secolo XV. Lo spostamento dalla «Pietà» ai «Sette dolori» è avvenuto non senza influenza dell'ordine dei Servi di Maria, i quali nel frattempo (nel 1668) avevano enucleato un'altra festa sui dolori di Maria in settembre al fine di favorire i gruppi laicali. Infatti verso il 1500 si usava tenere presso le chiese dei Servi di Maria una riunione degli iscritti alla «Compagnia dell'abito dei sette dolori» la terza domenica di ogni mese. Un secolo dopo si incominciò a rendere più solenne una di queste riunioni con processione, scegliendo la terza domenica di settembre. La Santa Sede, il 9 giugno 1668, autorizzava l'ordine a celebrare solennemente questa festa dei Sette dolori la terza domenica di settembre. Anzi, dietro istanza del procuratore generale, Clemente Xl, con la bolla Iniunctae nobis, concedeva l'indulgenza plenaria a tutti coloro che avessero visitato nella terza domenica di settembre una chiesa dei Servi. Su richiesta di Filippo V, la festa dei Sette dolori di settembre venne estesa il 17 settembre 1735 a tutti i domini della Spagna. Il :18 settembre 1814 poi, Pio VII, devotissimo dell'Addolorata, in ricordo delle sofferenze inflitte da Napoleone alla chiesa nella persona del suo capo, la estendeva a tutta la chiesa latina, con i testi dell'ufficio e della messa già in uso presso i Servi di Maria.
Con la riforma liturgica di Pio X, la quale voleva mettere in risalto la domenica, questa festa di settembre - nel 1913 - cessò di essere festa mobile e venne fissata al 1° settembre, giorno in cui veniva celebrata nel rito ambrosiano, che festeggiava già i Sette dolori nel giorno dell'ottava della Natività di Maria. Per quanto riguarda la festa del venerdì di Passione, essa fu ridotta a semplice commemorazione dalla riforma rubricale del 1960; del resto si trattava di due feste identiche nel titolo e con i testi della messa uguali, fatta eccezione per la colletta. Il nuovo Calendario del 1969, oltre a sopprimere del tutto la commemorazione del tempo di Passione e a ridurre il grado della celebrazione del 15 settembre a semplice «memoria», ha pure cambiato il titolo della festa (Beata Maria vergine addolorata): non si fa la memoria specifica dei «Sette dolori», ma si vuole contemplare «il dolore» di Maria in maniera globale. Si può essere d'accordo su quest'ultimo cambiamento, anche se a noi sembra che sarebbe stato più efficace passare dall'«Addolorata» (quasi frutto di una pia devozione) a «Maria presso la croce» (evidente «evento salvifico» e quindi passibile di una celebrazione memoriale). Anzi, tenendo conto che tutte le più antiche manifestazioni di culto liturgico all'Addolorata, oltre che riferirsi a Gv 19,25-27, appartengono anche al tempo quaresimale-pasquale, ci domandiamo se non era il caso di privilegiare non già la festa di settembre ma quella di Passione (entrata nel Calendario romano un secolo prima!), colmando così una lacuna circa la presenza esplicita di Maria durante il tempo della celebrazione del mistero pasquale. Così, come lo studio delle fonti antiche ha portato al recupero della solennità della Madre di Dio inserita nel ciclo natalizio, lo stesso studio avrebbe portato al recupero di una festa della «compassione» della Vergine da inserirsi nel ciclo pasquale. Anzi, ci pare che non solo le vicende storiche ricordate, ma anche la Marialis cultus sia piuttosto dalla nostra parte: infatti il documento papale innanzitutto elenca questa festa tra «le celebrazioni che commemorano eventi salvifici, in cui la Vergine fu strettamente associata al Figlio» e che comportano il grado liturgico di «festa», e poi ne indica il contenuto dicendo che «la memoria della Vergine addolorata è un'occasione propizia per rivivere un momento decisivo della storia della salvezza e per venerare la Madre associata alla passione del Figlio e vicina a lui innalzato sulla croce» (cf. n. 7: EV 5/28). Questo è il vero contenuto della festa, ossia la presenza fattiva di Maria nel momento culminante della redenzione e questo, di fatto, mettono in evidenza i testi liturgici del giorno. Ora al fatto storico-salvifico deve corrispondere la sua celebrazione misterica lungo l'anno liturgico: perché disgiungere nella celebrazione quanto è avvenuto congiuntamente nella storia della salvezza? Se si è potuto scrivere: «Nonostante tutti gli adattamenti, non è facile trovare una giustificazione del dolore di Maria nella liturgia: il tema in sé, così come è stato pensato, nella pietà o nella devozione, assume un aspetto eminentemente personale, di devozione privata e non di liturgia», questo è avvenuto fermandosi all'appellativo «Addolorata», quasi frutto di un pio sentimentalismo, e non considerando debitamente il contenuto della festa, incentrato su Gv 19,25-27 e così bene messo in rilievo nel c. VIII della Lumen gentium del Vaticano II (cf. nn. 58 e 61: EV 1/ 432.435): ora se la celebrazione si fosse collocata nel ciclo pasquale, sarebbe stato più immediato coglierne tutta la portata misterica. Purtroppo, così, porta le cicatrici delle lacerazioni storiche tra devozioni e liturgia, in attesa di migliori soluzioni: più pasquali!

2. DAL MISTERO CELEBRATO AL MISTERO VISSUTO

Migliore fortuna hanno avuto i testi liturgici della celebrazione del 15 settembre, perché per la maggior parte si tratta di formulari nuovi, anche se reperiti da diverse fonti e opportunamente adattati. Anzi, questa ampia sostituzione diviene chiaro indice che si è voluto introdurre nella memoria dell'Addolorata una vera correzione: da una lettura prevalentemente devozionale-sentimentale, si tenta di arrivare a una lettura misterico-vitale della partecipazione di Maria alla passione del Figlio. Cerchiamo, brevemente, di coglierla.

a.
Innanzitutto viene messo in luce il contenuto mariano della festa, con evidenti dipendenze dal mistero di Cristo. Ci pare che sia la colletta della messa (la quale appunto ha lo scopo di «esprimere l'indole della celebrazione») a mettere a fuoco il tema centrale della nostra celebrazione:
«O Dio, che accanto al tuo Figlio, innalzato sulla croce, hai voluto presente la sua Madre addolorata».
Ci si riferisce, cioè, al fatto-culmine della nostra redenzione, all'evento salvifico del calvario, per affermare che esso ha due soggetti: accanto a Cristo, la Madre sua. Purtroppo il testo italiano traduce in modo debole l'espressione latina «compatientem Matrem astore voluisti», dove è più esplicito che Maria non solo «fu presente» ma anche «fu compaziente» (da «pati-cum»: patire insieme) con Cristo, collaborando in modo fattivo alla sua opera redentiva. . . (anche l'espressione «compassionem b. v. M. recolentes» dell'orazione dopo la comunione viene resa in italiano con «nella memoria della beata Vergine addolorata»: ci sembra infatti che il termine «addolorata» non renda bene tutta la portata della «com-passione» e la indebolisca in un generico e vago sentimento). Tutto questo trova il suo fondamento nella costituzione sulla chiesa del concilio Vaticano II (a cui il nostro testo sembra rifarsi), che afferma: «Maria, soffrendo con il Figlio suo morente in croce, cooperò in modo tutto speciale all'opera del Salvatore» (LG 61: EV 1/435). Di più, questo avviene per volere del Padre («Dio, tu hai voluto»): il Figlio che muore sulla croce e la Madre che partecipa a questa sofferenza costituiscono un atto di obbedienza alla volontà del Padre, che si pone in linea diretta con tutto il suo piano salvifico. Quella che celebriamo non è una circostanza secondaria della vita di Gesù e di Maria, ma qualcosa che si pone al centro dei piani di Dio Padre, perché, come dice il già ricordato concilio, «Maria non senza un disegno divino stette presso la croce, soffrendo profondamente con il suo Unigenito e associandosi con anima materno al sacrificio di lui, amorosamente consenziente all'immolazione della vittima da lei generata» (LG 58: EV 1/432). Alla «passione» di Cristo corrisponde la «com-passione» di Maria: se il Figlio è «l'uomo dei dolori» (cf. Is 53,3), sua Madre diviene «la donna dei dolori»; se egli è il «Servo di JHWH», sofferente ella diviene la «Serva del Signore» (cf. Lc 1,38) addolorata. Questo è il nucleo centrale del mistero celebrato.
Ora i due brani del Vangelo del giorno (Lc 2,33-35 e Gv 19,2527) ricordano il fatto storico che la colletta ha colto come evento di salvezza: il primo testo in forma di profezia, il secondo in forma di realizzazione piena. Infatti «la spada», che Simeone predice a Maria la accompagnerà pel tutta la sua vita, ma troverà compimento soprattutto nell'«ora» del calvario. Anzi è proprio il Vangelo di Giovanni a evidenziare quanto poi affermerà l'orazione sopra le offerte, cioè che Maria fu «data a noi come Madre dolcissima presso la croce di Cristo». La sua «com-passione», definita dall'acclamazione al Vangelo come un vero martirio («Beata la vergine Maria perché senza morire merito, sotto la croce la Palma del martirio»!), la fa collaboratrice del Figlio, che - al dire della prima lettura (Eb 5,7-9) - con la sua morte «divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono»: con il suo dolore anche Maria, finora solo Madre di Gesù diviene Madre nostra, Madre di tutti i credenti e di tutti gli uomini chiamati alla salvezza.
Gli esegeti fanno notare che strutturalmente la scena descritta da Gv 19,25-27 sottolinea un trasferimento di possessione: la donna che fino a quel momento era «la madre di Gesù» sarà d'ora in poi, per volontà di Gesù stesso, «la madre del discepolo». Con il titolo «donna» che Gesù usa sulla croce, egli costituisce sua madre nella funzione di nuova Eva, di nuova «madre dei viventi». Dice il concilio Vaticano II nel già ricordato documento: «Giustamente i santi padri ritengono che Maria (...) "obbedendo divenne causa di salvezza per se e per tutto il genere umano". Onde non pochi antichi padri nella loro predicazione volentieri affermano con Ireneo che "il nodo della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione coll'obbedienza di Maria: ciò che la vergine Eva legò con la sua incredulità, la vergine Maria sciolse con la sua fede"; e, fatto il paragone con Eva, chiamano Maria "madre dei viventi", affermando spesso "la morte per mezzo di Eva, la vita per mezzo di Maria"» (LG 56: EV 1/430). Più oltre lo stesso concilio afferma perentoriamente che Maria «soffrendo con il Figlio suo morente in croce, cooperò in modo tutto speciale all'opera del Salvatore, con l'obbedienza, la fede, la speranza e l'ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime: per questo fu per noi madre nel! ordine della grazia» (LG 61: EV 1/435). Questa maternità spirituale ma reale, conquistata da Maria - come ogni maternità - nel dolore, è la conseguenza del mistero centrale celebrato e apre la via a un altro versante di considerazioni

b. Venendo, pertanto, alla nostra implicazione nella celebrazione, ricordiamo come la scena di Gv 19,25-27 ha anche un altissimo valore ecclesiologico. Infatti le due persone presenti alla croce hanno entrambe, pur in maniera diversa, un rapporto con la chiesa: la madre di Gesù diventa la madre del discepolo e di tutti i discepoli (e in questo senso si può dire che ella qui diventa la madre della chiesa); da parte sua il discepolo diletto rappresenta tutti i discepoli di Cristo, i singoli credenti della chiesa. L'ultimo atto di Gesù, prima di morire, è stato di formare il popolo messianico, di fondare la chiesa, nelle persone della sua madre e del suo discepolo diletto. Ora i testi liturgici fanno riferimento appunto anche alla chiesa, a noi che celebriamo questo mistero, chiedendo al Padre di trarne i frutti: «fa` che la tua santa chiesa, associata con Lei alla passione del Cristo, partecipi alla gloria della risurrezione» (colletta). Si tratta di una richiesta essenziale e vitale: partecipare alla passione del Cristo come colei che della chiesa è madre e immagine, bramando ardentemente di giungere, come lei è giunta, alla glorificazione finale. In una parola si chiede di essere associati come Maria all'intero mistero pasquale di Cristo, secondo l'esortazione dell'antifona alla comunione: «Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate gioire ed esultare».
Per quanti sono stati battezzati nella morte-risurrezione del Signore, è questo il modo di ri-vivere il proprio battesimo e la celebrazione dell'eucaristia (presenza-memoriale del mistero pasquale) è pegno di riuscita. A questo tendono anche le petizioni della Liturgia delle ore: «Salvatore nostro, che hai voluto la Madre tua ai piedi della croce, unita nell'offerta del sacrificio: fa' che comunichiamo, per sua intercessione, al mistero della tua passione e della tua gloria»; «Gesù buono che mentre pendevi dalla croce hai dato per madre a Giovanni la Vergine addolorata concedi a noi la grazia di vivere come suoi veri figli» (intercessioni a lodi); «Hai reso forte Maria a piedi della croce e l'hai colmata di gioia nella resurrezione del tuo Figlio: sostienici fra e prove della vita e rafforzaci nella speranza» (intercessioni a vespri).


 

Inserito Lunedi 9 Settembre 2013, alle ore 11:02:09 da latheotokos
 
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