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  Maria presso la Croce, Gv 19, 25-27 
BibbiaIl significato di Gv 19, 25-27


Natura ecclesiale del testamento di Gesù e correlazione con Cana

Gv 19, 25-27 è forse il brano più importante per quanto riguarda i fondamenti del rapporto fra Maria e la Chiesa, un rapporto voluto da Cristo stesso. La relazione che passa tra la Vergine e i discepoli di Gesù non è quindi frutto di una pia ingegnosità dei cristiani, ma deriva e trova la sua legittimazione nella Parola del Maestro. Giovani è l’ultima voce del N.T. ed è significativo il fatto che la riflessione della comunità cristiana primitiva, concludendo i canoni dei libri ispirati, sia giunta a comprendere anche la funzione che compete alla Vergine in seno alla Chiesa, comunità dei credenti. L’esegesi cristiana di Gv 19,25-27, si è sviluppata nella tradizione cristiana (da Origene al XIII secolo) secondo cinque linee maggiori di interpretazione. Secondo queste varie interpretazioni questo brano:
1. Indica Giovanni come tipo del discepolo perfetto; (Origene – Giovanni Crisostomo – Teodoro di Mopsuestia – Tertulliano ecc.)
2. Mette in evidenza la perpetua verginità di Maria: siccome non aveva figli, Gesù l’affida a Giovanni; ( E’ la spiegazione dei Padri del IV secolo impegnati nel dimostrare che Maria fu sempre Vergine)
3. Esprime la premura filiale di Cristo verso la Madre che rimarrà sola e bisognosa di aiuto; (Ambrogio – Agostino e poi anche S. Tommaso d’Aquino)
4. Presenta Maria come simbolo della Chiesa; (Efrem – Ambrogio )
5. Proclama la maternità spirituale di Maria.(Giorgio di Nicomedia – S. Anselmo di Lucca – S. Anselmo d’Aosta – Eadmero – Ruperto Deutz ecc.)
La tesi di fondo, approfondita dai contributi attuali più impegnati su Gv 19, 25-27, riguarda il valore ecclesiale del testamento di Gesù, espresso nelle parole: "Ecco il tuo figlio…..Ecco la tua madre". Quella di Gesù non è una volontà di carattere domestico o privato, ma le sue parole rivestono una portata ecclesiale, nel senso che interessano tutti i discepoli, di cui è figura il discepolo amato. Questo atto di Gesù costituisce uno dei momenti principali della sua opera salvifica.

Correlazione fra la scena del Calvario e il segno di Cana
Secondo gli esegeti, la presenza di Maria a Cana e presso la croce, sono due episodi strettamente correlati nella trama del quarto vangelo. Infatti:
1. In entrambi i casi è presente la Vergine che non viene ricordata col nome proprio, bensì coi titoli di "Madre di Gesù" e di "Donna";
2. L’Ora ( passione – morte – risurrezione) di Gesù non ancora giunta a Cana, è giunta sul Calvario dove Gesù passa da questo mondo al Padre;
3. Il banchetto di Cana ha luogo il terzo giorno che corrisponde al sesto giorno del ministero esordiente di Gesù; allo stesso modo la scena di Maria accanto alla Croce è situata al sesto giorno della settimana finale di otto giorni, entro i quali Giovanni distribuisce i fatti della passione – risurrezione.
Ora il fatto di Cana ha un evidente significato messianico, cioè riguarda l’opera del Messia in quanto tale e tutti sono concordi nell’affermarlo, anche la presenza di Maria ai piedi della croce, ha un’importanza analoga. Le due scene infatti hanno un richiamo vicendevole, l’una rimanda all’altra e tutte e due riguardano la salvezza universale.

La tunica non stracciata e l'unione di madre e discepolo
La tunica di Gesù non stracciata (23-24) e l’unione tra la madre e il discepolo (25-27)
"Eistêkeisan de parâ tô staurô tû Iêsû" "Stabat autem juxta crucem Jesu".
Molti commentatori omettono la particella greca "de" con la quale invece l’evangelista vuole fare risaltare il nesso che esiste tra 23-24 dove si parla della tunica inconsutile del Signore e 25-27. Perché l’evangelista insiste sulla tunica non strappata dai soldati? Che significato può avere essa? I commentatori si dividono in due sentenze:
1. Essa fa riferimento alla tunica del Sommo Sacerdote anch’essa non divisa in due parti, come dice Giuseppe Flavio, ma intessuta di un solo pezzo per il suo lungo. Pertanto il brano starebbe a indicare il sacerdozio di Gesù sulla croce.
A questa interpretazione si fanno queste obiezioni:
- il sacerdozio di Gesù è argomento della lettera agli Ebrei, ma non del quarto vangelo
- Giovanni è interessato non al significato sacerdotale ma la fatto che la tunica era tutta di un pezzi e che i soldati non la strapparono.
2. La seconda corrente, che ebbe anche molti aderenti fin dall’antichità, vede nella tunica di Cristo, lasciata integra dai soldati, un simbolo dell’unità dei cristiani. Questa spiegazione sembra molto più plausibile della prima perché:
- il gesto di strappare le vesti, può indicare anche lo scisma di una comunità (cfr 1 Re 11, 29-39)
- il verbo usato da Giovanni "schizô" oltre allo strappo delle vesti, può anche significare "scissione", "scisma", la divisione cioè del popolo di Dio in fazioni (At 14,4; 23,7 e in Giovanni stesso Gv 7,43; 9,16 e 10,19).
- la morte di Gesù, secondo Giovanni, avrebbe realizzato l’unità del popolo di Dio. Secondo Caifa Gesù doveva morire per radunare i figli di Dio che erano dispersi (11, 51-52).
- Tutta la tradizione cristiana conferma che il messaggio fondamentale della tunica, concerne l’unità della Chiesa
- c’è correlazione tra la particella finale del versetto 24 "men" e quella iniziale di 25 "de":
"Questo dunque fecero i soldati. Stavano poi presso la croce…..". Secondo alcuni commentatori c’è tra le due pericopi uno stretto legame di analogia che si può enunciare così: La tunica di Cristo, non lacerata dai soldati, è un segno di quell’unità della Chiesa che sta per costituirsi dall’unione fra la Madre di Gesù e il discepolo amato. Questa comunità che nasce ai piedi della croce è fomentata dallo Spirito Santo che Gesù effonde, quando, reclinato il capo, dona (rese) lo Spirito.

Lo schema di rivelazione

"Leggiamo nei versetti 26-27:
Gesù dunque vedendo la madre e lì, accanto a lei, il discepolo che egli amava,
disse alla Madre:
Donna ecco tuo figlio.
Poi disse al discepolo:
Ecco la tua Madre".
In questi versetti si riconosce il cosiddetto "schema di rivelazione", cioè un modello letterario che si compone di tre momenti:
- Un inviato di Dio vede un personaggio, di cui indica il nome;
- e al suo indirizzo dice:
- Ecco…… Così il veggente termina con delle affermazioni che "rivelano" un aspetto, una funzione della persona "vista", aspetto o funzione finora rimasta sconosciuta e adesso manifestata da colui che "vede".
Ecco un esempio di Giovanni stesso 1,29:
"Il giorno dopo, Giovanni (Battista) vede Gesù venire verso di sé
e dice:
Ecco l’Agnello di Dio.".
Se l’evangelista ha scelto questo schema tipico per trasmettere le ultime volontà del Redentore, vuol dire che essa contiene una rivelazione molto importante, di cui è autore Gesù, profeta del Padre.

Importanza del versetto 28

In questo versetto leggiamo: "Dopo questo, Gesù sapendo che tutto ormai era compiuto perché si adempisse la Scrittura, disse…."
"Dopo questo…"(meta tûto)
La formula "Dopo questo" in Giovanni esprime probabilmente una concatenazione logica tra due fatti, come se il secondo fosse un approfondimento e una conseguenza rispetto al primo. Pertanto quello che si dice nel 28, dovrebbe essere una spiegazione del seno racchiuso nei vv. 25-27. Ora è proprio l’esame filologico dell’inciso "..sapendo che tutto era ormai compiuto", ci svelerà appunto quale sia la portata delle parole: "Ecco tuo figlio….Ecco la tua madre".
"Gesù sapendo…"(eidôs)
Questo participio ricorre quattro volte nella seconda parte del vangelo di Giovanni e sempre in connessione con gli eventi dell’Ora di Gesù. Quindi è sottinteso che la presenza di Maria al Calvario, rientra negli avvenimenti di quest’ora che riguarda la salvezza di tutti. Questo participio inoltre pone in evidenza la cognizione trascendente – divina che Gesù ha di ciò che sta per accadere. Egli non è schiacciato dal peso degli eventi e non accetta supinamente la volontà del Padre, ma vi collabora con piena consapevolezza.
"che ormai.." (êdê)
L’avverbio è riferito all’episodio precedente. Esso vuol dire allora che la consegna della Madre di Gesù al discepolo porta a compimento l’opera redentrice. Se per assurdo Gesù non avesse dettato quel suo testamento, l’evangelista non avrebbe potuto scrivere che "tutto ormai era compiuto", perché qualcosa sarebbe mancata.
"tutto era compiuto (panta tetelestai)"
il verbo "teleo" è usato nel quarto vangelo per annunciare il compimento del disegno di Dio, attraverso l’opera di Cristo. Questo versetto 28 ha un richiamo terminologico con Gv 13,1: "dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (eis telos)" La corrispondenza sta nelle voci telos e tetelestai. Anche la consegna di Maria al discepolo manifesta l’amore supremo di Gesù per i suoi. Non è dunque un gesto privato e domestico la consegna della madre, ma è diretto a tutti i suoi seguaci, cioè alla Chiesa universale.
"perché si adempisse la Scrittura…" (ina teleiôthê ê graphê)
In tempi recenti questa frase che gli esegeti riferivano alla sete di Gesù in croce, si tende a metterla in relazione con i vv 25-27. Questa interpretazione sembra da preferirsi per diversi motivi:
- In Giovanni la preposizione finale "ina" (affinché, perché) determina abitualmente un verbo che precede, non un verbo che segue;
- L’evangelista usa anche il verbo "plerum" (adempiere, compiere) quando dichiara che di adempie un detto di Gesù o una particolare frase della Scrittura che viene citata. In 19,28 , invece, egli impiega il verbo "teleiun" (portare a compimento perfetto) che appare solo quattro volte nel vangelo giovanneo: una volta in relazione agli apostoli (18,9.32), e tre all’opera o alle opere che il Padre ha dato da compiere a Gesù (4,34; 17,4; 5,36).
Il probabile senso di 28 è quindi: dopo aver pronunciato le parole "Ecco il tuo figlio…Ecco la tua madre" e dopo che il discepolo ha accolto Maria, la missione redentrice di Cristo – che è la grande opera predetta dalla Scrittura nella sua globalità – raggiunge il suo compimento perfetto. Di conseguenza la scena della madre di Gesù e del discepolo assume un rilievo speciale nella storia della salvezza.

La presenza e il ruolo di Maria

Accanto alla croce in profonda comunione con Gesù, l’evangelista ricorda la presenza di quattro donne, più il discepolo prediletto. Il ruolo preminente di questo gruppo è attribuito alla madre di Gesù. L’attenzione prioritaria attribuita a Maria è confermata anche dal solenne titolo di "Donna", col quale Gesù si rivolge a Lei come aveva fatto a Cana. Caifa aveva profetizzato che Gesù doveva morire per "radunare nell’unità i dispersi figli di Dio" (Gv 11, 51-52).
Il richiamo di Giovanni ai "dispersi figli di Dio" è carico di pregnanza biblica ed è ricco di un vario complesso di temi che riguardano l’attesa escatologico – messianica del popolo ebraico. Per l’AT "i dispersi figli di Dio" sono gli esuli del popolo di Israele, che Dio ha disperso fra i gentili a motivo dei loro peccati. In modo particolare si riferisce all’esilio babilonese. L’esilio sarà un’esperienza purificatrice perché il popolo, ammaestrato dalla voce dei profeti, si converte alla fedeltà verso la legge del Signore. Dio allora risuscita il suo popolo, raduna i suoi figli e mediante il suo servo fedele e sofferente, li riconduce alla loro terra. Contraenti del nuovo patto non saranno solo gli Ebrei, ma tutti gli altri popoli che Dio aggrega alla nazione eletta. In questa restaurazione postesilica, hanno grande rilievo Gerusalemme e il Tempio ricostruito dalle sue rovine. La città santa è salutata Madre di tutti questi figli innumerevoli che Dio h convogliato nel suo seno e per questo evento inatteso della misericordia di Dio, suo Sposo e Re, lei, quale figlia di Sion, è invitata a gioire; il Tempio è il simbolo privilegiato della riunificazione. Malgrado le vicissitudini storiche che portarono sempre gli Ebrei a nuove dispersioni in un intricato groviglio di situazioni politiche, non diminuì in loro la fede nei vaticini profetici, semplicemente la coscienza giudaica ne rimandò l’esecuzione ai tempi dell’atteso Messia. Sarebbe stato il Messia a radunare veramente "i dispersi figlio di Dio".
Gli evangelisti compresero pienamente che tali profezie dell’attesa giudaica, si avverarono compiutamente soltanto col mistero pasquale di Cristo. Quando egli entra a Gerusalemme, Giovanni esclama citando Zc 9,9: "Non temere, Figlia di Sion! Ecco il tuo re viene sopra un puledro d’asina", un brano questo che appartiene esattamente al novero degli oracoli sul raduno dei dispersi. Ma ci sono radicali cambiamenti:
- in luogo del Tempio di pietra, ora subentra il tempio non costruito da mano d’uomo, ossia la persona risorta di Cristo. In Lui sono attratti e radunati tutti coloro che adorano il Padre accettando la verità evangelica, sotto l’impulso dello Spirito Santo. Cessano dunque le categorie spazio – temporali: l’unità del gregge si realizza e cresce ovunque un uomo ascolta la sua voce;
- in luogo di Gerusalemme – madre, subentra ora Maria – madre dei dispersi figli di Dio, radunati in Cristo quale mistico tempio della Nuova Alleanza. La Madre di Gesù, nell’economia della Nuova Alleanza, diviene la personificazione della Nuova Gerusalemme, cioè della Figlia di Sion alla quale i profeti indirizzarono i loro vaticini sui tempi ultimi. Essendo Gerusalemme – madre, madre universale, anche Maria – madre, è madre universale. Ecco perché viene chiamata col solenne appellativo di "Donna".
Pur affermando Giovanni la maternità spirituale di Maria rispetto ai discepoli, tuttavia non va oltre l’affermazione del fatto e cioè non ne spiega la natura. In altri termini on ci dice quali sono i compiti di Maria verso i credenti e in che cosa consiste la sua maternità nell’ordine della fede. Siamo qui nel vivo della questione mariologica, densa di sviluppi anche per la questione ecumenica. Pur nelle problematiche non si devono dimenticare queste due indicazioni:
- è già molto significativo che Giovanni dichiari il fatto della maternità di Maria
- bisognerebbe approfondire i concetti biblici di paternità e maternità spirituale per fare poi le debite applicazioni a Maria, Intanto la Scrittura insegna che un padre e una madre, sono esempio e modello di vita per i loro figli. Ora Gesù donandoci sua madre, ce la dona anche come modello, come tipo che tutta la Chiesa è chiamata ad imitare.
Ecco uno schema su "i dispersi figli di Dio" nell’AT e in Giovanni:

Il discepolo che Gesù amava

SIGNIFICATO DELLA FRASE
Indica una preferenza di Gesù per questo discepolo? Che Gesù potesse avere delle preferenze legittime è in sintonia con la dottrina dell’Incarnazione. Tuttavia gli esegeti moderni tendono a ritenere che la frase più che significare una preferenza di Gesù, indichi piuttosto lo stato di colui che, osservando la Parola evangelica, viene a trovarsi nella sfera dell’amore del Padre e del Figlio. Il discepolo che Gesù amava, sarebbe quindi il "tipo" di ogni discepolo che, in ragione della sua fede, viene amato da Gesù. E’ quanto dichiara Gesù stesso: "Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, costui mi ama; e chi ama me sarà amato dal Padre mio, e io pure lo amerò" (Gv 14,21). Sono questi i discepoli che Gesù chiama amici e per i quali egli offre la suprema testimonianza dell’amore, donando loro la sua stessa vita.
Questa funzione tipico – rappresentativa non è espressa chiaramente, ma questo valore tipologico è virtualmente incluso per le seguenti ragioni:
- Più di una volta Giovanni presenta una persona individua come espressione di un gruppo. Nicodemo ad esempio, viene detto "maestro in Israele" è cioè il portavoce del giudaismo ufficiale, ortodosso; la samaritana rappresenta quello eretico, separato cioè da Israele. Al pari il "discepolo che Gesù amava" può essere figura di ogni altro discepolo amato da Gesù.
- Il chiarimento dato sopra sulla maternità di Maria – madre universale fa logicamente pensare a discepolo come rappresentante di tutti i figli di Maria
- La maternità universale di Gerusalemme chiamata in causa fa pensare a tutti gli esuli che ritornano in patria. La città santa diviene madre di tutti i figli e le figlie radunati nel su grembo dalla Parola del Santo (Bar 4,37) e il Tempio sarà "casa di preghiera di tutte le genti". A questa maternità universale fa ora riscontro quella di Maria. Se la prima era attesa come un evento di carattere universale, altrettanto dovrà dirsi della seconda. Da questo deriva che la persona del discepolo amato deve interpretarsi come tipo di tutti coloro che sono radunata dalla fede in Cristo in un solo gregge. Di tutti costoro Maria è Madre.

L'ACCOGLIENZA DI MARIA DA PARTE DEL DISCEPOLO
Il versetto 27 è importante in quanto spiega il modo col quale il discepolo esegue la volontà di Gesù: "E da quell’Ora il discepolo l’accolse tra cose proprie".
1. Il plurale neutro "ta idia" (= le cose proprie) nel quarto vangelo
Il termine "idios" (= proprio) esprime l’idea di appartenenza, proprietà ed è usato spesso da Giovanni nel suo significato religioso – spirituale: l’appartenenza a Cristo. Nel quarto vangelo ricorre sotto forma sia di aggettivo che di sostantivo:
- come aggettivo appare sette volte, in due casi di ordine esteriore (suo fratello – la sua patria); nelle altre cinque volte per realtà sempre spirituali ( suo Padre – suo nome – sua gloria – sue pecorelle – tutte le sue pecorelle);
come sostantivo ha una tonalità molto più personale ed esistenziale. Si possono distinguere tre significati:
- le forze "proprie" del male stigmatizzate da Gesù ( 8,44: "Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla di ciò che gli è proprio, perché è menzognero e padre della menzogna")
- Israele e i discepoli "proprietà di Gesù Tutto è proprietà del Verbo: Israele, gli uomini, i discepoli che ha chiamato fin dall’inizio. (Gv 1,14: "E’ venuto nella sua proprietà, e i suoi non l’hanno accolto")
- Le cose proprie dei discepoli, che sono i beni spirituali della loro appartenenza a Gesù.
Per interpretare nel giusto senso questo versetto bisogna tener presente che il soggetto è "il discepolo che Gesù amava". Per comprendere quali sono le "sue cose" dobbiamo ricordare che egli, come dobbiamo detto sopra, è "amato" da Gesù. Le "sue cose" sono quindi la sua fede nel Maestro, con l’ambiente vitale in cui egli ha ormai situato la propria esistenza. Non sono quindi bene di carattere materiale – economico, ma di ordine spirituale. In conclusione, quindi, fra i beni spirituali che Gesù dona al discepolo c’è anche Maria, sua Madre. Gesù vuole che lei sia madre anche del discepolo.

IL VERBO "LAMBANEIN" PRESSO GIOVANNI
Come in altri passi della Bibbia, esso ha questi significati:
- forma attiva: "prendere" quando ha per complemento delle "cose" inanimate, oppure una persona trattata alla stregua di una cosa;
- forma passiva: "accogliere" quando l’oggetto è "un dono", un "beneficio ricevuto". In genere si tratta di benefici spirituali.
- In una terza serie di testi di Giovanni, il verbo ha per complemento oggetto una "persona" oppure il "suo messaggio". In questi casi il suo significato si avvicina a quello del verbo "pisteuein" che vuol dire "credere".

IL TERMINE "ORA"
Le versioni proposte sono due:
- "da quell’ora" significa soltanto: "da quel momento";
- "da quell’Ora" è da intendersi sempre l’Ora di Gesù, quella della passione glorificante, in cui compiono gli eventi decisivi della salvezza, tra i quali anche l’affidamento dei discepoli a Maria.. Richiamandoci allo schema usato che uno "schema di rivelazione" possiamo dire che Gesù, rivelatore del Padre, inviti il discepolo ad entrare nella nuova Alleanza. Maria è quindi anche figura della Chiesa – madre, la nuova Sion, nella quale approdano i figli del Patto nuovo. Accogliendo Maria, il discepolo in pratica dice di "si"alla volontà di Gesù e tale consenso fa sì che Gesù possa effondere lo Spirito, cioè il dono della Nuova Alleanza.

LA POSIZIONE DELL’ENCICLICA "REDEMPTORIS MATER"
Il papa scrive che "eis tà ìdia", nel suo significato "la prese con sé" va oltre il limite di un’accoglienza di Maria da parte del discepolo nel senso del solo alloggio materiale e dell’ospitalità presso la sua casa, ed è da intendersi come una comunione di vita, in tutto lo spazio della propria vita interiore, cioè: il discepolo l’accoglie in tutto il suo io umano e cristiano. Il papa incoraggia dunque i "discepoli" di Gesù ad accogliere la Vergine nella propria vita, nel proprio cuore, negli affetti, dentro i problemi della famiglia, della società, del mondo.

I "DONI" DI GESU’ SECONDO IL QUARTO VANGELO
Secondo Ignazio de La Lotterie, i doni "spirituali" tra i quali inserire quello della Madre, sono questi:
- il potere i diventare figli di Dio
- l’acqua viva e il pane, cioè la parola di Gesù
- il comandamento nuovo dell’amore
- la pace e la gioia
- la vita eterna che consiste nel conoscere il Padre come l’unico vero Dio e colui che ha mandato Gesù Cristo
- le parole che egli ci ha rivelato come portavoce del Padre
- Lo Spirito Santo
Maria è dunque in quanto "madre nostra" uno dei molteplici doni conferiti da Gesù alla sua Chiesa.
In che senso Maria è Madre della Chiesa? In che cosa consiste il suo ruolo materno?
Se Maria è madre, è da supporre che ella intervenga in qualche modo nel generare in noi l’uomo nuovo, nel farci rinascere come persone del tutto conformi a Cristo e quindi pienamente riscattati dall’egoismo, per dar vita a un mondo rinnovato dall’amore. In quale maniera? Per quali vie? Nel suo vangelo Giovanni ci dà alcune indicazioni su questa trasformazione dell’uomo:
- la fede in Cristo è la prima condizione per diventare figli di Dio: la Madre di Gesù si rende quindi attiva nel suscitare l’obbedienza alla parola del figlio, come fece a Cana.
- lo Spirito Santo è l’energia divina del Cristo risorto che consente a ogni persona di aprire il cuore alla fede: anche la funzione materna di Maria sta in relazione con lo Spirito Santo, è suscitata da Lui
- la Chiesa intera è anche madre, perché annuncia la parola di Dio che trasforma gli uomini in figli di Dio. Maria madre non si sostituisce dunque alla Chiesa madre, né tanto meno entra in concorrenza con essa, ma opera nella Chiesa e con la Chiesa

PATERNITA’ – MATERNITA’ SPIRITUALE ED ESEMPLARITA’
L’AT insegna che un padre o una madre spirituale, diviene modello di vita per i suoi figli. Anche Giovanni mette sulla bocca di Gesu questa frase in risposta ai Giudei che dicevano di essere figli di Abramo: "Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo" (Gv 8,39), Paolo, che si considera un padre per le comunità da lui fondate, esorta i cristiani ad essere suoi imitatori come lui lo era di Cristo (1Cor 4,16).
Applicando alla Vergine questa dottrina dobbiamo dire che, se Gesù indica in Maria la nostra Madre, vuole anche dirci che la propone ai discepoli e cioè alla sua Chiesa come un modello da imitare, un esempio – tipo – forma di vita evangelica. La pietà verso la Santa Vergine, consiste quindi prima di tutto nell’assunzione di uno stile di vita soprattutto evangelico.

PATERNITA’ – MATERNITA’ SPIRTIUALE E INTERCESSIONE
Il Padri e le Madri del Popolo di Dio, sia dell’Antica che della Nuova Alleanza, possono intercedere per i propri figli e figlie in virtù dei meriti da essi acquistati nella loro vita. Questo conferisce il dovuto rilievo alla dimensione comunitaria ed ecclesiale della salvezza. In effetti essi continuano a vivere nella grande famiglia dei figli di Dio. La ricchezza delle loro virtù è un potenziale di energia benefica, che rifluisce su tutti. Come cellule cariche di vitalità, essi esercitano un influsso sull’intero organismo.
Maria nella sua prerogativa di Madre della Chiesa, è compartecipe di questa economia. Ella non è una forma lontana, statica, che noi dovremmo ricopiare come farebbe un artista di fronte ai suoi modelli. Nella luce del Cristo risorto, Maria si rende attiva e vigile su ognuno dei figli che le sono stati affidati ai piedi della croce. Con questo carattere di intercessione che si manifestò per la prima volta a Cana, la mediazione di Maria continua nella storia della Chiesa e del mondo.

CONCLUSIONE
Se il discepolo vuole accogliere in pienezza tutti i doni di Cristo, è anche obbligato ad accogliere il dono della madre. In tal senso vale sempre l’affermazione di Paolo VI: "se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani, cioè dobbiamo riconoscere il rapporto essenziale, vitale, provvidenziale che unisce la Vergine a Gesù e che apre a noi la via che a Lui ci conduce".

Bibliografia

-
Aristide Serra, Maria a Cana e presso la Croce. Saggio di mariologia giovannea, Centro di Cultura mariana "Madre della Chiesa", Roma 1978, pp. 82-118
- Aristide Serra, Dimensioni mariane del mistero pasquale, Edizioni Paoline, Milano 1995, pp. 16-37
- Aristide Serra, Maria accanto alla croce, madre dei "dispersi figli di Dio". Suggerimenti di Giovanni Paolo II, in "Parole e vita", 39 [2/1994], pp. 22-28

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