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  Il mistero di Maria, il mistero della Donna 
Donna

di Cettina Militello in AA. VV:, Come si manifesta in Maria la dignità della donna, Centro di Cultura Mariana "Madre della Chiesa, Roma 1990, pp. 69- 84. 



 

Siamo alla fine di un anno mariano che, forse come mai, ha connesso il tema mariale con il tema del femminile. E c'è da chiedersi perché si parla tanto di Maria e perché si parla tanto della donna.1 Di Maria siamo abituati a sentire parlare, in un modo o nell'altro; della donna un tempo si parlava poco, oggi si parla tanto. Non a caso, a conclusione di quest'anno mariano, Giovanni Paolo II ha promulgato la Lettera Apostolica «Mulieris Dignitatem» Mi pare occorra, dunque, interpretare le ragioni di questa attenzione e di questa convergenza, tanto più che, nella storia, Maria e la donna sono strettamente congiunte. Assai spesso, più si esalta Maria meno si rispetta la donna. Il nostro tempo offrirebbe una variazione culturale e ci darebbe dunque nuove chiavi, nuovi germi di speranza. L'attenzione a Maria maturata nel Vaticano II è quella che ben conosciamo: ce l'ha trasmessa il Capitolo VIII della  «Lumen Gentium», e la riflessione ad esso succeduta. Si è trattato di abbandonare certa enfatizzazione di Maria, donna del privilegio, per cogliere Maria nel mistero del Figlio, ma soprattutto nel mistero della Chiesa. È stato splendido questo ricondurre Maria nella normalità del «mistero» che è la comunità ecclesiale; né la «Lumen Gentium» è rimasta voce isolata, perché tutto il pontificato di Paolo VI e in particolare la «Marialis Cultus» ha nuovamente calibrato e centrato il discorso su Maria, equilibrando anche quella iconoclastia mariologica, quella minimizzazione o perdita di determinati temi o valori tradizionali, cui si è incorsi nel dopoconcilio. L'ultimo pontificato ci ha dato la «Redemptoris Mater».
Un'attenzione a Maria in crescendo, via via privilegiando determinate tematiche ecclesiologiche, antropologiche, bibliche, pneumatologiche, che infine ci ha condotti a contemplare Maria soprattutto nella prospettiva del suo peregrinare nella fede. Dunque, un itinerario di riappropriazione del materiale che ha avuto soprattutto nella «Marialis Cultus» la precisa posizione della questione di Maria modello della donna, ed infine in tutta la ricchezza della comprensione di Maria nell'evento Cristo, la coscienza viva di quello che è il cammino di fede di Maria. Se vogliamo, analoga è l'attenzione alla donna. Non starò a richiamare i movimenti storici, politici che stanno alle spalle del cosiddetto femminismo e poi del neo-femminismo; sono tutte cose abbastanza risapute; il fatto è che il nostro tempo - e il punto d'avvo, ce lo dà la «Pacem in Terris» - coglie la donna, nel suo approdo alla vita pubblica, alla vita ecclesiale come «segno dei tempi». Il Concilio deve misurarsi con questa realtà e consapevolezza delle donne ed è per così dire costretto a prendere atto e a ribadire la pari dignità dell'uomo e della donna nella storia della salvezza, nel vissuto della comunità, a livello politico come a livello ecclesiale. Tutto questo, ovviamente, si intreccia con temi e adagi che forse non colgono interamente la coscienza nuova che le donne vanno via via maturando; si pensi ad esempio, al Messaggio del Concilio alle donne, alle sue suggestioni parenetiche, pur affermando valori indubitabili circa la dignità della donna.
Ma il vero problema, nel quale la questione donna e la questione Maria si legano insieme, è la questione del «modello». Può Maria di Nazareth essere modello alla donna? Può la donna specchiarsi in Maria? Può la donna cogliere in Maria il manifesto della sua dignità? Come la dignità di Maria accresce la dignità della donna? Siamo eredi di una cultura che riconduce e racchiude la donna nel privato; e in fondo tutto il nostro secolo, dal punto di vista ecclesiale è percorso da preoccupazione e allarme circa il pericolo di perdita di se che per la donna comporta il farsi compagna dell'uomo in una serie di attività che tradizionalmente non le erano proprie: il lavoro, la vita pubblica. Maria di Nazareth per lungo tempo è stata presentata come modello della donna che tace, obbedisce; è mite, mansueta: accetta pure di essere rimproverata da suo Figlio: sta nascosta; riemerge, poi, ai piedi della croce come si conviene ad ogni donna, soprattutto ad una madre per antonomasia legata al mistero del nascere e del morire. La donna è là dove la vita comincia, dove la vita si spegne. Lo dice lo stesso Messaggio del Concilio alle donne. La grande svolta dell'ultimo decennio sta proprio nel cogliere Maria modello alla donna e nel lasciare che la donna guardi altrimenti Maria. Dirà la «Marialis Cultus»: non è per la vita che condusse che Maria è modello alla donna; non è il contesto socio-culturale che può esaurire la proposta che Maria costituisce per le donne di ogni tempo. Dirà la «Redemptoris Mater»: «È in Maria che la donna coglie realizzata la sua femminilità», intendendo con questo termine la determinazione profonda del suo essere persona di sesso femminile. Il tema ritorna sino all'ultima lettera di Giovanni Paolo II.
Sono tutte suggestioni che ci interpellano, ci inquietano, ci gratificano; in certi momenti forse anche ci lasciano perplesse, ma certamente mai la congiuntura culturale ci ha spinti a dover prendere fortemente atto, che la storia degli uomini è anche storia delle donne, e che le donne hanno da dire qualcosa di particolare ad esse proprio. Il problema sta tutto nel sapere se questa Parola" restituita alla donna, se questa consapevolezza e protagonismo è soltanto, per così dire, espediente altro di androcentrismo e maschilismo o se questa esaltazione della donna è tappa obbligata per un discorso che insieme, uomini e donne, riconduca al disegno originario di Dio, come sfida: sfida etica, esistenziale, quotidiana. É per questo che ho accettato di titolare questo intervento «Il mistero di Maria, il mistero della Donna». Nessun termine biblico, infatti, ha la pregnanza globale del termine «mistero». Non a caso anche la «Mulieris Dignitatem» parte dal rinvio a Ef 1,9. Il piano di Dio, il disegno di ricondurci tutti alla filiazione, alla divinizzazione, alla grazia, il beneplacito del Padre è la chiamata indirizzata all'uomo perché partecipi al suo mistero. Se dunque il disegno di Dio è tutt'uno con il «mistero», dobbiamo interrogarci su qual è il disegno di Dio su Maria e qual è il disegno di Dio sulla donna e se si tratta dello stesso disegno.
Il disegno di Dio è semplice nelle sue linee portanti non anticipo quanto sarà detto in altre relazioni. Non posso tuttavia non evocare la suggestione del testo Genesiaco. Gen 1-2 è, in certo qual modo, il manifesto del progetto di Dio sull'uomo e sulla donna. Distinguerò, ma solo, per provocazione, due momenti: «a immagine di Dio li creò», «maschio e femmina li creo". Il primo addita «l'essere rivolto all'altro», la «reciprocità» il secondo l'«essere per», l'imperativo etico, il dover essere vicendevole dell'uomo e della donna o - con il linguaggio di Giovanni Paolo II - il «servizio regale».
Il disegno di Dio sull'uomo è chiamata a partecipare al suo mistero; chiamata a conoscere lui Padre Figlio Spirito. L'autorevolezza dell'uomo, il suo essere persona, la sua capacità di soggetto che è in dialogia con Dio, è tutta iscritta nel disegno di Dio che lo vuole suo partner. Creazione e divinizzazione nel piano di Dio sono assolutamente la stessa cosa. Ma come può l'uomo, creatura, diventare Dio o entrare in dialogia con Dio, se non perché creato «a sua immagine»? É dunque questa costituzione ontica che l'espressione «ad immagine» significa. Creato ad immagine l'uomo si scopre soggetto solo nell'incontro con l'alterità. È la reciprocità, l'essere orientato all'altro, la trama profonda del suo essere «persona»; l'uomo è reciproco al suo Signore, ne ripropone il mistero. La reciprocità, l'essere creato ad immagine, non pone ancora il problema della distinzione uomo-donna. La determinazione concreta del maschile e del femminile declina l'esse ad, la persona, come vicendevole essere per, reciproca diaconia, funzione, servizio. Se la reciprocità è il costitutivo antico, l'essere per l'altro - il servizio - è l'imperativo etico, ciò che io devo essere per corrispondere al disegno di Dio. Ci sono infiniti modi di tradurre questo mio essere per, ma c'è un essere per strutturale ed è quello della mia mascolinità e della mia femminilità. È difficile definire «mascolinità» e « femminilità» È compito di altre discipline. Mascolinità e femminilità sono tuttavia il modo concreto con il quale da persona di sesso femminile o come persona di sesso maschile io introduco nell'universo creato il mio essere ad immagine e somiglianza di Dio Padre Figlio e Spirito. C'è nel mio essere per in quanto donna e nel mio essere per in quanto uomo, un tratto specifico che mi autodefinisce e che mi coglie tale nel piano di Dio.
Il secondo racconto ci fornisce meglio la chiave di questo essere per ed è quanto fa Giovanni Paolo II nella rilettura di Genesi 2. La donna «aiuto simile a lui», per usare l'espressione tradizionale; come «uno che gli sta a fronte», secondo una traduzione più letterale. È la mutualità che viene sancita, la mutualità come necessità insopprimibile: perché io sia, ho bisogno dell'altro che mi sta a fronte, per il quale mi determino e per il quale sono; nel determinarmi e nell'essere all'altro, offro la mia peculiarità che non è quella generica del mio essere persona, ma è quella specifica del mio essere persona di sesso femminile o di sesso maschile. Questo disegno splendido che Giovanni Paolo II sviluppa nel capitolo III della «Mulieris Dignitatem», invocando i termini «persona», «comunione, «dono», di fatto si infrange perché la malizia del tentatore fa sì che l'uomo non comprenda più le modalità corrette del suo tradurre il progetto di Dio. Da questo momento l'uomo non è più reciproco all'altro dal punto di vista metafisico. Non è che venga meno il principio che costituisce l'uomo e la donna come persona, ma viene meno la capacità di essere veramente, fattivamente, creativamente, positivamente l'uno per l'altro. Da questo momento in poi, dal peccato, l'uomo domina la donna e la donna coglie l'uomo in modo alieno da quello che era il disegno originario. La nostra storia sino all'evento Cristo è storia di questa alienazione. La inimicizia uomo-donna è un momento di una lotta, di un fraintendimento che scombussola tutto quanto il piano di Dio creatore, che mette in crisi il disegno di dominio dell'uomo sul creato, di pace dell'uomo con se stesso, di dialogia dell'uomo con il suo Signore, di dialogia con la donna simile-dissimile, con l'uomo simile-dissimile alla donna. L'evento Cristo risana questa lacerazione, ma non ci restituisce all'Eden. L'Eden si è definitivamente chiuso. Occorrerà che nella fatica di una somiglianza offuscata, di una immagine ferita, noi procediamo fino al momento del compimento. L'evento Cristo ci ha restituito la certezza circa i termini del progetto di Dio sull'uomo e sulla donna, ma il peso del peccato continuerà ad accompagnare il nostro cercare, il nostro incontrarci. In questo progetto ovviamente, un posto singolare rimane all'uomo e alla donna ed è il posto che ci viene suggerito soprattutto dalla «metafora sponsale»; Dio non rinuncia a farsi carico di situazioni umane di contestualità umane per ricordarci il suo disegno originario, ma le metafore restano metafore: non siamo capaci, malgrado tutta la forza persuasiva del femminile, così come ci viene trasmesso nella Parola di Dio, di liberarlo e di coglierlo per quello che è, per quella che è la sua potenza rivelatrice di salvezza.
Come si lega allora il mistero di Maria, come si lega il mistero della donna in questo quadro così lacerante e lacerato? C'è certamente un «segno della donna», c'è una premessa che lega la donna alla possibilità di ribaltamento della sua soggezione storica. Sappiamo che il segno della donna si compie in Maria di Nazareth, così come sappiamo che la valenza salvifica del femminile non può essere messa in discussione. Eppure tutta la tradizione cristiana la ignora, malgrado la riproposizione neotestamentaria della donna come parte integrante del disegno salvifico. Questa difficoltà di cogliere il mistero del femminile come struttura salvifica, la cristianità l'ha risolta tutto concedendo a Maria e poco riconoscendo alla donna. Ma oggi Maria ci viene offerta - è il discorso nostro contemporaneo - soprattutto nel suo rapportarsi alla Parola, nel suo accogliere e mediare la Parola. La dignità di Maria sta tutta fondamentalmente in due verità profonde che toccano il suo mistero: la sua «maternità divina», chiamiamola per assonanza Madre del Verbo; il suo «discepolato»: Maria è discepola del Verbo. Comunque lo si declini il suo mistero è tale in rapporto alla Parola. Ella accoglie la Parola nella concretezza della sua carne di donna: è l'inaudito, l'insperato; noi non canteremo mai abbastanza la profondità di questo mistero; la donna esclusa dalla storia vi viene reinserita, esaltata in modo assolutamente impensabile e improponibile. Questa fanciulla bella, splendente, piena di grazia agli occhi del suo Signore, realmente portatrice di tutti i valori del suo popolo, è colei che a nome dell'umanità tutta fa spazio alla Parola di Dio che in lei si incarna. Non riusciremo mai a cogliere pienamente il mistero di questo intimo rapporto tra la Madre del Verbo e il Verbo stesso. Ma è il disegno di Dio, è il progetto di Dio che lì si compie, perché il progetto di Dio non è altro che quello di renderci capaci, idonei ad entrare in «dialogo» con lui. E chi esprime più e meglio il «dialogo» se non il Verbo, la Parola?
La maternità di Maria potrebbe essere letta in infiniti modi; a me interessa rapportarla al mistero della seconda Persona, ma è in gioco il mistero di Dio uno e trino - lo ribadisce Giovanni Paolo II in un passaggio della «Mulieris Dignitatem». L'evento che si compie è evento nello Spirito che parte dalla iniziativa del Padre. Il rapporto di Maria con il Verbo è però emblematico, paradigmatico. Maria è colei, dicevano i Padri, che prima di concepirlo nella carne lo concepisce nella mente, lo concepisce nel cuore; il che ci riporta a tutta una dimensione di fede, di esperienza di fede, a tutta una adesione, un modello di fiduciale abbandono a Dio, alle sue promesse, al suo rivelarsi «salvatore del popolo». Se questi sono taluni aspetti della Maternità divina di Maria, ella è altresì discepola, è colei che si autoproclama serva del Signore. Le due cose sono inseparabili: il discepolato di Maria è tutt'uno con la sua mediazione salvifica speciale, straordinaria, subordinata e materna. Sono i diversi aggettivi di «Redemptoris Mater» 38 e 39. Essere «Madre del Verbo» non è altro dall'essere «discepola del Verbo». Ciò che Maria è relativamente al Verbo, reciproca alla Parola, capace di dialogare con Dio e di prestargli assenso, è Maria nel suo essere per, nella sua diaconia, nel suo servizio. La diaconia di Maria è la sua maternità; la sua diaconia è il tipo particolare di mediazione salvifica che le è propria in quanto Madre del Redentore.
Possiamo leggere tutto ciò sottolineando più o meno scientificamente l'uno aspetto o l'altro, possiamo sviscerare cosa vuol dire «mediazione salvifica», cosa vuoi dire «mediazione speciale straordinaria», cosa vuoi dire «mediazione subordinata», cosa vuoi dire «mediazione materna partecipata». Rimane il fatto che Maria dopo il Verbo di Dio che si è fatto carne, l'unica persona nella quale la reciprocità, il disegno costitutivo originario si compie perfettamente, ella è «per gli altri» con una autorevolezza e una intensità che nessuna altra creatura può come lei fino in fondo esperire. E tutto ciò si lega mirabilmente alla Parola di Dio che in lei si incarna. Vorrei sottolineare l'aspetto «Parola» perché non a caso sino alla «Mulieris Dignitatem» si parla di singolare «profetismo della donna».
Quando parliamo di «parola» certamente ci riferiamo a Cristo-Parola, ma vogliamo anche appellare a tutta una esclusione del femminile che se alla donna ha lasciato la parola nel suo aspetto carismatico, non le ha lasciato la parola come sapienza, come sapere, come esperienza intellettuale, noetica razionale. Il mistero di Maria è dunque l'essere veramente reciproca al Verbo, ed è singolarità di Maria l'essergli reciproca nell'infinità abissale e indicibile del mistero dell'incarnazione. Ma qual è il rapporto donna-Parola? Donna-Verbo? La donna si rapporta alla Parola, l'accoglie, la media? Ha una modalità sua propria e questa modalità sua propria si identifica con quella di Maria o è altra?
Il problema è difficile d'affrontare, perché se la emblematicità salvifica di Maria ci mette al riparo del dubbio, la non emblematicità della donna nel vissuto storico, ecclesiale, il veicolo culturale che ha in qualche modo consentito che la rivelazione ci giungesse attraverso antinomie per ciò che concerne il femminile, non rende così immediatamente avvertibile e percepibile la seconda parte del discorso. Tutte le culture hanno connesso la donna alla profezia; ma non l'hanno connessa alla parola nel suo aspetto logico; l'hanno connessa alla parola nel suo aspetto a-logico. Non è che l'alogico sia illogico necessariamente, ma è altro da ciò che è logico. Il Verbo di Dio è parola, parola chiara, logos; è la sapienza, è verità. Cose tutte che la dicitura evangelica ci propone nell'attenzione tematica dei diversi autori.
Il femminile in che rapporto sta con la «logica»? Pochissime volte nella storia le donne si sono cimentate con la filosofia, spesso con la poesia e con l'arte, ma, paradossalmente, di pochissime ci è rimasto il nome. Spessissimo le donne si sono cimentate nella mistica, cioè in una via di conoscenza altra rispetto alla conoscenza razionale. In questa divisione di ambiti, in questo modo altro di gestire l'unico rapporto al Verbo, io credo ci sia una disattenzione al femminile. Tutto restando il valore della mistica, tutto restando il valore della profezia carismatica, tutto restando il valore di altre modalità di conoscenza che non sono né minori né contrarie alla conoscenza razionale, teologica, filosofica, il fatto che della donna si siano privilegiati determinati aspetti, determinati ambiti, è segno di una disattenzione al femminile, se non altro nella storia della cristianità. Avvertiva Von Balthasar che quando la Chiesa, mi riferisco adesso alla nostra comunità, disattende i valori del femminile, si inaridisce, e in ciò sta una grande verità perché, all'interno della comunità ecclesiale, mistica, sapienza, conoscenza altra, sono l'altra faccia del vissuto quotidiano, anzi sono quel vissuto quotidiano al di fuori del quale né filosofia né teologia ci nutrono perché il problema non è soltanto di nutrizione intellettuale, ma di nutrizione globalmente esperenziale e vitale.
Ma l'aver declinato il femminile solo in questo senso, certamente dice minimizzazione, disattenzione al femminile. Il nostro tempo segna però il recupero del femminile come tema umano. Né può essere altrimenti. I valori sin qui etichettati come «femminili» per lasciarli soltanto alle donne e in fondo cosl emarginare la donna, o diventano valori «umani» o l'umanità è perduta. È questo il senso della nostra particolare situazione presente... come donna, educata in certo modo, certo non mi ritrovo a mio agio quando mi si dice che la donna è impulsiva, è intuitiva, manca di sintesi, ha un linguaggio vivace, immaginario, iperbolico, enfatico ecc... chiunque di noi però fa autoanalisi scopre tutte queste cose come proprio retaggio culturale. Se la fatica di «diventare maschio» - altrimenti non avrei potuto accedere a determinata modalità di sapere -, mi pone a disagio tutte le volte che mi si offre una certa etichetta, comincio anche a chiedermi se la forza, relativamente al futuro, - forza profetica di cui la Chiesa oggi si fa portatrice - non è proprio il predicare che l'umano non è pienamente umano se non si mettono insieme i valori del femminile e i valori del maschile; le stereotipie del maschile e le stereotipie del femminile. L'umanità è perduta se non riscopre i valori della pace, della fratellanza, della comunione, della gratuità, della immaginazione, della fantasia, dell'esuberanza ecc..., mettiamoci tutto quello che vogliamo. È questo credo, il motivo per il quale attualmente il femminismo, non parlo del femminismo cattolico, ma piuttosto del femminismo laico, riflette sulla «differenza». La riflessione sulla «differenza sessuale» esige una posizione autonoma e una riassunzione autonoma dei valori e dei temi del femminile - come donne e perché donne dobbiamo accedere al sapere, alla parola, senza mettere tra parentesi la nostra peculiarità femminile; il sapere cui abbiamo avuto accesso, poi, dobbiamo codificarlo, liberarlo dalla sua pretesa «neutralità sessuale», evolverlo assecondando la peculiarità del nostro essere «femminile».
È il motivo che mi ha portata nell'arco dei miei quindici anni d'insegnamento, a promuovere la sistematica, meglio, la parte speculativa dell'ecclesiologia, in una dimensione «sponsale». È il motivo che mi ha portata ad adoperare in mariologia determinate categorie piuttosto che altre. La nostra congiuntura culturale esige la posizione della differenza, solo così potremo oltrepassarla. Nel progetto di Dio, la differenza è la modalità «altra di essere per l'altro» nell'orizzonte metafisico, creaturale e teandrico della reciprocità; il misterioso aderire della donna all'uomo e dell'uomo alla donna: «questo sì che è osso delle mie ossa......»
Sono tappe necessarie e obbligate; il mistero della donna può sembrarci chiaro se ci mettiamo in una certa chiave di lettura, può sembrarci oscuro, se sottoponiamo questa lettura a vaglio critico; ma, una cosa è certa: oscuro o chiaro che sia, dobbiamo sulla nostra pelle identificare ciò che siamo perché soltanto nell'acquisizione culturale di ciò che siamo potremo proporre un modello nuovo, un modello che non parli più della specificità o della diversità, senza con ciò stesso appellare alla reciprocità, per il superamento di quello che potrebbe essere un modo nuovo per porre come insanabile la frattura uomo-donna. Per intenderci, né gineceo, né androceo, ma un mondo, una Chiesa, una teologia, una spiritualità nella quale uomini e donne insieme si pongano il problema della loro rispondenza piena al disegno di Dio. Rispondenza piena sul piano della loro identità metafisica di persona, rispondenza piena sul piano della operatività della traduzione del servizio regale. Credo che noi donne abbiamo ancora da dire tutto, stiamo appena cominciando a balbettare, ma in fondo è l'umanità tutta che balbetta perché sino a quando maschile e femminile non interagiranno, sino a quando il discorso non sarà farro pienamente a «due» voci, allora non capiremo neppure lo stesso mistero, non capiremo il mistero della donna né capiremo il mistero dell'uomo; tanto più che il paradigma perfetto è Cristo rivelatore dell'uomo all'uomo, e Maria altro non è, se non la creatura che per singolare grazia più da presso realizza il mistero del disegno di Dio che soltanto in Cristo pienamente si rivela. Il problema per noi donne è cercare di squarciare tutto ciò che sta dietro il termine mistero, tutto ciò che sta dietro il problema della nostra coscienza o autocoscienza. Il problema di noi donne è, ritorno al discorso di prima, capire in che rapporto siamo con la Parola, capire cosa vuoi dire accogliere la Parola, capire cosa vuoi dire mediare la Parola. Nella interezza più ampia possibile di questo termine e scrivendo sempre il termine Parola con la maiuscola. Là dove c'è la Parola c'è anche lo Spirito, c'è anche il Padre. Ma è la Parola che ci costituisce quale umanità reciproca a Dio; è la Parola che la femminilità deve attingere per essere pienamente umana. In ciò Maria ci è modello, perché sino in fondo ha attinto la Parola.
Concludendo, il progetto di Dio su Maria, è lo stesso progetto di Dio sulla donna. È molto semplice dimostrarlo cogliendo Maria nella normalità della storia d'Israele. Ciò che le accade è tuttavia singolare, eccezionale, ma invoca pur sempre il femminile come partner di Dio nell'Alleanza. Al di là dell'antropomorfismo Dio è padre, ma è anche madre; l'uomo gli collabora, ma gli collabora anche la donna. Il mistero di Maria è il mistero della donna, il mistero della donna è il mistero di Maria. Ovvero il mistero di Dio sul femminile non distingue tra Maria e le altre donne. Maria non è «sola tra le donne», ma è donna, è la Donna. Tuttavia deve esserci sempre presente la contestualità singolarissima di Maria. Non è possibile riferire alla donna «normale» sic et simpliciter ciò che avviene in Maria. Non possiamo, noi donne, quale che sia la nostra scelta, riproporre nella sua «singolare» ricchezza ciò che accade in Maria. Noi possiamo riconoscerla «prima tra le donne», ma non possiamo reiterarne il mistero, nei suoi caratteri singolarissimi. Nella profondità del suo mistero, Maria non rappresenta le donne, rappresenta l'umanità intera, uomini e donne. Ella è l'umanità come dov'essere al cospetto di Dio. Ella è manifestativa per eminenza - rinvio a «Mulieris Dignitatem» n. 5 - della normalità del progetto misterico globale. Il nostro problema di donne oggi, o di credenti di oggi che guardano il mistero di Maria e il mistero della donna, sta nel tentare di trovare una linea interpretativa tra queste affermazioni apparentemente contraddittorie. L'affermazione radicale, c'è un solo progetto di Dio e questo progetto riguarda maschile e femminile «insieme»; c'è un progetto di Dio sulla donna, questo progetto accomuna la donna a Maria, pur essendoci in esso aspetti pienamente realizzati in Maria, non riproponibili sic ei simpliciter per ogni donna. Maria, ciò nonostante, rimane paradigma. Forse è la paradigmaticità della sua peregrinazione nella fede a fare di Maria chiave interpretativa insieme della scoperta della donna e dei valori di una «umanirà nuova». Certo, il tema di Maria e del femminile oggi è legato e sarà difficile scioglierlo. Occorre che prendendo atto di questa sincronicità tematica ne tiriamo fuori tutte quante le conclusioni. Il nostro tempo è tempo di grazia, penso, né si spiega diversamente che ci sia una profezia nel riproporre a questa umanità lacerata e pur tuttavia con germi di pace, il mistero di Maria come mistero della donna; il mistero della donna e il mistero di Maria. Ma tutto questo è tappa che occorre oltrepassare, e se è giusta l'enfasi che colma la disattenzione al femminile o che colma una inadeguata attenzione a Maria, quello a cui veramente dobbiamo tendere, quello che veramente deve impegnarci, quello da cui realmente apparirà la dignità della donna, il modo in cui in Maria si manifesterà la dignità della donna, appartiene ad un altro discorso che oltrepassa questa congiuntura speciale.
La «Mulieris Dignitatem» è certamente l'ossequio, l'atto d'amore più incredibile che la donna abbia ricevuto nella storia della comunità cristiana. Eppure è essa stessa una tappa, una tappa necessaria. A noi donne e soprattutto alle donne impegnate nella ricerca teologica, urge già oltrepassare i termini del problema, così come viene posto. La questione donna è questione matura che interpella la Chiesa e ne pone in gioco la credibilità. Ma occorre sempre più ricercare per riappropriarsi di quello che è il progetto originario, occorre poter affermare senza mezzi termini che non c'è discorso sulla donna, non c'è discorso su Maria se questo discorso non pone la mutualità, la reciprocità, l'essere l'uno per l'altro dell'uomo e della donna, che in quanto tali, nel loro incontro, ripropongono il mistero ineffabile delle Persone Divine. È lì che si lega il tema sponsale, il tema della Chiesa risposai. È problema teorico ma è anche problema pratico, di prassi ecclesiale. Quanto poi a cercare una via piana di incontro tra le donne e Maria, essa c'è già e mi è simpatico additarla a voi, per la maggior parte religiose. A voi ci si rivolge chiamandovi «sorelle». Non a caso il termine sorella o il termine fratello è termine tipico, distintivo della vita religiosa che non è altro che profezia di un modello di fraternità o di sororità, specchio ideale della comunità ecclesiale. A mio modesto parere, la via per uscire da quella che può sembrare la contraddizione tra il privilegio singolare di Maria e la inattingibilità del privilegio, per noi donne è riconoscere Maria come «sorella». Questo termine è caro alla tradizione patristica; ritorna nella tradizione liturgica, nella tradizione ecclesiale sino a Paolo VI che chiama Maria «nostra sorella» innumerevoli volte. Anche oggi, noi possiamo guardare Maria come nostra sorella. Non si tratta di amplificare la terna: Vergine, Sposa, Madre, legata all'universo familiare con tutta l'ipoteca culturale che ne consegue. Sorella è si anche questo, se volete, un termine «funzionale»; ma che delinea uno statuto di gratuità, un «essere per l'altro»; che non obbedisce alle regole che normano gli altri legami di parentela. Se sorella, non appartengo a colui al quale sono sorella, la sorellanza dice pari dignità operativa, significa stare a pari. Su altro fronte, traduce la paternità di Dio cui si affianca la maternità della Chiesa. Sorella è ancora termine gratuito che dice amicizia: l'amica è «sorella» se l'affinità elettiva tocca il profondo del mistero della persona. Sorella è la compagna di cammino. Sorella è la madre stessa alla stessa figlia se oltrepassa il possesso della creatura che ha generato. E allora, sorelle mie, rallegriamoci, perché anche se la perfezione del modello mariale nella peculiarità strutturale storico-salvifica della maternità divina ipoteca sempre qualitativamente la modalità del discepolato di Maria, c'è un livello nel quale Maria è nostra e nessuno ce la può toccare. E dicendo che è nostra è assolutamente di tutti. Ed è il piano della sororità. Lodiamola come nostra sorella, e cogliamone la sororità come tessera aurea di quel mosaico che manifesta l'incredibile disegno di Dio sull'uomo. Disegno di gratuità, disegno di servizio, disegno ineffabilmente regale.

NOTA
1 Per un'esposizione più ampia e documentata dell'argomento, si veda: C. MILITELLO, Maria e il femminile nella «Redemptoris Mater», in Redemptoris Mater. Contenuti e prospettive dottrinali e pastorali (Atti del Convegno di studio col patrocinio del Comitato Centrale per l'Anno Mariano - Roma, 23-25 maggio 1988), Pontificia Accademia Mariana Internazionale, Roma 1988, pp. 219-261; e ancora: C. MILITELLO, Maria e la diaconia della donna nella Chiesa, in Aspetti delle presenza di Maria nella Chiesa in cammino verso il 2000 (Atti del 7 Simposio internazionale Mariologico - Roma, 21-23 giugno 1988), a cura di E. PERETTO, Edizioni  "Marianum" Roma-Edizioni Dehoniane Bologna, 1989, pp. 117- 183.


 

Inserito Martedi 26 Aprile 2011, alle ore 16:34:12 da latheotokos
 
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IDEATO E REALIZZATO DA ANTONINO GRASSO
DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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