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  Maria, Madre degli inizi, nel Vangelo di Giovanni 
BibbiaRiassunto di un articolo di GIUSEPPE SEGALLA, La “Madre degli inizi” nel Vangelo di Giovanni” in Theotokos, Anno VIII, 2000/2, Edizioni Monfortane, Roma


 Introduzione

 Già a partire da Clemente Alessandrino (II secolo), si riconosce che il quarto vangelo è diverso dagli altri tre; è un “vangelo spirituale” e anche i personaggi che descrive e narra, rivestono un carattere spirituale, vengono tratteggiati, cioè, con brevi linee, quasi tipicizzati come delle icone. L’icona, infatti, intende rappresentare non soltanto la figura esterna del santo, ma soprattutto la sua fisionomia interiore, per cui essa risulta una persona trasfigurata e spiritualizzata. Proprio questa tipicizzazione è presente in tutti i personaggi del quarto vangelo, in modo particolare in Maria, “ la Madre di Gesù” come Giovanni sempre la chiama. L’intento di questo saggio è quello di considerare la Madre di Gesù nel profondo intreccio interno del quarto vangelo, dove contano moltissimo non soltanto i riferimenti espliciti, ma anche le allusioni da un testo all’altro, i fili nascosti che fanno risaltare il disegno, posto in primo piano. Esamineremo anzitutto il significato dell’anonimo la Madre di Gesù”, con cui Maria viene sempre designata dall’evangelista per passare poi alla tesi centrale: la collocazione di Maria nei grandi “Inizi” e nel compimento dell’opera del Verbo Incarnato.

Una "Madre" non nominata

La “madre” nel quarto vangelo
Delle 11 volte che viene usato il sostantivo “la madre”, ben 10 si riferiscono alla madre di Gesù. (Gv 2,1.3.5.12; 6,42; 19,23.25.26.26.27), anche se tale uso è concentrato nei due testi principali: Gv 2,1-12 e 19, 25-27. L’unico altro testo in cui “madre” non si riferisce alla madre di Gesù è nel dialogo del Maestro con Nicodemo in Gv 3,4 dove si dice: “Come può un uomo essere generato essendo vecchio? Può forse bel seno della sua madre di nuovo entrare ed essere generato?”.

In questi 10 testi, il sostantivo “la madre”, riferito a colei che gli altri vangeli chiamano Maria o Mariam, viene coniugato in quattro forme diverse:

1. due volte come “la madre di Gesù”, all’inizio del racconto del segno di Cana (Gv 2, 1.3);

2. quattro volte come “la madre di lui” (Gv 2,5.12; 19,25.25.)

3. due volte, col semplice aforismo “la madre” (Gv 6,42; 19,26)

4. una volta come “la madre tua” (Gv 19,27).

Quando il Signore, invece, interpella sua madre, si rivolge a lei col solenne titolo di “Donna” (Gv 2,4; 19,26). Maria è l’unico personaggio femminile del quarto vangelo chiamato “la madre” con l’aggiunta, diretta o indiretta “di Gesù”. Mai si legge il nome “Maria” riferito alla “madre di Gesù”, mentre esso appare ben tre volte riferito ad altre donne:

1. Maria di Betania, sorella di Marta (Gv 11,1.2.19.20.28.31.32.45; 12,3);

2. Maria di Magdala (Gv19,25; 20,1.11.16.18);

3. Maria di Cleopa (Gv 19,25).

Il sostantivo viene usato sia nella forma greca “Maria” che in quella aramaica “Mariam”, a dimostrazione dell’ambiente palestinese e aramaico, in cui si è formata la tradizione orale, che sta all’origine del quarto vangelo.
Per l’evangelista, la “madre” per eccellenza è, dunque, la “madre di Gesù”, ma  viene, tuttavia, da chiedersi come mai non la designa per nome, mentre, ad esempio, ricorda per due volte al lettore che Gesù è “figlio di Giuseppe” (Gv 1,45; 6,42). Lo stesso anonimato di Maria, madre di Gesù è un “fenomeno” che si riscontra in un altro personaggio di capitale importanza nel quarto vangelo: il discepolo che Gesù amava, il cui nome, certamente, doveva essere ben noto alla comunità giovannea. E’ proprio questo personaggio, il testimone che garantisce la verità della tradizione redatta nel quarto vangelo (Gv 21,24) e che intreccia la sua vicenda con quella della madre di Gesù ai piedi della croce (Gv 19,25-27). La tradizione posteriore gli ha dato il nome dell’apostolo Giovanni ed anche il gioco del doppio letterario potrebbe confermare questa tradizione, almeno per il nome “Giovanni”, poiché il discepolo amato è il testimone ultimo (Gv 21,24 e anche 19,35) corrispondente al primo, che porta esso pure il nome di “Giovanni” (Battista) (Gv  1,6-8.15.19).  Giovanni è. quindi, il nome non detto del discepolo amato, come Maria è il nome non detto della madre di Gesù, nome che tutti, però, ben conoscevano, come risulta dai vangeli sinottici e dagli Atti.

Simbolismo e dignità della “Madre di Gesù” e del discepolo amato 
Che significato ha questo duplice anonimato nella narrazione giovannea? Che effetto produce sul lettore? Intanto si può affermare che la solennità dell’anonimato esalta il carattere simbolico del personaggio. Per questo motivo il “discepolo amato” oltre che essere il testimone originario, diventa anche il modello di ogni discepolo di Gesù, dell’intimità con lui e della fedeltà a lui sino ai piedi della croce. Così la “madre di Gesù” viene elevata a simbolo concreto e personale della mediazione umana nell’incarnazione del Logos e nella sua missione. Lei rappresenta ed impersona insieme l’umanità nella storia e la stessa storia di Israele con Dio, nella loro più alta funzione: la mediazione della rivelazione escatologica di Dio Padre nel Figlio suo, Gesù Cristo.
Madre di Gesù”, inoltre, è una qualifica che indica indubbiamente la maternità umana di Maria, ma nel contempo anche la sua dignità. Il lettore, infatti, sa già dal prologo stesso che Gesù è il “Logos incarnato”, il Figlio Unigenito del Padre, il Signore che, ritornando al Padre, dona lo Spirito di verità, il Paraclito. Se consideriamo che mai il quarto vangelo chiama Gesù “figlio di Maria” ma sempre lei “la madre di Gesù”, penetriamo forse nell’intenzione più profonda del quarto vangelo: Maria orienta a Gesù, l’accento cade su Gesù e non su Maria. Nei pochi testi in cui ella chiaramente appare, vi compare sempre come una freccia che orienta a Gesù Messia, sposo delle nozze messianiche, il rivelatore, cui ci si deve affidare per avere luce e vita. Maria è la madre per eccellenza, la “Madre di Gesù”, non soltanto perché sta all’origine della sua vita come uomo, ma anche perché orienta a lui che è la vita stessa, il rivelatore del Padre. Si può dire che Maria è nascosta perché sta alle origini, agli inizi del mistero del Dio fatto uomo e della sua rivelazione e ne condivide gli arcani risvolti.


La "Madre degli inizi"

Così come “madre”, anche il termine “inizio” è impiegato in modo singolare nel quarto vangelo, tanto da diventare un’espressione tipicamente giovannea. Mentre negli altri vangeli ricorre complessivamente 11 volte (4 rispettivamente in Mt e Mc e 3 in Lc) nel solo quarto vangelo si legge ben 8 volte e se a queste si aggiungono le 10 delle tre lettere giovannee, si raggiunge la quota di 18! Da questo si evince che il quarto vangelo dimostra un particolare interesse per gli “inizi” come “fondazione” sia della rivelazione di Gesù sia della testimonianza degli apostoli. “Già l’incipit del vangelo nel prologo innico contiene il sintagma «In principio era il Logos». Questo “inizio” eterno prima del mondo e del tempo […….] è già orientato all’incarnazione di Gv 1,14, ove “Logos” ricorre l’ultima volta. Dopo il prologo narrativo (Gv 1,19-52), si passa di seguito all’”inizio dei segni”(Gv 2,11) che, secondo la finale del vangelo (Gv 20,30-31) è l’inizio del racconto vero e proprio. Ma l’inizio deve avere ancora un compimento, che si apre con un nuovo inizio, quello della comunità cristiana e lo si raggiunge con l’innalzamento di Gesù sulla croce e l’elevazione alla gloria, da cui il Signore glorioso invia lo Spirito per la remissione dei peccati e il dono della vita nuova».
In tutti questi tre inizi, è presente in modo discreto e nascosto la “Madre di Gesù”. Vediamo adesso, dunque la presenza di Maria nell’incarnazione, nell’inizio dei segni e nel compimento dell’opera di Geù, inizio della comunità credente.

La madre di Gesù, inizio dell’Incarnazione (Gv 1,14)

Secondo alcuni autori il versetto Gv 1,13, nell’ipotetico testo originale non avrebbe portato la lezione al plurale – presente in tutti i papiri e i codici maiuscoli più antichi - ma al singolare – debolmente attestata da alcune versioni antiche e da qualche Padre della Chiesa. La lezione sarebbe stata, perciò: «il quale (Figlio di Dio), non da sangui né da volontà di carne né da volontà di uomo, ma da Dio è nato», ovviamente mediante una madre, Maria. In tal modo si alluderebbe alla concezione e al parto verginale di Gesù. Non ci addentriamo sulla questione, ma in ogni caso la lezione al plurale rimane la più certa. Tuttavia, non può essere né dimenticato e né eluso un dato, ben più sicuro, che riguarda la madre di Gesù nel contesto del prologo. Nel centro del prologo si legge la solenne proclamazione: «E il Logos si fece carne e abitò fra noi…..». In  questa solenne proclamazione è nascosta la presenza viva della madre. Ci si può chiedere, infatti: come il Logos divenne carne e abitò fra noi? Ovviamente mediante la madre, inclusa in questo evento originario della rivelazione di Dio Padre da parte dell’Unigenito Figlio (Gv 1,18). Il Logos incarnato venne ad abitare tra di noi, iniziando la sua vita umana nel seno di Maria, che divenne come il santuario in cui prese dimora fra gli uomini, la presenza gloriosa e salvifica di Dio. Nel testo scompare la madre, ma non può mancare  negli “spazi bianchi” lasciati dal testo, che il lettore è chiamato a riempire, ossia il “non detto” dal testo ma da esso presupposto e che il lettore è chiamato a completare.

«Il testo è intessuto di interstizi, di “spazi bianchi” da riempire, e l’autore – emettitore prevedeva che fossero riempiti; e li ha lasciati bianchi per due motivi: perché il testo è un meccanismo economico, che vive del plusvalore introdottovi dal destinatario, e in secondo luogo perché un testo vuol lasciare al lettore l’iniziativa interpretativa……….Un testo vuole che qualcuno lo aiuti a funzionare. Un testo postula il proprio destinatario come condizione indispensabile non solo della propria capacità comunicativa concreta, ma anche della propria potenzialità significativa»
Nel nostro caso, il lettore credente (il singolo o la comunità), che legge il prologo giovanneo, sa già chi è la madre di Gesù e sa perciò che in lei il Logos si è incarnato. Il testo non lo dice perché un testo, specie poetico, è un “meccanismo economico” e perciò non dice quanto è ovvio (la maternità di Maria) ma dice quanto non è raggiungibile dalla ragione umana e solo per rivelazione può essere conosciuto: il mistero dell’incarnazione del Logos. La madre ha reso possibile questo evento misterioso di rivelazione, voluto da Dio Padre che ha inviato il Figlio suo “in mezzo a noi” per la vita del mondo. Maria è dunque la mediatrice terrena del mediatore celeste, cosa che poco più avanti lo stesso quarto vangelo ricorderà esplicitamente, sia pure nello stile discreto e nascosto, tipico della “madre di Gesù”, com’è configurata da “Giovanni”.

La madre all’inizio dei segni: madre della fede (Gv 2,1-12)

Dall’inizio dell’Incarnazione, si passa al racconto dell’inizio dei segni (Gv 2,1-11), il cambiamento dell’acqua in vino, ove risulta essenziale la mediazione della “madre di Gesù”. Anche qui il lettore è invitato dal testo a riempire “gli spazi bianchi” lasciati dal narratore che, come sempre, scrive in modo “economico”, stringatissimo, ma con grande profondità di significato. 
Rileviamo nel racconto la presenza della madre che interviene tre volte (Gv 2,1.3.5): 
1. all’inizio, ove appare come invitata di spicco (Gv 2,1), tanto che subito dopo si dice che viene invitato Gesù con i suoi discepoli (Gv 2,2,). In questa presentazione ella non parla, ma si suppone sia attenta allo svolgimento della festa di nozze, tanto che si preoccupa perché sta mancando il vino, essenziale in qualsiasi festa.
2. Nel cuore della festa, quando “essendo venuto a mancare il vino, la madre di Gesù dice a lui: Non hanno più vino” (Gv 2,3).  Il narratore dice che manca il vino, ma non dice chi se ne avvede. L’intervento della madre di Gesù rivela chi si prende a cuore la penosa situazione. La madre, in realtà, non chiede nulla al Figlio, ma gli rivela semplicemente l’incresciosa circostanza. Ma il lettore capisce che se lei lo fa, è perché crede che Gesù sia in grado di intervenire in qualche modo per togliere gli sposi dall’imbarazzo. Non suggerisce nulla, rimane discreta, richiama solo la sua attenzione sulla necessità incombente. La risposta di Gesù, sembra chiudere negativamente la richiesta di attenzione: “(E) le dice Gesù: - Che (c’è) per me e per te o donna? Non è ancora venuta la mia ora” (Gv 2,4). Il lettore rimane smarrito, fino a quando non legge tutto il vangelo e non va a verificare qual è mai l’ora misteriosa di cui Gesù parla. Intanto Gesù stesso altre volte dichiara che l’ora non è giunta, quando i giudei vorrebbero catturarlo per ucciderlo (Gv 7,30; 820), ma afferma solennemente che essa è venuta, prima di iniziare la passione: “E’ venuta l’ora, che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità vi dico: se il grano di frumento, caduto per terra, non muore, esso solo rimane. Se invece muore, molto frutto porta” (Gv12,23-24). La metafora del grano di frumento, allude chiaramente alla morte imminente di Gesù (Gv 12.27.32-33) nei termini dell’ora (12.27) e dell’innalzamento da terra per attrarre tutti a sé (Gv 12,32). L’ultima volta che ricorre il motivo dell’ora, è nella solenne preghiera sacerdotale, che conclude i discorsi di addio: “Padre, è venuta l’ora. Glorifica il Figlio tuo, affinché il Figlio glorifichi te” (Gv 17,1b). Il lettore giustamente si chiede: Come mai il rimando a quell’ora che è l’ora ultima, proprio nel momento in cui Gesù inizia la vita pubblica? Che rapporto c’è tra la richiesta della madre e l’ultima ora? L’elemento chiaro, certo e basilare è che l’ora è un processo che si svolge nel ministero di Gesù fino al suo compimento sulla croce (Gv 19,30). La risposta di Gesù alla madre sottolinea la distanza tra l’evento umano che la madre fa presente al figlio e l’evento di rivelazione divina, significato dall’ora. La distanza viene sottolineata da “Che c’è……” mentre la fondazione di tale distanza è l’ora, non ancora venuta. Quando l’ora verrà, cioè l’evento ultimo di rivelazione, la distanza sarà annullata e Gesù rivelerà alla madre ai piedi della croce, la sua missione e la determinerà in relazione all’ora. Sul Calvario, Maria non solo non inizierà il dialogo come a Cana, ma addirittura tacerà ed accoglierà la missione nuova, il nuovo inizio come una nuova comunità, rivelata e determinata da Gesù stesso. Cana è come un intermezzo dei rapporti tra Gesù e sua madre, un inizio che avrà il suo pieno chiarimento e compimento nell’ora della piena rivelazione.
3. Il terzo momento della presenza della “madre di Gesù” a Cana, è segnato dal suo ordine ai servi: “Fate quello che egli vi dirà” (Gv 2,5). Tra le parole di Gesù e questa frase c’è un grande interstizio vuoto che bisogna riempire per comprendere il comando della madre ai servi. Qualcosa deve essere di certo accaduto che ha fatto capire alla madre l’intenzione di Gesù di intervenire e l’ha incoraggiata a comandare ai servi. Al narratore del quarto vangelo, tuttavia, questo non interessa perché gli interessa l’effetto, gli interessa quel comando emblematico che assume il carattere di un invito a tutti gli uomini che intendono sperimentare la potenza gloriosa e salvifica di Gesù: “Fate quello che egli vi dirà”.(Gv 2,5). A Gesù, la madre invia i servi e tutti coloro che lo vogliono ascoltare. L’evangelista racconta, quindi, speditamente l’evento del miracolo e non descrive nemmeno la reazione dello sposo né la probabile inchiesta seguita. Egli registra la conseguenza del segno invocato dalla madre:”Questo inizio dei segni fece Gesù in Cana di Galilea e manifestò la sua gloria e credettero in lui i suoi discepoli” (Gv 2,11). In questa finale è sintetizzata la teologia giovannea: il miracolo viene qualificato come “segno” che rimanda a Gesù e rivela chi è: lo sposo nascosto, il Messia. Lo sposo di Cana è tipo del vero sposo, Gesù, che si rivela offrendo in dono il vino messianico e che attraverso il “segno” rivela la sua gloria, cioè il suo potere salvifico. A tale rivelazione, i discepoli rispondono con la fede: “e credettero in lui i suoi discepoli” (Gv 2,11).

In tutto questo contesto, in definitiva, la “madre” si rivela come la prima credente in Gesù, colei che sapeva già che egli doveva rivelarsi come Messia e come Figlio di Dio, che dando una nuova vita mediante la fede, introduce l’uomo nel mistero del Padre. Non vi è dubbio che, dopo Gesù, nel racconto, il personaggio più importante dell’azione sia la “madre di Gesù”, presentata come il regista nascosto che scatena l’azione, da cui scaturirà l’inizio dei segni. Questa sua posizione di origine, Maria la conserva anche dopo, quando il narratore concludendo il racconto, pone la “madre” subito dopo il Signore: “Dopo questo, discesero a Cafarnao: lui e sua madre e i fratelli e i suoi discepoli….” (Gv 2,12). Da questo momento la madre scompare in mezzo a coloro che seguono Gesù lungo le vie della sua missione, ma riapparire improvvisamente sul Calvario, ai piedi della croce, per essere ancora coinvolta per un altro e ultimo inizio.

La madre nel compimento dell’opera di Gesù, inizio della comunità dei figli di Dio (Gv 19,25-27).

«I soldati, dunque, da una parte (men) fecero proprio questo [cioè non lacerarono la tunica, ma la tirarono a sorte, secondo la profezia del salmo 22,19]. D’altra parte (de) stavano presso la croce di Gesù sua madre e la sorella di sua madre Maria di Cleopa e Maria di Magdala. Gesù, dunque, visti la madre e in piedi presso di lei il discepolo che amava, dice alla madre:Donna, ecco tuo figlio! Quindi dice al discepolo:Ecco la madre tua! E da allora il discepolo la accolse nella sua propria (famiglia). Dopo ciò, sapendo Gesù che ormai tutto era stato compiuto…….»

 Questo è un brano bellissimo e di una ricchezza straordinaria, che si perde se non lo si legge con grande attenzione. Cerchiamo, seguendo l’invito dell’autore, di interpretare il testo, riempiendo i vuoti tra le righe. Più che l’esame minuto su una parola o un sintagma a se stanti, vogliamo affidarci nella nostra analisi alla struttura interna del testo, nel suo legame con il tessuto di tutto il quarto vangelo. 

La madre e il figlio 
N
otiamo subito che in questo brano narrativo (Gv 19,25-27) la presenza della “madre”, in soli tre versetti, ricorre ben cinque volte. Come a Cana, quindi, anche qui è, dopo Gesù, il personaggio principale all’interno del ristretto numero di persone che stanno ai piedi della croce. Il discepolo amato, non compare nel primo elenco delle persone presenti (Gv 19,25), ma viene portato sulla scena dopo e sta in piedi presso la “madre”. Il chiamarla solo “madre” anticipa la rivelazione di Gesù, per cui sua madre diviene la madre del discepolo amato, (“Ecco tua madre”) fondatore e tipo della comunità cristiana dei credenti in Gesù e amati da lui “fino al compimento” (Gv 13,1).

Gesù rivela a sua madre la maternità verso gli altri figli
Dai termini principali che esprimono la polarità “madre – figlio”, passiamo alla forma letteraria del dialogo, che ha un solo interlocutore, Gesù. Egli si rivolge a due persone rivelando il loro futuro che consiste in un nuovo legame familiare. La forma letteraria usata e una formula di rivelazione. Basta ricordare un parallelo all’inizio del quarto vangelo. Giovanni Battista, quando per la prima volta vede venirgli incontro Gesù, annuncia solennemente: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29). Gesù morente si rivolge dapprima alla madre quasi sia suo il compito principale e indicando il discepolo amato, che le stava vicino, “dice alla madre: Ecco il figlio tuo! Quindi dice al discepolo: Ecco la madre tua !” (Gv 19,26). Le due brevi rivelazioni (“Ecco”) si corrispondono polarmente. Maria è resa cosciente che inizia una nuova maternità con  l’inizio della raccolta in unità dei figli di Dio dispersi (Gv 11, 51-52); sarà madre dei credenti in Gesù che, mediante la fede in lui, avranno la vita , quella che sgorga dall’agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo (Gv 19,36), che innalzato da terra sulla croce, attrae tutti a sé (Gv 12, 32-33). Il discepolo amato, pur essendo un personaggio storico, assurge a tipo di tutti i discepoli di Gesù, di coloro che diverranno figli di Dio mediante l’opera di amore compiuta da Gesù con l’innalzamento sulla croce e il dono della vita per le sue pecore (Gv 10, 11. 18-19).

Solo Gesù poteva rivelare la nuova missione di Maria
, essendo lui l’unico rivelatore. Solo Gesù elevato da terra, che aveva amato i suoi fino al compimento, poteva rendere Maria madre di tutti coloro che diverranno suoi fratelli, figli di Dio nel Figlio. Già Origene alla fine del II secolo aveva intuito tutto questo, anche se la sua argomentazione esca dall’intreccio semantico del quarto vangelo:
«Occorre, quindi, avere l’ardire di affermare da una parte che i vangeli sono primizia di tutta la Scrittura , dall’altra che primizia dei vangeli è quello secondo Giovanni, il cui senso profondo non può cogliere chi non abbia poggiato il capo sul petto di Gesù e non abbia ricevuto da lui Maria come sua propria madre. Colui che sarà un altro Giovanni deve diventare tale da essere indicato da Gesù, secondo l’opinione di coloro che pensano rettamente intorno a lei, e ciononostante Gesù dice a sua madre: “Ecco tuo figlio” (e non già “Ecco, anche questo è tuo figlio”), ciò equivale a dire: “Questi è Gesù che tu hai partorito”. Infatti chiunque è perfetto “non vive più”, ma in lui “vive Cristo”; e poiché in lui vive Cristo, quando si parla di lui a Maria si dice “Ecco tuo figlio”, cioè Gesù Cristo».

L’ora non ancora venuta e l’ora venuta della nuova comunità (Gv 2,4 e 19, 25-27). 
Già da molto tempo gli studiosi sottolineano il legame che esiste tra il segno di Cana (Gv 2, 1-11) e la scena ai piedi della croce (Gv 19, 25-27). Più che il termine “Donna” usato da Gesù in entrambe le situazioni nel rivolgersi alla “madre” su cui tanto si insiste, sembra, però, più pertinente al rapporto tra le due scene la motivazione per cui Gesù a Cana non intende intervenire: “Non è ancora giunta la mia ora”. Dal contesto del quarto vangelo l’ora si rivela essere quella dell’elevazione da terra alla croce (Gv 12, 24.31-32). Ed è proprio questa l’ora in cui Gesù rivela pienamente la sua gloria e rivela pienamente alla madre la sua nuova missione, dopo la misteriosa distanza proclamata a Cana (considerata solo l’inizio) e il suo confondersi col gruppo dei discepoli (Gv 2,12, 19,24). La “madre” risulta allora strettamente legata a lui, alla sua ora, alla sua opera d’amore e per questo egualmente legata come “madre” alla nuova famiglia dei nuovi “figli” in Gesù, Figlio del Padre. L’ora di Gesù è, perciò, anche l’ora di Maria, l’ora della sua maternità spirituale alle origini della Chiesa, ai piedi della croce, ove l’opera di Gesù si compie (Gv 19, 28°.30).

l’ora del compimento
Il cuore delle cinque scene che costituiscono per così dire, lo svelamento del significato salvifico di Gesù e dell’opera del Padre portata in lui a compimento
1. il cartello sopra la croce (19, 19-22);
2. la divisione delle vesti (19, 23-24);
3. la madre di Gesù e il discepolo amato e l’affidamento (19, 25-27);
4. bere l’aceto e la parola di compimento (19, 28-30);
5. il colpo di lancia e il suo significato in relazione all’agnello pasquale e al primogenito trafitto (19, 31-37)], è proprio la scena in cui compaiono insieme la madre di Gesù e il discepolo amato, la madre e il figlio. La scena viene messa in risalto dalle due precedenti e dalle due seguenti, perché entrambe rivelano che in Gesù Messia e giusto sofferente (prime due) e agnello pasquale immolato che toglie il peccato del mondo e Primogenito trafitto da contemplare (ultime due), si compiono le Scritture. Nella scena centrale compaiono le persone che erano state più vicine a Gesù: la “madre” nell’Incarnazione e all’inizio dei segni di Cana e il discepolo amato, mentre tutti gli altri personaggi restano in penombra. Il narratore sottolinea che dopo questa scena, Gesù stesso è convinto che “tutto è compiuto” (Gv 19, 28°), cosa che afferma esalando l’ultimo respiro: “E’ compiuto” (Gv 19,30). L’opera di Gesù, quindi, risulta compiuta nel momento in cui ha inizio quella comunità di discepoli che, mandati nel mondo (Gv 17,18; 20,21-23), vi dovranno continuare la sua stessa missione. In questa nuova comunità, costituita come una famiglia, vi sarà una madre, la madre di Gesù. Lei sta all’origine, la più vicina alla croce, la più attratta da lui, credente e amante originaria, che proprio perché tale, Gesù costituisce madre di una nuova famiglia, della sua famiglia spirituale, inviata nel mondo per donargli il perdono dei peccati e la vita.

Il compimento nella famiglia di Gesù, di cui Maria è madre
La conseguenza pratica della consegna testamentaria di Gesù è questa: “E da quell’ora il discepolo la accolse nella sua propria (famiglia)” (Gv 17,27c). Chi dona la madre al discepolo se non Gesù? Da chi viene accolta se se non da Gesù secondo (Gv 1,11-12)? Accogliere la “madre” è accogliere Gesù, è credere in lui. Maria è la madre di coloro che accoglieranno Gesù, che saranno “suoi”, che apparterranno alla sua famiglia, di cui è primogenito. I figli di Dio, raccolti in unità, perché attratti da Gesù innalzato sulla croce, saranno “figli” di Maria, a lei assegnati dal Signore stesso. Essendo madre del Figlio, che muore sulla croce, diventa anche madre di coloro che si radunano sotto la croce, come il discepolo amato. Interrogandoci sugli “spazi bianchi” lasciati dal narratore, ci chiediamo: Che cosa è accaduto dopo? Dagli Atti (At 1,14) che Maria in realtà fu accolta quale madre nella comunità, in mezzo alla quale si dice che c’è “Mariam, la madre di Gesù”. Maria è, dunque,  il polo aggregatore, il centro unitario della nuova famiglia dei figli di Dio.

 

Inserito Domenica 13 Settembre 2009, alle ore 11:53:48 da latheotokos
 
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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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