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  Maternità divina e verginità di Maria in Isidoro di Pelusio 
PatristicaUn articolo Paolo Riva, in La Madonna della Neve, n. 4 - aprile 2013, pp.16-17.

Abbiamo già visto come il concilio di Efeso costituisca un punto di riferimento della teologia dei primi decenni del V secolo e raccolga attorno a se numerose personalità sia in Oriente come in Occidente. Tra di esse non si può dimenticare Isidoro di Pelusio. Nato ad Alessandria, egli ricevette una solida formazione teologica, divenne sacerdote e in seguito si ritirò in un monastero non lontano da Pelusio, nella zona attualmente attraversata dal canale di Suez, ma in passato teatro di una grande battaglia tra i Persiani di Cambise e gli Egiziani che segnò l'inizio della decadenza del grande impero egizio. Isidoro s'interessò ampiamente alle vicende ecclesiali e teologiche del suo tempo. Prese le difese di Giovanni Crisostomo di cui sembra sia stato discepolo; raccomandò a Cirillo Alessandrino una certa moderazione nella polemica con Nestorio: pur sostenendo senza riserve la dottrina cristologica del patriarca di Alessandria, non mancò di rimproverarlo energicamente per il discutibile comportamento avuto al Concilio di Efeso. La sua dottrina dipende totalmente dal pensiero teologico maturato nell'ambiente alessandrino. Isidoro afferma la divinità di Cristo e la realtà della sua natura umana: i due elementi non sono né confusi né separati, ma uniti in una sola persona o postasi. Un linguaggio che sembra annunciare la definizione del Concilio di Calcedonia (451).
Duemila sono le lettere lasciate da Isidoro. Esse abbracciano il periodo storico che va dal 393 al 433 e sono indirizzate a una grande varietà di persone, tra le quali anche l'imperatore Teodosio II al quale raccomanda di non interferire nelle faccende ecclesiali.
Il suo pensiero mariano è espresso soprattutto nelle lettere. Non ci sono dubbi nell'affermare il carattere divino della maternità di Maria, la Theotókos. Tuttavia non rinuncia a spiegare la peculiarità cristiana di questa maternità rispetto a quelle offerte dalla mitologia: «Che cosa di più e di diverso dalla nostra religione credono quelli che camminano nell'errore e i Greci, politeisti, che annoverano tra le loro divinità anche una madre degli dèi, dal momento che anche noi crediamo nella Madre di Dio? Ascolta dunque brevemente ciò che con cuore sincero desidero che tu comprenda. I pagani conobbero una madre dei loro dèi, anche dei più grandi, la quale ha concepito e partorito nella libidine e negli amori più nefandi, al punto che questa madre degli dèi non ha ignorato né tralasciato nessun genere di lascivia. Ma quella che noi confessiamo essere la madre del nostro Dio incarnato e che ha concepito un Figlio unigenito in maniera assolutamente unica, questa madre è ignorata davvero da tutte le nazioni degli uomini, i quali non sanno né dell'assenza del seme virile né della mancanza di qualsiasi macchia».
Dunque, da Maria Cristo è nato verginalmente e questa verità non può essere messa in dubbio nemmeno dal testo Paolino di Gal 4,4, dove l'Apostolo parla di Cristo nato da donna: «Anche una vergine è donna, quantunque sia intatta: donna nel suo aspetto, sebbene inviolata; donna secondo la natura, quantunque ignara del rapporto sessuale. Che questa considerazione non sia estranea al nostro discorso circa la nascita corporea del Salvatore dalla santa Vergine Maria, lo afferma lo stesso Paolo le cui parole alcuni non esitano a corrompere: «Nato da donna» (Gal 4,4). Che cosa fai, o Paolo? Tu chiami donna la Vergine? Certamente, risponde lui. La chiamo donna per la sua natura, ma la ritengo vergine nel mio pensiero. Infatti la vergine è pure una donna, anche se intatta; donna nell'apparenza e nella costituzione fisica, vergine per l'integrità e la purezza (Isidoro di Pelusio, Lettere, 3, 176).
Il parto verginale non solo è stato possibile, ma anche sommamente conveniente, affinché una donna potesse estinguere il debito della prima donna nei confronti dell'uomo. Eva, infatti, era nata verginalmente dal primo Adamo; Maria genera verginalmente il secondo Adamo: «Guarda dunque come l'uomo fu estratto dalla terra, la donna da Adamo, e ambedue senza accoppiamento. Siccome dunque la donna era in certo qual modo debitrice verso l'uomo, dalla cui costola era stata estratta senza inseminazione, la madre del Signore ha estinto questo debito restituendo [il secondo] Adamo incarnato senza seme».
Isidoro affronta le obiezioni che vengono mosse alla verginità sulla base del testo di Mt 1,25: "Giuseppe non la conobbe finché partorì il proprio Figlio". E spiega: «Tu credi, come talvolta hai detto, che quello che viene riportato negli oracoli divini - Mt 1,25 appunto - sia di scandalo ai Giudei perché sarebbe come se volesse dire che in seguito lo sposo Giuseppe si unì carnalmente alla Vergine. Ebbene sappia questo popolo ingiurioso e ingrato che il termine finché, nella divina Scrittura, si trova spesso usato per indicare un tempo indeterminato. Ecco alcuni esempi: "Finché ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi" (Sal 10,9). Qui il termine significa per sempre. "E la colomba non ritornò da Noè finché non si asciugò la terra" (Gen 8,7), è come dire che non ritorno mai. E ancora: "Finché voi invecchiate, io sono" (Is 46,4), dice il Signore, vale a dire: Sono sempre».
Molto bella infine la lettura cristologica della parabola del lievito che fermenta la massa: «Il regno dei cieli viene paragonato ad un lievito, ma questo lievito è l'Incarnazione del Signore e Salvatore nostro, incarnazione esente da qualsiasi peccato, la quale ha fatto lievitare il mondo intero. Infatti mediante l'ipostasi di un solo corpo, preso dalla nostra sostanza e dalla madre di Dio Maria, egli ha rinnovato con una nuova origine tutti gli uomini che incominciano ad esistere fin dalla creazione del mondo».
 

Inserito Sabato 20 Aprile 2013, alle ore 10:33:47 da latheotokos
 
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