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  Le apparizioni mariane e il bisogno umano di tenerezza 
Mariofanie
Il cap. III "Con l'invio della Madre di suo Figlio, Dio risponde al bisogno umano di tenerezza rivelando la sua realtà materna e compassionevole" del libro di Stefano De Fiores, Perché Dio ci parla mediante Maria. Significato delle apparizioni mariane nel nostro tempo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2011, pp. 51-62.


Le apparizioni riguardano l'identità di Maria e l'identità della Chiesa, ma più in profondità rivelano l'identità di Dio. Per capire questa rivelazione occorre partire dal mondo contemporaneo, in particolare dal secolo XX che ha visto il moltiplicarsi delle apparizioni mariane. Orbene, tra le tante definizioni del Novecento, la più terribile ed evidente è quella che vede in esso «il secolo più sanguinario della storia»1. Basti pensare ai 150 milioni di morti ammazzati nelle guerre, di cui 35 milioni di martiri. È sufficiente ricordare gli orrori del fenomeno comunista con i 60 milioni di persone fatti sparire da Stalin nell'arcipelago Gulag, ai 6 milioni di ebrei e polacchi brutalmente eliminati da Hitler nei campi di sterminio, ai 200 mila giapponesi fatti perire dalle bombe americane di Hiroshima e Nagasaki nel 1945... per concludere che mai nella storia si era perpetrata una carneficina di cosi vasta portata. Che cosa fare dinanzi a questa dissennata cultura di morte, che non offre nessun segno di ravvedimento? Non possiamo certo sostituirci a Dio e suggerirgli quello che deve fare per salvare il mondo! Quello che dobbiamo fare è prendere atto come nella nostra epoca, piuttosto che intervenire personalmente, Dio preferisca inviare nella storia umana Maria come messaggera di preghiera, conversione, spiritualità. Si tratta di un invito pressante perché gli esseri umani cambino strada di fronte a un futuro incombente e distruttivo: «Le mariofanie conoscono un'escalation in questo richiamo, perché in esse la Vergine passa dalle parole al pianto e probabilmente alla sanguinazione. È un grido della Madre che assume i toni della profezia e dell'apocalittica per fermare i passi dissennati di tanta parte del mondo e per mostrare in lei il volto misericordioso del Dio Amore»2. A ben esaminare le apparizioni mariane contemporanee, rileviamo facilmente come due aspetti del volto di Dio vengono mediati da Maria: la femminilità/maternità e la compassione/sofferenza.

1. Il volto materno di Dio

Il primo aspetto era molto presente già nell'apparizione di Guadalupe, che la Conferenza Latinoamericana di Puebla (1979) legge come un segno materno del Dio vicino: «Sin dalle origini - nella sua apparizione di Guadalupe e sotto questa invocazione — Maria ha costituito il grande segno, dal volto materno e misericordioso, della vicinanza del Padre e di Cristo, con i quali ci invita a entrare in comunione. Maria fu pure la voce che stimolò l'unione tra gli uomini e i popoli tra loro (n. 282)». Nella sua condizione di donna accogliente e unificante, Maria manifesta il volto femminile e materno di Colui che l'ha inviata nel mondo come sua messaggera: «Si tratta di una presenza femminile che crea il clima di famiglia, la volontà di accoglienza, l'amore e il rispetto per la vita. È una presenza e un sacramentale dei lineamenti materni di Dio. E una realtà cosi profondamente umana e santa da suscitare nei credenti accorate invocazioni d'affetto, di dolore e di speranza (n. 291)». Questo vale anche per le manifestazioni di Maria nelle recenti apparizioni. Esse rispondono all'esigenza di tenerezza e di amore, tali da irrompere nei cuori simili al ferro e al cemento armato delle strutture architettoniche e cambiarli in cuori operatori di pace. Il sociologo Giuseppe De Rita pensa che la figura di Maria risponda a tre bisogni attuali: l'accoglienza, la riflessione, la mediazione. In particolare è necessario passare dall'aggressività all'accoglienza, che si concretizza nella figura di Maria: «Siamo anzitutto una società che vuole recuperare il valore dell'accoglienza, probabilmente perché sente che la vita può esser troppo dura se non si ha rapporto con gli altri; se ci si chiude nella solitudine; se ci si prova solo nella competizione aggressiva ed invasiva; se non si accetta l'altro e l'imprevisto; se non si è in una parola «accoglienti». Ho ascoltato tempo fa preziose riflessioni alberoniane sul valore e sul bisogno dell'accoglienza; ma le riflessioni diventano cultura collettiva se assumono un volto e si impersonificano in un mito; e Maria è in gran parte l'emblema della capacità di accogliere l'imprevedibile, il totalmente Altro»3. Orbene non possiamo dimenticare che «se la glorificata Vergine appare, ciò è dovuto al beneplacito divino-trinitario che continua a inviare la Madre e Serva del Signore nei vari interstizi della storia umana ed ecclesiale»4. Maria nelle apparizioni manifesta «la sua sollecitudine materna per le sorti della famiglia umana, bisognosa di conversione e di perdono»5, non lo fa prescindendo dall'essere inviata da Dio e dal mostrare il volto di Dio, di cui ella è per eccellenza «immagine e somiglianza» (cfr. Gen 1,26). E certamente Dio per rivelare la sua tenerezza materna trova in Maria la creatura più adatta a rivelarla. Maria è icona del Padre generante il Verbo nell'eternità e in lei e mediante lei nel tempo secondo l'umanità. Da qui il passaggio verso la tenerezza materna del Dio d'Israele (cfr. Is 49,15; 66,13; Os 11,1-8) che trova una manifestazione e un segno umanamente comprensibile nella Vergine della tenerezza. Nelle apparizioni Maria si manifesta sollecita per le sorti dell'umanità, vuole scongiurare la guerra per instaurare la pace, per cui dobbiamo accogliere «questi segni profetici di presenza della Madre di Dio, considerandoli come reale irruzione di tenerezza materna nella nostra travagliata esistenza con lo scopo di aiutarci a rileggere e vivere il vangelo (Paul Claudel)»6. A monte di questa tenerezza materna non possiamo non scorgere quella di Dio, da cui promana ogni maternità e tenerezza sulla terra.

2. Il volto compassionevole del Padre

Nell'autunno del medioevo e agli inizi dell'epoca moderna, mentre si sviluppa il culto dell'Addolorata7, le immagini di Maria lacrimano a Pennabilli (1489), ad Assisi (1494), a Treviglio (1522) e a Dongo (1553), dando origine a santuari. Non occorrerà attendere molto per trovare le prime lacrimazioni di sangue: quella di un'immagine a Ponte Nossa (Bergamo) nel 1511; quella di,una statuetta della Madonna troneggiante su una grande falce lunare, che nel 1583 a Copacabana (Bolivia) cambia i tratti del volto e versa lacrime di sangue, e quella avvenuta nel 1598 a Mesagne (Brindisi) dove un'immagine di Maria fu vista da numerose persone lacrimare sangue9. Nel contesto della folgorante campagna d'Italia del generale Bonaparte che avanzava minaccioso nei territori della Chiesa (1796-97), ben 26 immagini della Vergine, di cui 11 Madonnelle, hanno mosso gli occhi10. Lo storico Gabriele De Rosa riferisce di una statua di Maria piangente a Roma nel 1798 davanti a 50.000 persone11. Poi, il 19 settembre 1846, appare sulla montagna di La Salette a Massimino e a Melania, rispettivamente di 11 e 15 anni: con la testa fra le mani piange silenziosamente e le sue lacrime raggiungono il suolo: «Da quanto tempo soffro per voi! Se voglio che mio Figlio non vi abbandoni, devo incaricarmi di pregarlo incessantemente per voi, e voi non ci fate caso. Per quanto pregherete e farete, non potete mai compensare la pena che io mi sono presa per voi». Poi la visione confida ad ambedue i veggenti un segreto, che sarà per essi una fonte d'incomprensioni e di disprezzo nel corso della loro vita12. Nelle ultime mariofanie la Vergine ha rivelato una
profonda umanità, delicatezza e partecipazione psicologica alle sorti del mondo. In lei non è assente talvolta il sorriso, come quando Bernadette la asperge con acqua benedetta, tuttavia una più netta espressione di serietà, dolore, tristezza e perfino di pianto predomina sul volto di Maria nell'arco delle sue apparizioni. La Madre di Gesù piange per i peccati e i mali del mondo e invita alla conversione. Ma mentre nelle suddette apparizioni Maria si mostra afflitta e piangente, e insieme lancia pressanti inviti e chiari messaggi, a Siracusa ella parla attraverso «l'arcano linguaggio delle lacrime», secondo l'espressione di Pio XII.
 Lo stesso Pio XII pone sul tappeto il problema della compresenza nella persona glorificata di Maria della gioia escatologica e insieme di una sensibilità alla situazione difficile dei cristiani e delle loro comunità. Il pontefice lo aveva risolto negando a Maria assunta in cielo qualsiasi sofferenza incompatibile con il suo stato glorioso, ma anche escludendo in lei ogni insensibilità e affermando amore e pietà per i suoi figli ancora pellegrinanti: «Senza dubbio Maria è in cielo eternamente felice e non soffre dolore né mestizia; ma Ella non vi rimane insensibile, ché anzi nutre sempre amore e pietà per il misero genere umano, cui fu data per Madre, allorché dolorosa e lacrimante sostava ai piedi della Croce, ove era affisso il Figliuolo»13. La figura di Maria cessa in tal modo di essere considerata come rutilante di gioia per la visione e il possesso beatifico di Dio unitrino, ma chiusa nella sua letizia inalterabile e congiunta a un'impassibilità di tipo stoico. Potrebbe allora, rivolta alla terra, esclamare con Beatrice:
Io son fatta da Dio, sua mercè, tale,
che la vostra miseria non mi tange,
né fiamma d'esto incendio non m'assale14.
Pio XII modifica questa immagine gloriosa, ma impassibile di Maria. Nega a lei il dolore e la tristezza come sono sperimentate nella vita terrena e perpetua in lei, secondo l'effato scolastico della gloria che perfeziona la grazia, la sua situazione di «Madre... dolorosa e lacrimante... ai piedi della Croce». Maria, pur felice, è compassionevole nei riguardi del «misero genere umano, cui fu data per Madre». La riflessione teologica ha cercato di spiegare questa condizione paradossale della Vergine glorificata ricorrendo ai vari strati compresenti nella psicologia umana e alla felicità più piena correlata alla fase finale dell'escatologia15. Per il card. Martini «la felicità dei santi non è cosi imperfetta da non accettare di coinvolgersi nell'umana infelicità»16. Soprattutto è la Bibbia a prendere le distanze dalla «concezione di Dio come di un essere distaccato e non emotivo», che «è totalmente estranea alla mentalità biblica»17, come afferma Abraham Heschel (1972), una delle figure più rappresentative dell'ebraismo contemporaneo. Egli ci riconduce al Dio biblico pieno di pathos, che prende sul serio l'uomo e vibra d'amore, di tenerezza e di gelosia per il popolo con il quale ha stabilito una relazione viva d'alleanza (cfr. Es 34,6-7; Sal 86,15). Giustamente Rosaria Ricciardo si pone al seguito di un biblista e pastore del calibro del card. Carlo Maria Martini per concludere che in questa descrizione «non si tratta di un antropomorfismo», bensì dell'applicazione della dottrina sull'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio18, che quindi «sarebbe troppo poco parlare di sofferenza di Dio, perché equivarrebbe ad attribuirgli qualche imperfezione», e che si tratta di attribuirgli «semplicemente più sensibilità»19: «Dio [...] non se ne sta come uno spettatore disinteressato o un giudice freddo e lontano, ma «soffre» per noi e con noi, per le nostre solitudini incapaci di amare, perché Lui ci ama. La «sofferenza» divina non è incompatibile con le perfezioni divine: è la sofferenza dell'amore che si fa carico, la «com-passione» attiva e libera, frutto di gratuità senza limiti»20. Indubbiamente anche oggi viene sostenuta da parecchi autori la concezione scolastica e tomista dell'immutabilità di Dio21, che esclude in lui ogni cambiamento e proietta ogni mutazione nella creatura, e quindi non si è d' accordo che si parli di dolore in Dio. Ma questa stessa teologia deve ammettere non solo che il Verbo incarnato «unus de Trinitate passus est», come affermano i padri della Chiesa, ma pure che il Padre è «pieno di compassione» e «grande nell'amore» (Sal 145,8-9), «misericordioso e pietoso» (Es 34,6). La posizione di Giovanni Paolo II si pone in questa linea di fedeltà alla Bibbia, escludendo da Dio quel dolore che implica imperfezione, ma non certamente una compassione partecipante: «La concezione di Dio, come essere necessariamente perfettissimo, esclude certamente da Dio ogni dolore, derivante da carenze o ferite [...]. Ma più spesso il Libro sacro ci parla di un Padre, che prova compassione per l'uomo, quasi condividendo il suo dolore (Dominum et vivificantem,
39). Rosaria Ricciardo può concludere che «in Dio vi è una capacità di sofferenza che non comporta imperfezione ma che nasce dall'amore, si tratta di un soffrire attivo, il soffrire, appunto, dell'amore»22. La Madre di Gesù è particolarmente adatta a esprimere il dolore del Padre, poiché ella ha generato nel tempo senza concorso di un padre quello stesso Figlio che il Padre ha generato nell'eternità senza il concorso di una madre. Senza dubbio chi si avvicina di più alla sofferenza del Padre celeste è la Madre terrena che piange lo stesso Figlio sottoposto alla croce e al sepolcro. Perfino un teologo evangelico come J. Moltmann scorge nella Pietà l'icona della compassione del Padre: «Spesso l'elemento femminile del dolore di Dio è stato raffigurato nell'immagine della Pietà, della Madre affranta con il Figlio morto in grembo. Ma il dolore di Maria non è forse il riflesso umano e l'inizio della partecipazione cristiana alla pena che il Padre divino prova per la morte del Figlio?»23. La sofferenza di Maria e le sue lacrime rivelano il pathos del Padre, nel cui cuore compassionevole ormeggia misteriosamente la sofferenza di Cristo e della Chiesa, la passione di Cristo, l'abisso di dolore fisico, morale e spirituale da lui sofferto e offerto al Padre per la salvezza degli uomini, e i gemiti inenarrabili dello Spirito (Rm 8,26) che fanno tutt' uno con i gemiti della creazione (cfr. Rm 8,22-23), fino a che la figliolanza divina si manifesterà in essa.
 

NOTE
1 Per un'analisi del «difficile secolo XX», cfr. S. De Fiores, «Massimiliano Maria Kolbe», in Maria. Nuovissimo Dizionario, Edizioni Dehoniane, Bologna 2008, III, 614-619.
2 S. De Fiores, «Apparizioni», in Maria. Nuovissimo Dizionario, Edizioni Dehoniane, Bologna 22008, I, 59.
3 G. De Rita, «Torna la Madonna sull'onda di "Va' pensiero"», in Il Corriere della Sera, 11 gennaio1987. Si aggiunga il pensiero dei «grandi timori» dell'umanità per il futuro del mondo. Se prevarranno le forze distruttive la terra diventerà un deserto. E si capirà che Giovanni Paolo II in tutto il suo apostolato e nell'istituzione dell'anno mariano (1987-88) «dà segno e voce alle paure come alle speranze dei figli rivolgendosi alla Grande Madre» (R. Doni, «Non si torna alla Madonna per necessità sociale», in Il Tempo, 15 gennaio 1987).
4 Perrella, Le mariofanie, 164.
5 Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata mondiale del malato 1997, n. 1, in Insegnamenti, XIX/2, 1996, 561.
6 S.M. Perrella, Le apparizioni mariane. "Dono "per la fede e "sfida"per la ragione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007, 20.
7 «Al tramonto di un medioevo lacerato dalle guerre, dalle carestie e dalle pestilenze, che accentua gli aspetti dolorosi, drammatici o tragici della pietà mariana (Vergine della Pietà o Pietà, sprofondata nella contemplazione del Figlio crocifisso; Vergine dei Sette dolori, trafitta da spade nella tradizione spagnola), la presenza mariana è inscritta nel cuore della vita religiosa della cristianità: la figura compassionevole della Vergine di misericordia domina l'arte religiosa al volgere dei secoli XV e XVI, riparando sotto il suo vasto manto l'intera umanità inginocchiata in preghiera» (J. Bouflet - Ph. Boutry, Un segno nel cielo. Le apparizioni del& Vergine, Marietti, Genova 1999, 25).
8 Cfr. «Santuario di s. Maria delle lagrime a Treviglio», in A. Riccardi, Storia dei santuari più celebri di Maria santissima sparsi nel mondo cristiano, Napoli 1846, 15-25.
9 G. Hierzenberger — O. Nedomansky, Tutte k apparizioni della Madonna in 2000 anni di storia, Piemme, Casale Monferrato 1996, 137 e 142.
10 M. Cattaneo, Gli occhi di Maria sulla Rivoluzione. «Miracoli» a Roma e nello stato della Chiesa (1796-1797), Istituto Nazionale di Studi Romani, Roma 1995, 41 e 29.
11 G. De Rosa, «L'impact sur l'Europe révolutionnaire (Rhénanie, Suisse, Italie)», in B. Plongeron (ed.), Pratiques religieuse dans l'Europe revolutionnaire (1770-1820), Turhout 1998, 36.
12 Dopo tante controversie, si fa strada un giudizio sostanzialmente positivo di Melania e Massimino come cristiani ferventi, anzi mistici e abbandonati alla volontà di Dio. Cfr. la ricerca Fondamentale di J. Stern, La Salette. Documents authentiques, 3 volumes, Paris 1980, 1984, 1991, completata dalla tesi difesa presso la Pontificia Università S. Tommaso e contenente il segreto inviato a Pio IX nel 1851: M. Corteville, La «grande nouvelle» des bergers de La Saiette. Le plus grand amour, les plus fortes expressions, vol. I, L'apparition et ses secrets, Rome 2002. Inoltre M. Corteville - R. Laurentin, Decouverte du secret de La Salette, Paris 2002; A. Sardone, «Melania Calvat: creatura del mistero, mistero di creatura. La pastorella de La Salette a cento anni dalla sua morte e sant'Annibale Maria Di Francia», in Studi rogazionisti 25 (2004), n. 85-86, 9-143; A. Sardone (ed.), Melania Calvat. Corps 1831-Altamura 1904, Altamura 2004.
13 Pio XII, Radiomessaggio al Congresso Mariano di Sicilia, 17-10-1954. La problematica è presente in La Salette per spiegare la Vergine gloriosa apparsa piangente: cfr. La Salette. Dossier du 150émé anniversaire de l'apparition 1846-1996, in Marianum 59 (1997) 183-245.
14 Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, II, 91-93. Dante, seguendo gli scolastici, vuoi dire che la gioia di Beatrice non è turbata dalle pene dei dannati, che ella vede senza essere vista.
15 Cfr. S. De Fiores, «Gesù piange su Gerusalemme, Maria piange a Siracusa», in Comprenderanno gli uomini l'arcano linguaggio di quelle lacrime? Atti della Prima Settimana di Studi Mariani a Siracusa, 19-24 giugno 1978, Siracusa 1979, 26-28.
16 C.M. Martini, Maria soffre ancora, Gribaudi, Milano 1997, 31.
17 A.J. Heschel, Il messaggio dei profeti, Boria, Roma 1981, 53. Per salvare la libertà di Dio egli precisa: «I profeti non identificano mai il pathos di Dio con la sua essenza, perché per essi il pathos non è qualcosa di assoluto, ma una forma di rapporto» (ivi,18). Cfr. P. Gamberini, «Il "pathos" di Dio nel pensiero di Abraham Joshua Heschel », in La Civiltà Cattolica 1998, II, 450-464.
18 C.M. Martini, «Un dono decisivo per il nostro cammino pastorale», in C.M. Martini - G. Barrette - F. Brovelli, «Da quel momento la prese con sé». Maria e gli «affètti » del discepolo, Ancora, Milano 1994, 133.
19 C.M. Martini, «Il sensibile nella vita di Maria», in Aa. Vv., «Da quel momento la prese con sé», 84. Aggiungiamo la frase realistica di s. Anselmo: «Tu, Domine, summe sensibilis es» (Proslogion, c. 6).
20 C.M. Martini, Parlo al tuo cuore. Per una regola di vita del cristiano ambrosiano. Lettera pastorale per l'anno 1996-1997, Milano 1996, 17-18.
21 Cfr. C. Charamsa, «Davvero Dio soffre! La tradizione e l'insegnamento di s. Tommaso», in Sacra doctrina 48 (2003), quaderni 1 e 2.
22 Cfr. anche l'articolo di J. Galot, «Dio soffre!», in La Civiltà Cattolica 1990, I, 533-545, che illustra la sofferenza delle tre persone divine.
23 J. Moltmann, Nella storia del Dio trinitario. Contributi per una teologia trinitaria, Queriniana, Brescia 1993, 57.

Inserito Mercoledi 27 Novembre 2013, alle ore 13:23:32 da latheotokos
 
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