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  Nato da donna (Gal 4,4): prospettiva antropologica 
Bibbia

Di Mercedes Navarro Puerto, in Theotokos 3(1995), n. 2, pp.557-569.



L'espressione nato da donna evoca quesiti fondamentali del mistero dell'incarnazione e della redenzione: quesiti che, per quanto approfonditi, mai si esauriscono. Per quanto mi riguarda, partirò subito dal testo, al fine di inquadrare adeguatamente, dal punto di vista mariologico, gli sviluppi della teologia antropologica che ne derivano.

1. PARADOSSI TESTUALI

Abbiamo qui un testo esplicitamente e intenzionalmente paradossale. Se siamo d' accordo sul fatto che la forma, con la quale il messaggio biblico viene espresso, è essa stessa un messaggio, ne consegue che bisogna prestare attenzione al paradosso quale parte espressiva dell'incarnazione e della redenzione' e, più concretamente, a quel che concerne la libertà cristiana e il suo radicarsi nell'incarnazione. Senza addentrarmi nell'analisi esegetica, che do per scontata - trattandosi di un testo ampiamente studiato dai biblisti -, parto dal testo stesso. Non posso, tuttavia, né voglio tralasciare un riferimento generale che ne inquadri l'unità e il senso dall'interno del contesto. Nella seconda parte della Lettera ai Galati, Paolo affronta gli argomenti dottrinali riguardanti la libertà cristiana, che si oppone alla Legge e la supera2. Poi, all'inizio del cap. IV, descrive in modo grafico e sommario il primo periodo della storia della salvezza, servendosi dell'esempio dell'erede minorenne, bisognoso di tutela fino a quando non giunga alla necessaria maturità. Paolo, però, non porta innanzi sino alla fine l'immagine dell'erede: salta la gradualità sequenziale della maturità e introduce l'intervento divino, mediante il quale il minorenne può godere l'eredità; e subito, per concludere, parla del secondo e definivo tempo della salvezza, aperto dal Figlio di Dio nato da donna, che introduce la libertà definitiva. E' importante ricordare che Paolo tratta della libertà nella precisa cornice dell'incarnazione e della redenzione; questo è testimoniato sia dall'inciso di cui ci occupiamo, che dall'utilizzazione del verbo riscattare (εξαγορÜση), di cui Paolo si serve nell'argomentazione3. La prima indicazione del paradosso viene a trovarsi nella locuzione γενüμενο εκ γυναικüüς - molto in uso nell'ambiente ellenistico ed ebraico per indicare la natura umana di una persona, accentuandone l'aspetto di fragilità4 - cui Paolo ricorre per inquadrare adeguatamente tanto la filiazione di Gesù, quanto la trasformazione della filiazione del cristiano e della cristiana. Ma l'espressione serve da compendio, perché contempla implicitamente la finitezza, la mortalità propria della natura umana che collega l'incarnazione del Figlio di Dio alla redenzione. Inoltre, la frase fa parte di un argomento espresso formalmente in un paio di paradossi5. Il discorso si capisce adeguatamente solo se i paradossi sono percepiti come tali. Entrambi appaiono in rapporto tra di loro tramite un discorso kenotico o discendente e preceduti dalla premessa: Dio inviò il suo Figlio.

2. «NATO DA DONNA»: ROTTURA DELLA GENEALOGIA PATRIARCALE

A mio avviso, non si può separare questo testo dal contesto nel quale Paolo proclama l'uguaglianza in Cristo degli esseri umani a tutti i livelli: "Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a Cristo, allora siete seme di Abramo, eredi secondo la promessa" (Gal 3,28-29). Con un gioco paradossale, Paolo ha cambiato il senso del seme giudaico pervenuto dalla sua fonte primigenia, Abramo. Dal momento in cui Paolo universalizza la discendenza, l'uso e il concetto di discendenza, cosi come anche il contenuto della genealogia ebraica, cambiano totalmente di significato. Questa rottura decisamente universale serve ad inquadrare i primi versetti di Gal 4. Per ora è sufficiente averlo indicato, perché questo lavoro non intende soffermarsi su tale contesto. Nel primo paradosso di Gal 4,4 Paolo parla di due filiazioni in Gesù: Figlio di Dio e nato da donna, allo scopo (ινα) di mostrare la filiazione adottiva del credente. Tra le due filiazioni di Gesù vi è, tuttavia, un profondo iato, una ellissi e un vuoto che si rifanno a un nuovo ordine genealogico, attraverso il quale si giunge alla filiazione del credente, filiazione che Paolo formula cosi: "Tutti voi, infatti, siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù" (Gal 3,26), precisamente prima della grande proclamazione dell'uguaglianza: "Non c'è più giudeo né greco, schiavo né libero, uomo né donna". Questo nuovo ordine spezza l'antico. I Patriarchi e la Legge iniziarono e conservarono una via per la quale il credente ebreo diventava figlio del popolo. Questo, a sua volta, era i! figlio primogenito di YHWH (cf Es 4,22), il figlio libero. Solo attraverso quella via, la filiazione e l'appartenenza nella libertà erano possibili. Il passaggio attraverso la circoncisione era una condizione sine qua non: un passaggio che di per sé escludeva sia i pagani che le donne. La promessa rimaneva circoscritta. Anche se pagano, un maschio, facendosi circoncidere, poteva entrare a far parte della Promessa, del popolo e della filiazione. La donna, invece, giudea o pagana che fosse, rimaneva emarginata. Che Gesù sia nato da donna suppone un salto nella via mediatrice della filiazione: implica un profondo iato. Non è forse, Gesù, figlio della storia ebraica e, in definitiva, un circonciso? In che modo Egli è figlio di Dio, e in che modo è umano se non ha sperimentato la legittimità del padre giudeo? Dal momento che non c'è posto per questo padre legittimo e c'è un vuoto nell'ambito della libertà, Paolo dà per annullato il sistema genealogico ebraico6. L'Incarnazione di Dio in Gesù non soltanto prescinde dalla genealogia, ma introduce anche dei criteri rivoluzionari su questo punto. La genealogia ebraica ha funzioni importanti nell'ordine patriarcale. Intorno ad essa è organizzata la struttura dell'alleanza, e questa, a sua volta, riceve l'impronta più umana nel segno e nel simbolo della circoncisione, che perpetua una determinata appartenenza ed inizia e prolunga un certo tipo di filiazione. Tutta la storia di Israele passa attraverso questa filiazione. In essa si prolunga la promessa ed ogni israelita trova il suo posto e il suo futuro. La genealogia è la memoria viva del padre e dei padri; sfida la morte appellandosi alla fedeltà di Dio. L'immortalità, cosi, termina di essere un fatto puramente umano per acquistare una categoria sacra, potente e indistruttibile. Ma quest'ordine visibile, l'ordine della salvezza, è sostenuto dall'invisibile via attraverso la quale la genealogia diviene possibile: l'emarginazione della donna nel sistema. Cosi, ciò che di umano è tolto dalla legittimità della genealogia maschile, acquista livelli di realizzazione religiosa grazie alla emarginazione della donna. In Israele, i maschi vivono perché le donne muoiono7. Paolo, pur presentando molte incongruenze su questo punto, sembra aver chiaramente compreso che l'universalità della filiazione passa attraverso l'abolizione dell'ordine genealogico ebraico, quantunque egli non ne tragga tutte le conseguenze. Comprende che Gesù ha abbattuto una volta per sempre l'ingiustizia strutturale di quell'ordine. Pertanto, Gesù è
nato ala donna, in coerenza con lo stesso messaggio del vangelo e il modo nel quale egli stesso si presenta. Il paradosso esprime una verità che si capisce o si intuisce solo se le due filiazioni sono messe insieme, in modo che l'una dica dell'altra qualcosa di unico e originale, creando una verità più profonda che non può esser sottoposta a spiegazione razionale: Figlio di Dio nato da donna. Ciò detto, possiamo soffermarci a parlare della donna da cui il Figlio di Dio è nato. Il paradosso, che abbraccia i diversi soggetti (Dio, Gesù e la donna da cui è nato), offre l'inquadratura e la chiave d'interpretazione. Questa donna, nel suo ruolo materno, non può essere compresa senza un riferimento a Dio, perché la sua maternità assume significato dalla paternità di Dio. Gesù è il Figlio condiviso, ma paradossalmente, dato che è divino e umano. Il paradosso unisce entrambe le realtà in una nuova realtà assolutamente originale: d'ora innanzi la paternità di Dio può essere compresa solo alla luce della maternità di Maria, e la maternità di Maria assume significato solo dalla paternità di Dio.

3. LA NUOVA PATERNITÀ DI DIO

Il nuovo ordine, che ha infranto l'antico ordine genealogico, situa la paternità di Dio nell'orizzonte umano universale e libero. La paternità di Dio in relazione a Gesù viene a trovarsi in stretto rapporto con la maternità della donna. Ma questo rompe le analogie e crea un simbolo dai contenuti I nuovi per entrambi i ruoli. La paternità di Dio in relazione a Gesù non assume i simboli delle paternità conosciute, ma, all'opposto, come si è già detto, rompe la legittimità di tali analogie. La sola, che le conferisca qualcosa di simbolico, è la maternità. La donna, simbolo della proto-umanità, muove a considerare la paternità di Dio come qualcosa di radicale e di universale. Indubbiamente, questa donna rimanda a Eva e regge l'argomentazione paolina nella Scrittura, in modo implicito, sin dal principio, da quando cioè la stessa realtà ebbe inizio. Come Eva nella Genesi rinvia linguisticamente e semanticamente a YHWH8, di modo che Eva (quella che dà vita, vitalità) è impronta e icona del Dio creatore, cosi la donna dalla quale nasce Gesù, è impronta e icona del Dio di cui Gesù è Figlio. Ma in quale senso? La frase, espressiva della vulnerabilità e fragilità di ciò che è umano, proietta luce sull'identità di Gesù quale Figlio di Dio. Egli è Figlio di Dio, ma è anche profondamente e radicalmente umano; vulnerabile, come la sua morte sta a dimostrare, fragile e debole. Il corpo lo rende universalmente umano, mutando cosi il volto della paternità divina e la sua stessa ermeneutica. A questa paternità possono accedere tutti coloro che, nella fede, hanno ricevuto la filiazione divina. L'espressione paolina rimanda a un problema giuridico: come si possa ricevere la filiazione (adottiva). E' un nuovo diritto che scaturisce dal nuovo ordine. Il diritto del padre resta abolito. L'assenza di padre giudeo o di altro equivalente, si fa sentire anche nel discorso giuridico. Non è più possibile il padre naturale: la situazione di adozione implica un tipo di libertà che concerne profondamente la natura della filiazione. Dio non è un padre naturale, dato e condizionato dall'esterno del soggetto. Nemmeno il cristiano o la cristiana sono figlio o figlia naturale con una relazione prestabilita, dove il soggetto non ha né arte né parte. Il vincolo della fede è un vincolo intrinsecamente libero; e questa condizione gratuita e libera rimanda a una visibilizzazione originale che include tutti gli esseri umani, in contrasto con i dati dell'Antico Testamento. Nella Bibbia ebraica, infatti, sono visibili gli uomini. Ma che ne è delle donne? Sono visibili anch'esse? A quali condizioni? Vi è certamente una visibilità biblica per le donne: la visibilità dei loro corpi, dei loro seni, per la maternità. Perciò il luogo da esse occupato nella genealogia è visibile solo attraverso gli uomini; le donne rimangono in silenzio, sono collaterali e appaiono solo quando, per eccezione, la loro sterilità minaccia il futuro, il sistema e, soprattutto, la promessa. Questa viene interpretata letteralmente, come successione di generazioni fisiche. A questa visibilità ridotta si oppone l'orizzonte nel quale Gesù colloca la filiazione, appellandosi alla dimensione della fede presente nella promessa.

4. LA NUOVA MATERNITÀ DI MARIA

Quanto detto sopra aiuta a vedere la maternità di Maria in una nuova dimensione. La donna, da cui Gesù è nato, va intesa in un duplice e ampio significato, quello di donna concreta e storica - Maria di Nazareth  - e quello di umanità. Grazie alla nuova paternità di Dio e al nuovo ordine, l'umanità, simboleggiata da Maria, rende possibile la filiazione; vale a dire la fede che porta alla filiazione. Ma la donna non è soltanto l'umanità: è anche Maria, persona storica, e cioè la soggettività singolare irrinunciabile di una persona concreta. La maternità di Maria di cui parla Paolo - con espressione indeterminata che ne omette il nome e il ruolo -, appare nello stesso orizzonte critico e nuovo dei quattro vangeli; e cosi dev'essere interpretata. In nessun testo la maternità biologica appare magnificata o esaltata da Gesù. Nei pochi testi in cui essa viene elevata o messa in evidenza, il contesto è cosi ben definito che non dà adito a dubbi. Quando Elisabetta proclama beata Maria (Lc 1,45), è sottolineata la sua condizione di creden
te e non quella di madre. Ugualmente, nella scena della vocazione, l'accento è posto non sul fatto della maternità, ma della chiamata di Maria e della condizione di Figlio di Dio da parte di colui che nascerà. La maternità di Maria appare non soltanto discreta, ma anche esplicitamente e accuratamente relativizzata. Da questa relativizzazione del ruolo, possiamo recuperare altri tratti presenti nel paradosso riguardante Maria. Qui ella è donna, e come tale la si riconosce madre di Gesù nell'assenza di un padre giudeo. Pertanto, il suo nuovo riferimento non può essere assolutamente l'ordine nel quale venivano iscritte la paternità e la maternità. Maria si trova nel cuore stesso della rottura dell'antico ordine; alla frontiera che divide l'uno dall'altro in una situazione paradossale rischiosa e drammatica. Sociologicamente e storicamente Maria apparteneva al sistema patriarcale israelitico, ma personalmente fu chiamata ad annullare tale sistema con il suo procedimento di fede. Se per la sua condizione sessuata (donna), non appartenne mai alla genealogia patriarcale, ella non vi appartiene nemmeno ora per criteri interni al nuovo ordine evangelico. Ma se quella genealogia, come via alla promessa, la situava al margine, in un ordine collaterale, ora il margine costituisce il punto di partenza dell'incarnazione stessa. E se quella genealogia israelitica prolungava la vita in una visione speculare e narcisistica, di padre in figlio per successive generazioni, in un falso superamento della mortalità, ora la nuova paternità di Dio e la maternità di Maria sottolineano paradossalmente la mortalità come condizione redentrice in cui l'incarnazione fu realizzata. L'incarnazione ha significato solo nell'opera di redenzione e liberazione. La redenzione può realizzarsi solo nell'incarnazione. Maria, in quanto donna, immagine di fragilità, finitezza e mortalità dell'umano, è simbolo della profondità e radicalità del mistero dell'incarnazione e redenzione di Gesù. L'umano, a partire da Maria, indica la nuova condizione. Come essere umano, Maria è chiamata dal Vangelo a riscoprire la sua qualità di persona. Per questo, secondo certi schemi letterari, ella parte dalla sua maternità. Ci troviamo qui di fronte a un nuovo paradosso antropologico: là, dove prima la madre occultava e sostituiva la donna, ora il Vangelo colloca la chiamata paradigmatica di Maria, al fine di scoprire ciò che è umano e personale in un orizzonte nuovo che spiazza quello materno. Con Maria, tutta l'umanità riceve tale chiamata: ogni vita è importante in se stessa, e non per la sua capacità di prolungarsi e di prolungare il futuro per mezzo della discendenza9.

5. LA NUOVA CORPOREITÀ DELL'INCARNAZIONE (NÉ MASCHIO, NÉ FEMMINA)

Questa nuova prospettiva dell'umano, inaugurata da Maria e compiuta da Gesù, ci porta a riflettere sulla carne, vale a dire sulla corporeità e sessualità umana. L'ordine genealogico dà significato a un determinato corpo sessuato e riproduttore nel quale l'organo maschile, sin da Abramo, diviene il luogo santo dell'alleanza10, dalla cui fedeltà dipende il compimento della promessa. Questo corpo, che implica una determinata sessualità, rende figli di Dio per il fatto che è una partecipazione alla sua paternità: è un corpo che genera rapporti di filiazione tra uomini e condiziona un determinato tipo di relazioni umane. Il vero vincolo dell'alleanza è costituito dal rapporto tra padre e figlio; la donna è soltanto il veicolo attraverso il quale ciò diviene possibile. La corporeità riproduttiva dell'uomo dà un determinato significato alla corporeità riproduttiva della donna. La sessualità dell'uomo israelita definisce normativamente la sessualità umana della donna. Essa finisce con l'essere un utero disponibile, perché è, soprattutto, un organo riproduttivo di se stesso prolungato nel tempo. Percepiamo cosi ancora una volta che la corporeità significata dall'uomo vive grazie alla corporeità della donna che muore. L'incarnazione di Dio in Gesù cambia radicalmente il significato della corporeità umana, il senso della generazione, della stessa sessualità e delle relazioni. Ciò che prima rimaneva imprigionato nel cerchio creato dall'elemento maschile, si apre ora e si definisce con criteri tali che soltanto la libertà umana può accettare o rifiutare. A partire da questo momento, non si generano più figli legittimi o illegittimi in virtù del corpo fisico o naturale, né più l'ordine sacrale poggia sulla biologia. D'ora innanzi, la corporeità, la sessualità e le relazioni umane passano attraverso la Parola e la libera fede di ogni essere umano11. La filiazione di Gesù prescinde dall'organo riproduttore dell'uomo israelita. Cosi il grembo di Maria viene a trovarsi in un diverso orizzonte che gli conferisce un altro significato. Il suo grembo non si riferisce necessariamente all'uomo, bensì a una Parola che offre un significato nuovo a tutta la sua corporeità, alla sua sessualità e alle sue future relazioni. Il prescindere dalla necessità (necessarietà) di un dato riferimento biologico, e il sollecitare da lei una parola: tutto ciò significa che la sua corporeità sessuata e le sue relazioni recuperano una libertà da secoli sottratta all'umanità: uomini e donne, padri e madri, figli e figlie. Il corpo della donna, il corpo di Maria e tutta la corporeità umana assumono nuovo significato di fronte al dato di fede che viene dalla Parola. Pertanto, Maria è la donna storica al cui corpo Dio dona un nuovo significato con la sua Parola, ma è pure la corporeità umana, finita, vulnerabile, fragile e mortale che Dio trasforma con la sua Parola, o meglio, con il dialogo nel quale la sua divina Parola suscita una parola profondamente umana. Cosi il dialogo renderà possibile il Verbo. Maria, come corpo parlato e corporeità parlante12, favorisce una ri-creazione della corporeità che rimanda alle origini, a quando, cioè, il corpo differenziato della donna e dell'uomo erano, soprattutto, un corpo parlato13, capace di in-corporare la conoscenza che rende visibile la finitezza nel rischio della libertà. Maria, prima di offrire il suo corpo al progetto di Dio, offre la sua parola in sintonia con l'incontro che ha luogo nella scena della sua vocazione. Il corpo riproduttivo della donna, che come riproduttivo doveva osservare la Legge, vale a dire, purificarsi prima di accedere alla relazione con il sacro, diventa, ora, un corpo, una umanità universale che, ricca del nuovo significato conferitole dalla parola e dalla fede, rende possibile la filiazione j adottiva. Inoltre, questo nuovo corpo è un corpo esplicitamente relazionale: fa si che Gesù sia indicato tanto come Figlio di Dio, quanto come nato da donna, o figlio della donna e di ciò che è umano. Ma questo corpo relazionale è anche retto dall'ordine della fede, della Parola per cui è possibile un nuovo tipo di filiazione: quella adottiva. Il corpo dell'incarnazione e della redenzione è corpo di una visibile fragilità che, paradossalmente, manifesta la propria libertà. In tal senso l'essere umano si identifica con il proprio corpo, come corpo nuovo o rinnovato, come corpo che, in questo nuovo significato e libertà, già comincia a essere risorto. Solo a questo corpo umano fa riferimento Gesù. Lo dimostra il modo con il quale egli, stando ai vangeli, tratta Maria. Per chiamarla, sulle sue labbra non fiorisce mai il termine madre. I vangeli precisano accuratamente il vocabolario che Gesù adopera a tale riguardo. Saranno gli altri e le altre - narratori, personaggi, coetanei... - a dire la madre di Gesù o sua madre. Gesù non ricorre mai a queste parole. Egli afferma solo la paternità di Dio e soltanto si dice Figlio di Dio suo Padre. Partendo dal corpo di Maria, da cui nasce Gesù, dire incarnazione è dire che invece di un padre giudeo vi è un nuovo significato della genealogia, della sessualità umana e delle diverse possibili relazioni: l'incarnazione offre all'umanità un corpo, una sessualità e delle relazioni libere, mediate solo dalla parola gratuita che suscita dialogo - come affermano in più occasioni i vangeli14 - spostando il campo semantico del grembo al campo semantico dell'udito, e creando cosi sulle labbra di Gesù un diverso simbolismo corporale. Tale spostamento indica simbolicamente una liberazione antropologica per il fatto che rende visibili nel soggetto capacità specificamente umane, come l'attenzione, la relazione (parola-ascolto-dialogo), la libertà, la decisione... In tale capacità si inseriscono insieme la sessualità e la capacità riproduttiva materno-paterna, con un nuovo libero significato di ciò che è umano.

6. LA STORIA CHE NE RISULTA E IL PARADOSSO DELLA PASQUA

La frase di Paolo - come già abbiamo detto - si appella al futuro in una diversa maniera. Crescere come figli e figlie di Dio, maturare e prolungarsi non ha più lo specchio della generazione in cui contemplarsi. Il futuro si profila in modo diverso per l'umanità che nasce dalla Pasqua. Se la nuova maternità di Maria esclude qualsiasi altra paternità (nel senso patriarcale) che non sia quella del Dio di Gesù, l'appello alla donna afferma visibilmente la condizione paradossale di fragilità forte" di ciò che è umano. Senza ciò non vi è paradosso né si comprende l'ordine nuovo. La redenzione si consolida nell'affermazione della debolezza radicale dell'umano in tanti modi rifiutato. Negare la debolezza è negare l'umano, e se si nega l'umano l'incarnazione di Dio in Gesù, diviene una frode. Detto in termini pasquali: senza morte non vi è risurrezione. Se la morte radicalizza la debolezza e la vulnerabilità umane, la risurrezione, dal canto suo, rende visibile una vita diversa e nuova. Solo nella morte la risurrezione è possibile. Nato da donna include la mortalità dell'umano. Figlio di Dio include la condizione risuscitata di Gesù. Di nuovo, il punto di partenza e il punto di arrivo s'incontrano nel paradosso.

7. IMPORTANZA E FUNZIONE DEL PARADOSSO NELL'INCARNAZIONE

Le riflessioni, fin qui proposte, partono dal paradosso e vorrebbero enfatizzare la sua importanza e alcune delle sue implicazioni. Ma il paradosso, come formulazione espressiva del linguaggio, è una scelta paolina tra altre modalità linguistiche e semantiche a sua disposizione. Ciò vuoi dire che non si tratta di una scelta fatta a caso. Essa deve svolgere una funzione. Non mi soffermerò sulla funzione intratestuale16 del paradosso; desidero, invece, focalizzare la mia ultima riflessione sulla funzione generale che il paradosso realizza17. Come altre forme espressive, anche il paradosso sfigura il linguaggio e radicalizza contrasti al fine di scuotere l'attenzione e indirizzarla verso verità nascoste che la razionalità non lascia apparire in tutta la loro forza. Il paradosso vuole anche produrre uno shock o un impatto che rompa una determinata logica per dare adito ad una verità più profonda. Qualora esso si inserisca in un contesto che abbia una latente sintonia e sensibilità, il paradosso suscita una domanda e indica una orientazione sovversiva e di mutamento. Però anche quando non si rivolge a un determinato pubblico né lo restringe, in linea di massima il paradosso riceve un'accoglienza minoritaria. Esige che l'altro o l'altra si lasci coinvolgere attivamente in modo che non solo sia sensibile al suo messaggio, ma si sforzi anche di interpretarlo e, più ancora, si lasci afferrare direttamente e liberamente dal contenuto che esso implicitamente propone. Per questo, il paradosso ha molte cose in comune con il fenomeno profetico18. Pertanto, dire Figlio di Dio nato da donna è riconoscere il paradosso dell'incarnazione di Dio in Gesù: un paradosso che implica non solo una sensibilità capace di afferrarne il significato, ma pure una sensibilità che sappia coglierne implicazioni sovversive e di mutamento. Dire che Maria stessa è un paradosso evangelico, dell'incarnazione e della redenzione, è riconoscere un significato sovversivo in ciò che riguarda la realtà umana, antropologica. L'affermazione dell'umanità nel suo valore d'incarnazione interessa l'umanità quale noi la comprendiamo. Dal paradosso che è Maria, - la donna da cui nasce il Figlio di Dio -, appare che l'umanità è un mistero di fragilità e debolezza universale in cui Dio stesso entra; è la visibilità patente della morte attraverso la quale Dio introduce una vita qualitativamente diversa; è l'universale possibilità di espressione, di dialogo fecondo e costruttivo; è una corporeità legata alla vulnerabilità e alla forza della Parola originale, gratuita e libera che suscita una comunicazione libera e impegnata nella realizzazione dell'umano; è la possibilità di alcuni rapporti inclusivi nei quali non c'è più posto per l'emarginazione, oltre quella che ciascuno di noi desidera crearsi liberamente e volontariamente; è l'esigenza di una sessualità più umanizzata e relazionale, meno ristretta e dipendente dalla sola biologia, e mediata dalla parola che vincola e umanizza; è l'esigenza di processi di filiazione parimenti legati alla comunicazione e alla parola, la quale, quanto più è umana, tanto più diviene capace di accedere, tramite l'udito, alla Parola gratuita e maturante di Dio: Parola che suscita l'adesione di fede e la conversione in figli e figlie, che tutti ci affratella. Cosi le origini umane risalgono a una Parola e un desiderio originale che promuove la fraternità e la sororità come realizzazione inclusiva e universale della radicale uguaglianza nella pluriformità delle differenze.

NOTE
1 Non è la prima volta che incontriamo il paradosso in Paolo, quando egli vuole esprimere importanti realtà del messaggio cristiano e comunicare qualcosa della propria esperienza (cf Gal 2,19, o altri brani biografici). Hanno sottolineato l'importanza del paradosso A. VANHOYE, La Mère du Fils de Dieu selon Gal 4,4, in Marianum 40 (1978) 237-247; IDEM, La lettera ai Galati, Roma 1989, 136-149; A. SERRA, Galati 4,4: nato da donna. Letture interdisciplinari, in Theotokos 1 (1993/2) 16-17. lo stessa ho studiato uno dei paradossi paolini e la sua funzione in La parthenos: un futuro significativo en aqui y ahora de la comunidad, Est-Bib 49 (1991) 367.
2 Con la maggioranza degli esegeti, anch' io adotto la divisione tripartita della lettera: 1) Gai 1,11-2,21 di natura autobiografica; 2) 3,1-5,21 di argomentazione dottrinale; 3) 5,13-6,10 di carattere parenetico. Cf A. VANHOYE, La lettera at Galati; J. N. ALETTI, Une lecture de Gal 4,4-6: Marie et la plénitude du temps, in Marianum 50 (1988) 408-421. Cf anche J. M. LAGRANGE, Saint Paul: Epitre aux Galates, Parigi '1950; H. SCHILIER, Der Brief an die Galater, Gòttingen 1962.
3 A. VANHQYE, (La lettera ai Galati) tratta abilmente di altri significati attribuiti al verbo γÝνεσθαι e conclude che il suo significato è nascere.
4 Ivi, 147. L'espressione appare in Giobbe 14,1; 15,14; 25,4; e anche in un inno di Qumram, IQH 13,14-15; 18,12-13; 18,23. In questi ultimi testi viene associata pure l'idea della negatività morale.
5 La frase completa presenta una struttura chiastica che organizza questi paradossi: A - γενüμενον εκ γυναικüüς, B - γενüμενον υπü νüμον, B' - ßνα τοýς υπü νüμον ÝξαγορÜση, A' - ßνα τÞν υßοθεσßαν απολÜβωμεν.
6 In realtà, non tutti i testi di Paolo sono molto chiari su questo punto a motivo delle ambivalenze che egli presenta sia in questi temi sia in altri. Possiamo tuttavia ritenere l'affermazione, dato che in alcuni testi Paolo sembra avere chiara la fine di questo sistema.
7 Nella mentalità della cultura mediterranea, le donne sono gli unici esseri che veramente muoiono perché non possono prolungarsi. Soltanto il seme dell'uomo si prolunga nei figli maschi.
8 E' innegabile il gioco fonetico e semantico che mette in relazione le due radici YHWH - HWH. Cf il dibattito sul tema nel mio lavoro Barro y aliento. Exégesis y antropologia teológica de Gen 2-3, Madrid 1993.
9 In definitiva, questa è una delle motivazioni dello stesso celibato di Gesù: ciò significa che egli - il quale si proclama Figlio di Dio, dà la sua vita per tutti e offre la sua vita risorta a tutti e a tutte - non si è sposato, vale a dire, non si è prolungato. La prospettiva umana cambia a partire da questo segno.
10 Si pensi all'importanza che acquista la circoncisione per l'alleanza. Come iniziazione ritualizzata, essa viene riservata proprio ai maschi. Infatti, il compimento della promessa è posteriore alla circoncisione (cf Gen 17,11.23-24). Questo compimento è subordinato al rito di iniziazione.
11 Soltanto da qui Paolo può recuperare l'alleanza di Abramo, in coerenza con il nuovo ordine dell'incarnazione.
12 Ho sviluppato ampiamente il rapporto tra Maria e la Parola nel mio lavoro Maria, la mujer. Ensayo psicológico biblico, Madrid 1987.
13 In Gen 1,26-27, Dio dice facciamo Adam a nostra immagine e somiglianza; quindi il narratore racconta come sorge la differenza in termini biologici e informa sulla valutazione che Dio fa della sua opera: ciò permette di parlare di corpo parlato o creato dalla parola e indicato come icona divina.
14 In questa luce, acquista un significato d'urto la frase del quarto Vangelo: "a quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,12-14).
15 Qui forte non è un semplice aggettivo, ma una qualità opposta alla fragilità, che favorisce la stessa fragilità.
16 Cf  i lavori di A. VANHOVE, J. N. ALETTI e A. SERRA, citati nella nota 2.
17 In Paolo, come ho studiato in La parthenos, alcuni paradossi intendono indurre e introdurre un cambiamento. Ciò spiega il fatto che talvolta egli li utilizzi in situazioni o riflessioni che non sviluppa, ma che esprime e suggerisce ai suoi lettori.
18 La Bibbia, sia nell'AT che nel NT, si esprime spesso in forma di paradosso quando vuole comunicare determinate verità.

Inserito Venerdi 13 Dicembre 2013, alle ore 0:30:39 da latheotokos
 
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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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