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Terza lettera di Cirillo d'Alessandria a Nestorio





[...]
Seguendo in tutto le confessioni che i santi Padri hanno formulato sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, e le orme dei loro pensieri, battendo la via regia, noi diciamo che il Verbo unigenito di Dio, nato dalla stessa sostanza del Padre, Dio vero da Dio vero, luce da luce, mediante il quale sono state fatte tutte le cose in cielo e in terra, è lo stesso che è disceso (dal cielo) per la nostra salvezza, si è umiliato sino all'annientamento, si è incarnato e si è fatto uomo, ossia, prendendo la carne dalla santa Vergine e facendola propria, è nato come noi dal seno materno, ed è diventato uomo dalla donna, senza rinunziare a quello che era; ma, pur assumendo la carne e il sangue, rimase anche così ciò che era: Dio, per natura e secondo verità. Né diciamo con ciò che la carne sia passata nella natura della divinità, né che la ineffabile natura del Verbo di Dio si sia trasformata nella natura della carne: infatti, è assolutamente immutabile, sempre identico a sé stesso, secondo le Scritture (7). Apparso fanciullo, e in fasce, e ancor nel seno della Vergine Madre, riempiva (di sé) tutta la creazione, essendo Dio, e sedeva alla destra del suo genitore; poiché la divinità non ha quantità, né grandezza, e non conosce limiti.

Noi confessiamo, quindi, che il Verbo di Dio si è unito personalmente alla carne umana, ma adoriamo un solo Figlio e Signore Gesù Cristo, non separando né dividendo l'uomo e Dio, come se fossero uniti l'uno all'altro dalla dignità e dalla autorità (ciò, infatti, sarebbe puro suono e niente altro), e neppure chiamando, separatamente, Cristo Verbo di Dio, e separatamente l'altro Cristo quello nato dalla donna; ma ammettendo un solo Cristo, e cioè il Verbo di Dio Padre, con la sua propria carne. Allora egli, come noi, è stato unto, anche se è lui stesso a dare lo Spirito a coloro che sono degni di riceverlo, e ciò non secondo misura, come dice il beato Giovanni evangelista (8). Ma non affermiamo neppure che il Verbo di Dio ha abitato, come in un uomo qualsiasi, in colui che è nato dalla Vergine santa, perché non si creda che Cristo sia un semplice uomo portatore di Dio. Se, infatti il Verbo di Dio abitò fra noi (9) ed è detto che in Cristo abitò corporalmente la pienezza della divinità (10), crediamo però che egli si fece carne non allo stesso modo che si dice che abita nei santi, e distinguiamo nello stesso modo l'abitazione che si è fatta in lui: unito secondo natura, e non mutato affatto in carne, ebbe in essa una tale abitazione, quale si potrebbe poi dire che abbia l'anima dell'uomo nei riguardi del suo corpo. Non vi è, dunque, che un solo Cristo, Figlio e Signore; non secondo una semplice unione di un uomo, nell'unità della dignità e dell'autorità, con Dio perché una uguale dignità infatti, non può unire le nature. Così Pietro e Giovanni sono uguali in dignità, come gli altri apostoli e discepoli; ma i due non erano uno. Infatti non concepiamo il modo dell’unione come una giustapposizione (ciò, del resto, non sarebbe neppure sufficiente ad una unità naturale), o come una unione per relazione, come quando noi, aderendo a Dio, secondo la Scrittura, siamo uno spirito solo con lui (11); evitiamo piuttosto il termine stesso di "congiunzione" in quanto inadeguato ad esprimere il mistero dell'unità.

E non chiamiamo il Verbo di Dio Padre neppure "Dio" o "Signore" di Cristo, per non dividere di nuovo, apertamente in due l'unico Cristo e Figlio e Signore, cadendo nel di bestemmia, facendo di lui il Dio o il Signore di se stesso. Unito, infatti, sostanzialmente, alla carne, come abbiamo detto, il Verbo di Dio è Dio di ogni cosa e domina su ogni creatura, ma non è né servo, né Signore di se stesso. Il solo pensare o dire ciò sarebbe sciocco o addirittura empio. E’ vero che ha detto che suo padre era il suo Dio (12), pur essendo Dio per natura e della sostanza di Dio; ma non ignoriamo che, essendo Dio, egli è diventato anche uomo, soggetto a Dio secondo la legge propria della natura dell'umanità. Come avrebbe potuto essere, d'altra parte, egli, Dio o Signore di se stesso? Quindi, in quanto uomo, e in quanto si può accordare con la misura del suo annientamento, egli afferma di essere con noi sottoposto a Dio: così egli si assoggettò alla legge (13), pur avendo espresso egli la legge, ed essendo legislatore, in quanto Dio. Evitiamo assolutamente di dire: "Venero ciò che è stato assunto, per la dignità di colui che l'assume; adoro il visibile a causa dell'invisibile". E’ addirittura orrendo, inoltre, dire: "Colui che è stato assunto è chiamato Dio, insieme con colui che l'ha assunto". Chi usa questo linguaggio, divide di nuovo il Cristo in due Cristi e colloca da una parte l'uomo, e dall'altra Dio; nega, infatti, evidentemente l'unità: quell'unità per cui uno non può essere coadorato o connominato Dio con un altro: uno, invece, è creduto Gesù Cristo, unigenito figlio di Dio, da onorarsi con un unica adorazione con la sua carne. Confessiamo anche che lo stesso Figlio unigenito di Dio, anche se impossibile secondo la propria natura, ha sofferto nella sua carne per noi, secondo le Scritture (14), ed era nel corpo crocifisso, facendo sue, senza soffrire, le sofferenze della sua carne. Per la grazia di Dio gustò la morte (15) per la salvezza di tutti; ed offri ad essa il proprio corpo, quantunque egli sia per natura la vita ed egli stesso la resurrezione (16).

Egli, sconfiggendo la morte con la sua ineffabile potenza, fu nella sua propria carne il primogenito tra i morti e la primizia di coloro che si erano addormentati (nel Signore) (17), ed aprì all'umana natura la via del ritorno all'incorruzione. Per la grazia di Dio, come abbiamo accennato, egli gustò la morte per ciascuno di noi, e risorgendo il terzo giorno, spogliò l'Ade. Quindi, anche se si dice che la resurrezione dei morti è avvenuta attraverso un uomo (18), per uomo, però, intendiamo quello che era nello stesso tempo il Verbi di Dio, per mezzo del quale è stato distrutto l'impero della morte. Questi verrà, a suo tempo, come unico Figlio e Signore nella gloria del Padre, per giudicare il mondo, nella giustizia, come affermano le Scritture (19).

E’ necessario aggiungere anche questo. Annunziando la, morte, secondo la carne, dell'Unigenito Figlio di Dio, cioè di Gesù Cristo, e la sua resurrezione dai morti, e confessando la sua assunzione al cielo, noi celebriamo nelle chiese il sacrificio incruento, ci avviciniamo così alle mistiche benedizioni, e ci santifichiamo, divenendo partecipi della santa carne e del prezioso sangue del Salvatore di noi tutti, Cristo. Noi non riceviamo, allora, una comune carne (Dio ci guardi dal pensarlo!), o la carne di un uomo santificato e unito al Verbo mediante un'unione di dignità, o di uno che abbia in sé l'abitazione di Dio, ma una carne che dà veramente la vita ed è la carne propria del Verbo stesso. Essendo infatti, vita per natura in quanto Dio, poiché è divenuto una cosa sola con la propria carne, l'ha resa vivificante sicché quando ci dice: In verità vi dico, se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il sito sangue (20), non dobbiamo comprendere che essa sia la carne di un qualunque uomo come noi (e come potrebbe essere vivificante la carne di un uomo, considerata secondo la propria natura?); ma, invece, come la carne di Colui che per noi si fece e si fece chiamare figlio dell'Uomo.

Quanto alle espressioni del nostro Salvatore contenute nei Vangeli, noi non le attribuiamo a due diverse sussistenze o persone. Non è infatti duplice l'unico e solo Cristo, anche se si debba ammettere che egli è pervenuto all'unità indivisibile da due differenti realtà; come del resto avviene dell'uomo, che, pur essendo composto di anima e di corpo, non per questo è duplice, ma una sola realtà composta di due elementi. Diciamo piuttosto che sia le espressioni umane, sia quelle divine, sono state dette da un solo (Cristo). Quando egli, infatti, con linguaggio divino, afferma di sé: Chi vede me, vede il Padre, e: Io e il Padre siamo una sola cosa (21), noi pensiamo alla sua divina ed ineffabile natura, per cui egli è uno col Padre in forza dell'identità della sostanza, egli, immagine e figura e splendore della sua gloria (22). Quando, invece, non reputando indegna la condizione umana, dice ai Giudei: ora voi volete uccidermi, perché vi ho detto la verità (23) di nuovo dobbiamo riconoscere in lui, uguale e simile al Padre, il Dio Verbo anche nei limiti della sua umanità. Se, infatti, dobbiamo credere che, essendo Dio per natura, si è fatto carne, ossia uomo con anima razionale, che motivo vi è, poi, che uno si vergogni che le sue espressioni siano state dette in modo umano? Poiché, se egli avesse rifiutato le espressioni proprie dell'uomo, chi mai lo spinse a farsi uomo come noi? Colui che si è abbassato, per noi, volontariamente, fino all'annientamento, perché mai dovrebbe poi rifiutare le espressioni proprie di chi si è annientato? Le espressioni dei Vangeli, quindi, sono da attribuirsi tutte ad una sola persona, ossia all'unica sussistenza incarnata del Verbo: uno è, infatti, il Signore Gesù Cristo, secondo le Scritture (24).

Se, infatti, viene chiamato apostolo e pontefice della nostra confessione (25) inquantoché ha offerto in sacrificio a Dio Padre la confessione della fede che noi facciamo a lui, e per mezzo suo a Dio Padre, e anche allo Spirito santo, diciamo ancora che egli è per natura il Figlio unigenito di Dio, e non attribuiamo certamente ad un altro uomo diverso da lui il nome e la sostanza del sacerdozio. Egli infatti è divenuto mediatore fra Dio e gli uomini (26) li ha riconciliati per la pace, offrendosi vittima di soavità a Dio padre (27). Perciò ha detto: Non hai voluto né sacrificio né oblazione, ma mi hai dato un corpo. Non hai gradito gli olocausti in espiazione del peccato. Allora ho detto: Ecco, vengo. All'inizio del libro è scritto di me che io debba fare, o Dio, la tua volontà (28). Egli ha offerto in odore di soavità il proprio corpo per noi, non certo per se stesso. Di quale sacrificio ed offerta, infatti, avrebbe bisogno per sé, egli che è superiore a qualsiasi peccato essendo Dio? Se è vero, infatti, che tutti sono peccatori e sono privati della gloria di Dio (29) inquantoché siamo inclinati ad ogni vento di peccato e la natura dell'uomo divenne inferma per il peccato - per lui, però, non fu così, e siamo vinti dalla sua gloria - come può essere ancora dubbio che l'agnello vero sia stato immolato a causa nostra e per noi? Sicché dire che egli si è offerto per sé e per noi non potrebbe in nessun modo essere esente dall'accusa di empietà. Egli, infatti, non ha mancato in nessun modo e non ha commesso peccato. E di quale oblazione avrebbe dovuto aver bisogno, non essendovi alcun peccato, per cui avrebbe dovuto offrirla?

Quando poi afferma dello Spirito: Egli mi glorificherà (30), rettamente noi non diciamo che l'unico Cristo e Figlio, quasi avesse bisogno di essere glorificato da un altro, ha avuto la sua gloria dallo Spirito Santo: perché lo Spirito non è migliore di lui o superiore a lui. Ma poiché a dimostrazione della sua divinità, si serviva del proprio spirito per compiere le sue meraviglie, perciò egli dice di essere glorificato da lui come se un uomo, riferendosi alla forza che è in lui o alla sua scienza dicesse: "mi glorificano". Poiché, se anche lo Spirito ha una sussistenza propria, e viene considerato in sé ossia secondo quella proprietà per cui è Spirito e non Figlio non è, però, estraneo a lui. E’ detto, infatti, Spirito di verità (31), e Cristo è appunto la verità (32), e procede da lui come da Dio Padre. Di conseguenza, questo Spirito, operando meraviglie anche per mezzo degli apostoli, dopo l'ascensione del Signore nostro Gesù Cristo al cielo, lo glorificò; fu creduto, infatti, che egli, Dio per natura, operasse ancora per mezzo del proprio Spirito. Per questo diceva ancora: Prenderà del mio e ve lo annunzierà (33). E in nessun modo noi diciamo che lo Spirito è sapiente e potente per partecipazione: egli è assolutamente perfetto e non ha bisogno di nessun bene. Proprio, infatti, perché è Spirito della potenza e della sapienza del Padre, che è il Figlio (34), per questo è realmente sapienza e potenza.

E poiché la Vergine santa ha dato alla luce corporalmente Dio unito ipostaticamente alla carne, per questo noi diciamo che essa è madre di Dio, non certo nel senso che la natura del Verbo abbia avuto l'inizio della sua esistenza dalla carne, infatti esisteva già all'inizio, ed era Dio, il Verbo, ed era Presso Dio (35). Egli è il creatore dei secoli, coeterno al Padre e autore di tutte le cose; ma perché, come abbiamo già detto, avendo unito a sé, ipostaticamente, l'umana natura in realtà sortì dal seno della madre in una nascita secondo la carne; non che avesse bisogno necessariamente o per propria natura anche della nascita temporale, avvenuta in questi ultimi tempi, ma perché benedicesse il principio stesso della nostra esistenza, e perché, avendo una donna partorito (il Figlio di Dio) che si è unito l'umana carne, cessasse la maledizione contro tutto il genere umano, che manda a morte questi nostri corpi terrestri, e rendesse vana questa parola: darai alla luce i figli nella sofferenza (36), e realizzasse la parola del profeta: la morte è stata assorbita nella vittoria (37) e l'altra: Dio asciugò ogni lacrima da ogni volto (38). Per questo motivo diciamo che egli, da buon amministratore, ha benedetto le stesse nozze, quando fu invitato, con i santi apostoli, a Cana di Galilea (39).

Ci hanno insegnato a pensare così sia i santi apostoli ed evangelisti, sia tutta la Scrittura divinamente ispirata sia le veraci professioni di fede dei beati padri. Con la dottrina di tutti questi bisogna che concordi e si armonizzi anche tua pietà. Ciò che la tua pietà deve anatematizzare è aggiunto in fondo a questa nostra lettera.



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Autore: - Pubblicato il: 2009-09-07 (1140 letture)

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