BAAL - BABELE (TORRE DI) - DIZIONARIO BIBLICO

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BAAL - BABELE (TORRE DI)
BAAL
(Ebr. ba'al, ba'alah, ba'alim, acc. belu, "signore, padrone"). È per sé il nome comune di un dio non definito; è, per antonomasia, il nome proprio di una divinità che personifica fenomeni di natura come la fecondità, la vegetazione, la pioggia, il vento, le messi ecc. È usato presso i Cananei (El-Amarna) e quasi tutti i Semiti ed ha come equivalenti Dumuzi presso i Sumeri, Tammuz nei testi accadici (cf. Ez. 8, 14), Tesub presso gli Hittiti e Hurriti, Osiride in Egitto, Adonide nel mondo greco latino ('adon è sinonimo di B.), Hadad presso gli Aramei ecc. A Ugarit B., identificato ad Hadad, è figlio di Dagan e ha come controfigura Mot dal quale è ucciso. Alla morte dell'uccisore B. risorge. Le due divinità rappresentano forse un ciclo annuale, non sabatico. Numerosi sono gli epiteti di B. espressioni di culti locali: R-me'on "B. del rifugio" (Num. 32, 28), 'B.-tamar "B. del palmeto" (Iudc. 2.0, 33), B.-zebhubh "B. delle mosche" (2Reg. 1, 2 s., 6.16 gioco di parole su B.-zebul "B. il principe"), B.-saphon, "B. del Nord" (Ex. 14, 2.9; Num. 23, 7 cf. i testi assiri e ugaritici), B.-samem "B. del cielo" (cf. *** di Filone di Byblos e la statua di Idrimi), B.-markod "B. della danza", "B.-marpé "H. della guarigione", B.-berith "B. dell'alleanza", B.-Hasor (2Sam 13, 23) e B.-Pe'or (Num. 23, 3, 5; Os 10,10). Nel, V. T. Baalim son dette le divinità cananee" (Iudc. 2, 11; 3, 7; 1Sam 7, 4; ecc.). Il culto di B. severamente proibito dalla religione ufficiale, entra nel popolo israelita dall'ingresso in Canaan fino all'esilio. Sotto i Giudici, Gedeone abbatte un altare di B. e merita il titolo di Ierubba'al (Iudc. 6, 32 = colui che lotta contro B.; etimologia popolare, invece di "B. muggisce"). La venerazione dei B., più forte col progresso della religione popolare (v.), si nota al tempo dei re: B. è adorato sulle terrazze delle case (Ier. 32, 39; 2Reg. 23, 12; Soph. l, 5) come Adonide è implorato sui tetti (Aristofane, Lisistrata, 389 ss.); ha templi (1Reg. 16, 32; 2Reg. 10, 21-27), ha bamoth (Ier. 19, 15; 32, 35) e hammanim (altari per i profumi od obelischi o simboli solari, cf. 2Par. 14, 4; 34, 7.4; Lev. 26, 30; Ez. 6, 4.6) e riceve sacrifici umani (2Reg. 23, 10; 16, 3; Ier. 7, 31; 19, 5). Contro tale culto lottano i profeti. Sotto Achab (2Reg. 3, 2), genero di Ithobaal di Tiro si contano 450 sacerdoti di B.; ad essi si oppone Elia (1Reg. 16; 18, 16 ss.). Promosso di nuovo da Ochozia (1Reg. 22, 54) il culto di B. viene osteggiato da Ioram (2Reg. 3, 2) e sradicato da Iehu (ibid. 10, 18-28); introdotto a Gerusalemme da Atalia (2Reg. 11, 18) è abolito da Ioas (2Par. 23, 17); rimesso in onore da Achaz e Manasse viene combattuto da Ezechia e Iosia (2Reg. 18, 4; 21, 3; 23, 4 ss.). 1 sacerdoti di B. agiscono fino all'esilio (Ier. 7 9.14 ss.). La ricorrenza frequente di B. nell'onomastica palestinese dimostra la diffusione del culto. La Bibbia tenta talvolta di eliminarne il nome. Il processo più corrente consiste nel sostituire boseth "vergogna" a B. Onde Isboseth, Ierubboseth, Mephiboseth al posto di Isbaal, ecc.

BIBL. - LAGRANGE. Etudes sur les religions sémitiques, Parigi 1905, p. 83 ss.: W. BAUDISSIN, Kyrios. III, 89-97 (presso gli Ebrei) e passim; O. EISSFELDT, Baal. Zaphon, Zeus Casios, Halle 1932; L. H. VINCENT, Le Ba'al Cananéen de Beisan el sa parèdre, in RB, 37 (1928) 512-43; R. DUSSAUD. Le vrai nom de Baal, in RHR, 113 (1936) 5-20; E. DHORME, La religion des Hébreux nomades, Bruxelles 1937, pp. 321-32; J. PEDERSEN, Israel. Its life and culture, Londra 1947. p. 503 e passim; A. KAPELRUD. Baal in the Ras Shamra texts. Copenaghen 1952: P. VAN IMSCHOOT. Théologie de l'Ancien Testament. I, Parigi-Tournai 1954, p. 24 ss.

BABELE (TORRE DI)
L'umanità, dopo il diluvio, riprende il suo cammino. I germi del male, già manifestati in Cam, hanno di nuovo il sopravvento; gli uomini dimenticano la lezione ricevuta da Dio con quel tremendo castigo. Eccone l'esempio, nell'episodio conservato ci in Gen. 11, 1-9. Dio ai superstiti aveva ordinato: «Moltiplicatevi e riempite la terra» (Gen. 9, 1); cresciuti, dopo un buon volger di anni, eccoli concepire orgogliosi disegni, già dimentichi di Dio. «Fabbrichiamoci una città e una torre con la cima fino al cielo (espressione metaforica che riscontriamo nei testi babilonesi, e che significa soltanto, cima altissima), e ci faremo un monumento per non disperderci sulla faccia della terra» (Gen. 11, 4). Dio confuse l'orgoglio dei presuntuosi progettisti: i quali non s'intendevano più l'un l'altro, per la discordanza di animi e dei modi di esprimersi. Moderni glottologi sostengono scientificamente la monogenesi del linguaggio: «Tutta la terra aveva una lingua unica e le medesime parole» (Gen. 11, l). Il processo naturale di differenziazione fu affrettato da Dio; e, per la malvagità dell'uomo, la diversità delle lingue fece sorgere barriere e antagonismi tra i popoli. Quest'episodio delle origini dell'umanità, è situato nel quadro geografico da dove provenivano Abramo e i suoi: cioè nella Mesopotamia. Quadro geografico che va considerato alla stregua di semplice veste letteraria, come viene detto alla v. Genesi, parlando dei primi suoi 11 capitoli. Shin'ar indica la Caldea (cf. Gen. 10, 10); per non disperdersi quei nomadi sognano ad una dimora stabile, a qualcosa intorno a cui raccogliersi. Nella grande pianura caldea, dalle grandi città s'innalza la maestosa ed eccelsa ziggurat, costruzione massiccia a piani quadrangolari sovrapposti, che andavano sempre più restringendosi verso l'alto. Larghe scale permettevano di salire fino all'ultimo ripiano, dove era l'altare e si svolgeva il culto al dio della città. I mattoni d'argilla e il bitume, materiale fondamentale di tali costruzioni (cf. Gen. 11.3), venivano rivestiti da splendidi smalti e fregi d'oro. Un'etimologia popolare di B., e, più ancora, la varietà multiforme di razze in essa presente, al tempo già precedente alla dinastia di Hammurapi han suggerito la scelta di quella città per la localizzazione del racconto. B. in realtà significa «porta degli dei» (Babilani); e non è tra le più antiche della Mesopotamia. In realtà, l'episodio biblico non ha alcun riscontro nella letteratura babilonese; pur presentando nel vocabolario, nello stile, e nel quadro, l'esatto colore di quella regione. Mentre le ziggurat sono dei templi, qui si prescinde assolutamente di tale loro carattere essenziale. Stando così le cose, è inutile ricercare di identificare i resti della torre di B., nei ruderi di qualche ziggurat famosa; non sappiamo dove in realtà sia stata la culla dell'umanità, e quale la zona attraversata dagli uomini venuti su dopo il diluvio. Molti autori, anche cattolici, quelli cioè che tentano assimilare la narrazione biblica del diluvio (v.) a quella babilonese (semplice inondazione della Mesopotamia meridionale,verso il 40 o 30 millennio a. C.), limitandolo ad un gruppo etnico umano, molto ristretto, dicono che qui si tratti della dispersione di un gruppo semita. La Bibbia avrebbe conservato questo racconto folkloristico, dotandolo di un significato religioso (Chaine). In realtà, questa esegesi si rivela del tutto insufficiente, e niente affatto fondata. Rimesso storicamente alle lontane origini dell'umanità, l'episodio della t. di B., s'inquadra invece egregiamente nella narrazione dei primi 11 cc., dimostrando il progressivo allontanamento dell'uomo da Dio, anche dopo il diluvio; l'addensarsi delle tenebre, fino al raggio di luce costituito dalla rivelazione di Dio ad Abramo.

BIBL. - P. HEINISCH, Problemi di storia primordiale biblica, Brescia 1950, pp. 165-75: F. CEUPPENS, Quaestiones selectae ex historia primaeva, 3a ed., Roma 1953, pp. 335-55; A. CLAMER. Genèse (La Ste Bible, L. Pirot, I), Parigi 1953, pp. 224-29.

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