CORPO MISTICO - DIZIONARIO BIBLICO

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CORPO MISTICO
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«A Damasco Paolo ha cominciato con l'essere ghermito da Cristo e col vivere una nuova vita; l'intero vento di Anania lo fa entrare nella società fondata dal Cristo ed egli sente quali ricchezze gli offre la Chiesa» (Bonsirven). S. Paolo scorse allora che il Cristo si identifica con l'insieme e con ciascun cristiano «Io sono Gesù che tu perseguiti») ; e che, in conseguenza della adesione integrale al Cristo (è questo il significato di «fede», nell'evangelo, - cf. s. Giovanni - e in s. Paolo), questi diviene il principio della nostra vita spirituale «non sono più io che vivo, ma è il Cristo che vive in me» Gal. 2, 20); idea espressa sinteticamente nella formula, spiccatamente Paolina, «nel Cristo Gesù». «Io sono Gesù che tu perseguiti» (At. 22, 7 s.; 26, 14 s.); il Signore parla così perché egli e la sua Chiesa sono una sola persona (s. Agostino e i commentatori cristiani); il Cristo si identifica con ciascuno e con la società dei suoi fedeli; «Come il corpo è uno e possiede parecchie membra, e queste membra del corpo, pur essendo di fatto parecchie, sono un corpo solo, così anche il Cristo. E in un solo Spirito siamo stati tutti battezzati per costituire un corpo solo...» (I Cor 12, 12 S. 27; Rom. 12, 4 s.). S. Giovanni Crisostomo, hom. 30; PG 61, 249-253 commenta: «Avrebbe dovuto dire: Così anche la Chiesa... ; nomina Cristo al posto della Chiesa». Così, quando Paolo domanda ai Corinti, divisi in fazioni: «Cristo è suddiviso?», non parla della persona del Cristo, né della possibilità di dividerlo in fazioni, ma della Chiesa, che è identificata col Cristo (Allo, Spicq). «Tutti voi (cioè la comunità), scrive ai Galati (3, 26-29) - che siete stati battezzati, avete rivestito il Cristo; voi siete tutti uno nel Cristo Gesù» cioè una sola persona. Abbiamo la stessa idea, in termini quasi identici, in una frase rivolta ai Colossesi (3, 10 s.): «Non vi è più greco o giudeo..., né barbaro, schiavo o uomo libero, ma il Cristo assolutamente». Arriviamo così alla espressione e nozione: la Chiesa è il corpo (mistico) del Cristo; in essa, corpo, secondo l'educazione biblica dell'apostolo, equivale a persona: del Cristo è un genitivo «epesegetico» o di apposizione (ad es. il segno di Giona. Mt. 12, 39: il segno che era lo stesso Giona; cf. U. Holzmeister, in VD 25 [1947] 112-117), cioè la persona che è lo stesso Cristo; infine, l'epiteto mistico è stato aggiunto dai commentatori per meglio definire questa realtà dell'ordine spirituale: il Cristo, Dio-Uomo è ben distinto come persona fisica dalla Chiesa. La preparazione del rabbino, con il principio di solidarietà così dominante in tutto il Vecchio Testamento (cf. F. Spadafora. Collettivismo e individualismo nel V. T., Rovigo 1953): la nazione considerata come un solo organismo vivente, sposa di Iahweh, nell'alleanza del Sinai (cf. Os 1-3: fer. 2; Ez. 16; e la Cant.), spiega sufficientemente come Paolo abbia ben compreso il significato delle parole del Risorto, nell'incontro di Damasco; abbia compreso e sperimentato che l'adesione integrale al Cristo, faceva dei cristiani un organismo vivente. D'altronde, era la realtà da Gesù enunziata nelle parole: «Io sono la vite voi i tralci» (Io. 15, 5; cf. 17, 21 ss.). E’ una realtà nel campo spirituale, e non una semplice metafora. Per mettere in guardia i Corinti (I Cor. 6, 12-20) contro la fornicazione, l'Apostolo ricorre alle seguenti considerazioni. Riprendendo la frase della Genesi (2, 24), utilizzata da Gesù (Mt. 19, 4 s.) per affermare l'unità indissolubile del matrimonio, egli ricorda il principio che qualsiasi unione carnale fa della coppia una sola carne, cioè una sola persona, quantunque nell'ordine materiale; un cristiano non può accettare questo peccato: esso diviene per lui una vera mostruosità per due ragioni. La prima, perché tutta la sua persona - il suo corpo - è divenuta proprietà del Cristo, tempio dello Spirito Santo; la seconda ragione che colpisce di più, è che ogni cristiano è membro del Cristo: il che suppone che egli faccia parte del corpo del Cristo. E l'unione che egli mantiene con questo è di ordine superiore: «Uno spirito solo», dunque unità, ma nella categoria delle realtà divine. Come congiungere ad una prostituta questa porzione vivente del Cristo? La stessa nozione in 1Cor. 10, 17: «Dal momento che vi è un solo pane, noi tutti formiamo un sol corpo, poiché partecipiamo tutti a questo unico pane». Questo «pane unico» designa evidentemente il corpo del Cristo, lo stesso Cristo che si riceve in tutte le cene eucaristiche: unità dell'eucarestia e del Cristo, che è il fondamento dell'unità dei cristiani tra loro. Questa unità organica è chiamata un corpo, una persona. Lo stesso pensiero è svolto nell'avvertimento sui carismi, nei celebri due passi: I Cor. 12; Rom. 12. «Ora voi siete il corpo del Cristo e le membra che lo compongono» (I Cor. 12, 27); «Così, noi tutti, essendo parecchi, siamo un sol corpo nel Cristo, e ciascuno, membro gli uni dagli altri» (Rom. 12, 5). «I cristiani sono le membra solidali di uno stesso organismo, chiamato qui "un solo corpo nel Cristo", per indicare che è la loro comune incorporazione a Cristo (cf. "Io sono la vite, voi i tralci") che li fa essere un corpo, il quale è chiamato "il corpo del Cristo", cioè " il Cristo stesso", secondo il valore della espressione nella mentalità biblica dello scrittore» (Bonsirven). In questi brani (I Cor.; Rom.), s. Paolo illustra direttamente la costituzione esterna o gerarchica della Chiesa: apostoli, dottori ecc. Ogni cristiano ha una sua propria funzione; l'adempia, per quanto modesta, apparentemente secondaria; l'essenza del cristianesimo è il precetto della carità, solo dalla pratica più o meno intensa di esso, ha vero valore, dinanzi a Dio, il compito svolto da ciascuno cf. I. Cor. 13 (inno della carità); 14 (valore dei vari doni ed uffici, secondo il principio della carità). La medesima concezione del C. m. s. Paolo espone, più compiutamente, nelle due epistole, gemelle, della prigionia (Eph. 1, 22 s.; 4, 16; 5, 23.30 ss.; Col. 2, 10-19). Oggetto di queste due lettere è la supremazia assoluta del Cristo (uomo-Dio), su tutto il creato, sulla Chiesa. Egli è il Capo, nel senso di Sovrano, Padrone, fonte di ogni grazia, di ogni sapienza (cf. 2, 10 «egli è il Capo di ogni Principato e Potestà», dove tal senso è indiscusso); 1, 15-18: «Egli (il Cristo) è l'immagine del Dio invisibile... per mezzo di Lui tutto è stato creato, quanto è in cielo e sulla terra, di visibile e d'invisibile, Troni, Dominazioni... Egli è il Capo del corpo (o "persona") che è la Chiesa». E dal Capo, fonte di ogni essere, di ogni grazia, la Chiesa tutto riceve. «Egli pertanto è il principio della perfetta coesione ed articolazione delle membra tra loro; della circolazione del flusso vivente che le alimenta; della loro crescita continua (che proviene da Dio), che loro permette di costituire il Cristo totale: che cresce senza posa, tendendo alla pienezza della sua statura completa» (Bonsirven); cf. Eph. 4, 11-16; 2, 19-22. Come in ogni organismo, le membra sono tra loro intercomunicanti e interdipendenti: il bene e il male di ciascuno influisce sul tutto e su gli altri. Ecco un forte motivo per evitare il peccato, per pregare e soffrire per la Chiesa: cf. Col. l, 24 (v. Colossesi). La dottrina dell'inserzione dei fedeli nel m. suggerisce a s. Paolo numerose espressioni tutte proprie con le quali attribuisce alle membra azioni e proprietà del corpo del Cristo storico, sì che le vicende verificatesi storicamente in un tempo determinato intorno al Redentore, si ripetono nel suo C. m. «Nel Signore», «nel Cristo Gesù», noi siamo eletti, moriamo al peccato, risuscitiamo alla vita nuova della grazia e cresciamo in essa; «in Lui e con Lui» viviamo, soffriamo, risuscitiamo e siamo glorificati; «per Lui», unico nostro Mediatore, possiamo accostarci al Padre che ci ama in proporzione della nostra somiglianza al Figlio suo; insieme con Lui giudicheremo angeli ed uomini. L'immagine del C. m. esprime bene la universalità e l'unità della Chiesa (con la quale praticamente si identifica, Col. 1, 24): tutti indistintamente sono chiamati a far parte del medesimo corpo sotto il medesimo Capo. Ne esprime anche la santità, poiché dall'incorporazione a Cristo deriva per ognuno il dovere della solidarietà, della giustizia e della carità verso gli altri fratelli e l'obbligo di tendere alla perfezione del Capo, affinché ci sia armonica proporzione fra le parti e in ogni parte del C. m. La dottrina del C. m., sviluppata ampiamente dai Padri c dai documenti del Magistero ecclesiastico, può considerarsi uno dei punti centrali e più fecondi di tutto il Cristianesimo. Contro la pretesa di ammettere in Paolo una evoluzione di pensiero sulla dottrina del C. m. - in I Cor e Rom. avremmo solo una metafora, come nell'apologo di Menenio Agrippa, in Eph.-Col. invece avremo mo la realtà soprannaturale esposta di sopra, idea suggerita a Paolo dallo gnosticismo (Schlier) o dall'origine misteriosa (Wickenhauser) - cf. P. Benoit, Corps, Téte et plérome dans les Epitres de la Captivité, in RH 63 (1956) 5-44, dove corregge quanto aveva scritto in RH 47 (1938) 115-119 recensendo il libro di A. Wickenhauser: Die Kirche als der mystische Leib nach dem Apostel Paulus, Munster i. W. 1937.
[L. V. - F. S.)

BIBL. - F. PRAT, La théologie de St. Paul, I, 18a ed., Parigi 1930, pp. 359-70; II, 15a ed., 1929, pp. 341-62: A. MEDÉBIELLE, Eglise, in DBs, II, coll. 640 s. 660-8: E. MURA, Le corps mystique du Christ, I, Parigi 1934, pp. 45-104: L. CERFAUX, La théologie de l'Eglise suivant St. Paul, Parigi 1949; J. BONSIRVEN. Teologia del N.T., Torino 1952, pp. 250-61; P. MICHALON, Eglise, corps mystique du Christ glorieux, in NRTh, 84 (1952) 673-87; A. FEUILLET, L'Eglise plérome du Christ d'après Eph. 1, 23, in NRTh, 88 (1956) 449-472. 593-610.

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