MEDI-MEDIA - MELCHISEDEC - MESA - DIZIONARIO BIBLICO

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M
MEDI-MEDIA - MELCHISEDEC - MESHA
MEDI-MEDIA
(Ebr. Màdaj). - I M. figurano tra i discendenti di Iafet (Gen. 10, 2) e appartengono alla razza indoeuropea, come si può dedurre dai resti della lingua, dalla stretta relazione etnica coi Persiani, dalle testimonianze di Erodoto (7, 62) e di Strabone (16, 2, 3). Sono associati ai Persiani (v.) (Esth. l, 3.14; Dan. 3, 20); anzi talvolta il termine etnico M. sembra esprimere più l'unione dei due popoli contro Babilonia (Is. 13, 17; 21, 2; Ier. 51, 11.23). La M. è situata a nord·ovest dell'altopiano iranico, fra l'Arasse, il Caspio, i confini della Perside e della Susiana (Elam) e i monti Zagros. Il fondo del popolo M. è costituito da pastori. Non mancano i sedentari nelle città, come Ecbatana (cf. Esd. 6, 2) e Raga, che si trovano all'incrocio delle grandi vie carovaniere. La conoscenza della storia dei M. è basata su fonti molto lacunose: letteratura avestica, racconti greci, annali assiri. La lingua è nota solo dai nomi propri. La religione è, almeno in parte, monoteistica. I M. rappresentano una minaccia permanente per l'Assiria durante tutto il periodo dei Sargonidi. La prima incursione assira contro i M. è riferita da Salmanassar In (336 a. C.). Nella M. Sargon II (722 ca.) deporta gli abitanti del regno d'Israele (2Reg. 17, 6; 13, 11). Al tempo di Ciassare II i M. sono alleati dell'impero neobabilonese di Nahopolassar e contribuiscono alla rovina dell' Assiria con la conquista di Ninive (612). Astiage è l'ultimo re dei M.: il suo esercito gli si ribella per unirsi a Ciro, figlio di Cambise di Persia. La M. passa sotto il controllo persiano (550) e ne diventa la prima satrapia.
[F. V.]

BIBL. - E. DHORME, Les peuples issus de Japhet, in Recueil Dhorme, Parigi 1951, p. 171-74; A. T. OLMSTEAD, History of the Persian Empire, Londra-New York 1948, pp. 16- 38.

MELCHISEDEC
Re di Salem, ossia di Gerusalemme (Ps. 76, 3; Lettere di Tell-el- Amarna) e sacerdote del Dio altissimo, vissuto al tempo di Abramo (Gen. 14, 18 5S.). il suo nome ebraico, malki'sedheq, è comunemente interpretato: re di giustizia (Hebr. 7, 2). A causa di Hebr. 7, 3 dove M. è detto *** (senza padre), *** (senza madre), *** (senza genealogia), molte tradizioni giudaico-cristiane lo ritennero un angelo, o l'incarnazione dello Spirito Santo ecc. Secondo quanto è narrato in Gen. 14, 17-20, ad Abramo, reduce da una vittoriosa incursione per liberare il nipote Lot, si fece incontro M., il quale offrì pane e vino e infine lo benedisse, mentre Abramo, in cambio, offrì a M. la decima parte del bottino tolto ai nemici. Non pare che il gesto di M. abbia avuto carattere sacrificale; vi si oppone il verbo ebraiw jasa' il quale nella forma iphil significa solo estrarre, cavar fuori, presentare, e mai denota un sacrificio; l'offerta, quindi, sarebbe solo servita a rifocillare Abramo e i suoi 318 armati. A tale conclusione, si suole opporre la tradizione giudaica e cristiana; ma essa potrebbe poggiare sul contesto, dal quale si apprende il lodevole uso di Abramo di ringraziare Dio dopo ogni fausto avvenimento (Gen. 12, 1.8; 18); in quella circostanza, avrebbe approfittato della presenza di un sacerdote. Secondo il chiaro insegnamento di s. Paolo (Hebr. 7, 1-3; Ps, 110, 4) M. è tipo o figura di Gesù. a) Come M., Gesù è re e sacerdote insieme (Hebr. 7, 1.3·; 5, 6.10); b) M. è re di giustizia e di pace (Hebr. 7, 2); tali pure sono le prerogative del Regno messianico (Ps. 72; Is. 11, 4-9); c) Nella Bibbia, di M. non si cita alcun antenato; per conseguenza non ai suoi avi egli deve la dignità sacerdotale; parimenti, il sacerdozio di Cristo non è regolato, come quello levitico (Ex. 28, 1), dalla legge della discendenza e dai vincoli del sangue, ma ha un carattere estratemporale, e perciò eterno (Hebr. 7, 3); d) Come M. benedicendo Abramo e ricevendo da lui le decime, ha dimostrato di essere superiore al patriarca e al sacerdozio levitico che era ancora nei suoi lombi (Hebr. 7, 9-10), così il sacerdozio di Cristo è di gran lunga superiore a quello dell'antica legge (Hebr. 7, 4-28); e) Infine, come sopra s'è accennato, la tradizione cristiana, nell'offerta del pane e del vino da parte di M., vede il tipo o la figura del sacrificio offerto da Gesù nell'Ultima Cena, che si rinnova, tutte le mattine, nel santo sacrificio della Messa. Va, però, notato, che anche negato il carattere sacrificale del gesto di M., la tipologia richiesta dal Salmo 110, 4 (Hebr. 5, 6) rimane egualmente intatta; infatti, la ragione per cui Gesù vien detto Sacerdote secondo l'ordine (= la maniera) di M., non è già nell'offerta del pane e del vino (s. Paolo tace assolutamente su ciò) ma nell'eternità del sacerdozio di Gesù, di cui era figura M. (senza genealogia), in contrapposizione al sacerdozio levitico.
[B. P.]
BIBL. - A. VACCARI, M. rex Salem proferens panem et vinum, in VD, 18 (1938) 208-214; 235-43; G. PIAZZI, La figura di M. nell'Epistola agli Ebrei, in se, 63 (1953) 325 ss.

MESHA
(Ebr. Mesa', 2Reg. 3 e stele). - Figlio di Kamos-[dan?], originario di Dibon, è re di Moab ed è famoso per la stele la quale narra le sue imprese. La stele, vista dal tedesco F. A. Klein (ag. 1868), ricalcata da Ch. Clermont-Ganneau, è da questi acquistata nei vari pezzi (1869), ché i Beduini, nella speranza di realizzare maggior guadagno, nel frattempo avevano frantumato il prezioso documento di basalto. Attualmente è al Louvre con i calchi che permettono la ricostruzione e la lettura. Le dimensioni della stele sono di m. 1 x 0,60 (inizialmente, secondo Klein, di m. 1,13 x 0,70) con uno spessore di m. 0,30. La parte superiore è arrotondata. Composta probabilmente dopo la distruzione della dinastia di Omri compiuta da Iehu, la stele è in lingua moabitica quasi simile all'ebraico, in scrittura alfabetica fenicia. M., allevatore di bestiame, paga, come tributo a Israele, 100.000 agnelli e la lana di altrettanti montoni (2Reg. 3, 4); alla morte di Acbab (853 a. C.), si rivolta sfruttando la situazione incerta del regno di Ocozia (853-52) (2Reg. 3, 5; 2, l) e pone fine alla schiavitù sopportata dal padre, che ha regnato 30 anni, sotto Israele; soggezione attribuita dalla stele all'ira di Camos, dio nazionale, contro il suo paese. Riconquista Madaba che da 40 anni era sotto Israele, fonda Baalmeon e Qariathain; conquista il paese di Ataroth, abitato dalla tribù di Gad (Num. 32, 34), e la città omonima, fondata dagl'Israeliti, vi stabilisce i popoli di Saron e di Maharath e trascina davanti a Camos l'altare della città. Nella lotta per il possesso della città di Nebo, M. vota all'anatema in onore di Astar-Camos 7000 uomini e fanciulli, donne, bambine e schiave e porta ai piedi del dio moabita i vasi di Iahweh. Ioram (852.41), successore di Ocozia, non può attaccare M. dal nord perché teme un attacco alle spalle dai Siri contro i quali è in guerra e perché l'Arnon è una barriera quasi insuperabile. Perciò si accontenta di stabilire una guarnigione a Iahas forse come testa di ponte per un eventuale attacco, ma deve sgombrare sotto la pressione dei 200 uomini scelti di M. Poiché l'attacco dal sud è più facile, Ioram si allea col re di Giuda, Iosafat (2Reg. 3, 11.12.14), che ha già respinto un'incursione di Moabiti alleati con gli abitanti di Ammon e di Maon (2Par. 20, 11-30). Il re di Giuda conta sull'appoggio degli Edomiti, suoi sudditi. Dopo una marcia di aggiramento del mar Morto, durata 7 giorni, i tre eserciti, accampati nella valle superiore del Wadi el-Hesa, l'antico torrente di Zared che segna il confine tra Edom e Moab, mancano d'acqua. Interviene Eliseo; sull'altopiano si scatena un temporale, fenomeno dai Beduini conosciuto e chiamato Seil, e l'acqua scende attraverso le ramificazioni della valle e riempie le fosse che il profeta ha fatto scavare. Al mattino, la luce rosa dell'alba nel deserto o la colorazione delle sabbie, notata anche oggi dai viaggiatori, del Wadi el-Hesa provoca un miraggio che forse può essere spiegato dal possibile gioco di parola tra dàm "sangue", adoro, "rosso", Edom, il paese dove l'azione avviene. I Moabiti sospettano una strage dovuta alla lotta tra i nemici non esclusa dalle alleanze orientali, attaccano con disordine nella speranza di un facile successo, ma vengono tagliati a pezzi. I vincitori devastano il territorio, distruggono le città, riempiono di pietre i campi, ostruiscono le fonti e tagliano gli alberi fruttiferi. Indi pongono l'assedio davanti alla capitale di M. Qir Hareseth (Is. 16, 7-11; Ier 48, 31.36), l'attuale Kerak, fortificata per la sua posizione elevata (ca. 1000 m. sul mare) e fornita di acqua con lavori che richiamano i preparativi di Ezechia per la difesa di Gerusalemme contro gli Assiri (2Par. 32, 2.5.30). M. non potendo accettare battaglia tenta una sortita di scampo verso i Siri con 700 uomini. Respinto, ricorre a un estremo rimedio: immola il suo primogenito sul bastione perché il sangue della vittima lo renda inviolabile e perché Moabiti e nemici assistano. La collera di Iahweh o forse la disperata ripresa degli assediati alla vista del sacrificio del principe ereditario sono l'effetto del gesto di M. che ottiene l'allontanamento degl'Israeliti. La campagna, iniziata con successo, si conclude con uno scacco di Ioram e con la indipendenza di Moab fino ai tempi di Ieroboamo II. La stele di M. e 2Reg. 3 concordano nella fase finale dell'avvenimento anche se la Bibbia si sofferma a narrare i particolari dei successi iniziali taciuti naturalmente dalla epigrafe di M. che a sua volta si perde nelle gesta della rivolta e tace tutti gli aspetti meno gloriosi.

BIBL. - CH. CLERMONT-GANNEAU, La stèle de M., roi de Moab, Parigi 1870; M. J. LAGRANGE. L'inscription de M., in RB, 10 (1901) 522-45; G. RICCIOTTI, Storia del popolo d'Israele, I. Torino 1934, p. 405-08; A. VACCARI, La S. Bibbia, II, Firenze 1947, p. 405; La Ste Bible, ed. L. Pirot- A. Clamer, III, Parigi 1949, p. 704-09; G. BERARDI, Inscriptio Mesa regis: fac-simile (Materiale Didattico), Fano 1952.

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