ESCATOLOGIA - DIZIONARIO BIBLICO

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ESCATOLOGIA
ESCATOLOGIA
Etimologicamente, trattazione di tutto ciò che riguarda la fine di ciascun uomo (e, individuale), il futuro di una nazione (e. collettiva) e dell'umanità e del mondo fisico (e. cosmica): da *** = ultimo; in modo particolare, il giudizio finale, la resurrezione dei corpi e la fine del mondo. I moderni, parlando di e., intendono quasi esclusivamente la fine del mondo; della quale qui trattiamo: per il resto, v. le singole voci. Si sa quanto rumore e quanto danno ha prodotto il sistema formulato da J. Weiss (1892) e accettato e divulgato da A. Loisy e A. Schweitzer: l'e. cosmica sarebbe l'essenza del Vangelo. Gesù aspettava e insegnava, soltanto, l'imminente fine del mondo; la stessa morale è un ripiego, motivata da tale attesa, la quale infine spiega perché i fedeli si siano, da sé, raggruppati in comunità. S. Paolo, come i primi fedeli, sarebbe stato ossessionato da tale e. Si intendevano in tal senso: Mt. 10, 23 ss.; 16, 27 s.; 24; 26, 63· s.; Lc. 17, 20·18, 8; 1-2Ts.; I Cor 15, 51. Tale sistema, già al 1914, era superato. R. Bultmann, M. Dibelius, ecc. ammisero soltanto l'e. individuale, al di fuori del tempo; e dal 1936 in poi, Ph. Bachmann, O. Cullmann riconobbero che il Cristianesimo stesso costituisce l'ultima era, quella definitiva; il Regno di Dio non è solo celeste, è già incominciato nel tempo, solo avrà la sua manifestazione alla fine del tempo. Elemento essenziale non è la data di essa, ma la certezza di tale affermazione del regno di Dio. Nel Vecchio Testamento, l'e. è solo collettiva, nazionale, messianica: cioè, la nazione come tale, l'eletto Israele, in quanto oggetto dell'alleanza, tende e termina al Cristo, che lo eleverà ed assorbirà, nel suo regno. Manca ogni riferimento alla fine del mondo fisico. La frase "alla fine degli anni" (in novissimis diebus, o in novissimo dierum), = semplicemente "in avvenire" Gen. 49, 1; Num. 24, 14 ecc.); in contesto messianico = "alla fine dei tempi" (Is. 2, 2; Mi. 4, 1 ecc.), indica la fine dell'èra o lei periodi del Vecchio Testamento e l'inizio dell'èra messianica, perfetta e definitiva (= regno di Dio che durerà in eterno: Dan. 7, 14-27 = Lc. l, 31 s.; cf. F. Spadafora, Ezechiele, 2a ed., Torino 1951, l. 280 ss.): cf. Gal. 4, 4: «il Cristo venne alla pienezza del tempo» o «dei tempi» :Eph. 1, 10); I Cor 10, 11 «alla fine dei periodi (finis saeculorum)» o delle ère precedenti (Hebr. 9, 26; Allo, Première ep. aux. Cor., 2a ed., 1934, p. 234 s.; Id., Apocalypse, 1933, CXVII-CXIX).
Gli ultimi giorni
Gli ultimi giorni, secondo la prospettiva biblica, indicano l'era cristiana, iniziata con l'incarnazione e la glorificazione del Cristo, e che si perpetuerà eterna nella gloria della Chiesa trionfante. I profeti annunziano le manifestazioni della giustizia divina contro le genti (= giorno del Signore), con frasi («il sole s'oscurerà», «le stelle cadranno» ecc. in Is. 13, 12 per la caduta di Babilonia; 24; 14; Ez. 32, 7 s. per la rovina dell'Egitto; Ioel 2, 10; 3, 15 ecc.), che sono soltanto grandiose metafore: il castigo sarà così Temendo che la stessa natura ne sembrerà atterrita (J. M. Lagrange, A. Médebielle, in DBs, II, coll. 493-503). Queste stesse immagini ripiglierà N. Signore per preannunciare la fine di Gerusalemme (Mt. 24, 29; Mc. 13, 24 s.; Lc. 21, 25 s.). Is. 65, 17; 66, 22 parla di «cieli nuovi terra nuova», semplice immagine per indicare il rinnovamento radicale che il Messia opererà tra gli uomini (v. Rigenerazione); è la nuova creazione, opera della grazia redentrice (Gal. 6, 15; 2Cor. 5, 17; la palingenesi di Mt. 19, 28; 2Pt. 3, 13). Infine, l'intervento di Dio Giudice, nello stile profetico, è descritto con i vari elementi descrittivi (angeli, nubi, fuoco ecc.) tradizionali. Nel Nuovo Testamento l'e. è prima di tutto individuale (per ciascuno, la morte, il giudizio particolare, il premio o il castigo immediato) e quindi collettiva - universale (circa le sorti dell'umanità: risurrezione dei corpi, giudizio o trionfo finale del Cristo; fine della Chiesa militante, ed eterno gaudio della Chiesa trionfante).
Escatologia individuale
Col battesimo il cristiano (Io. 3, 5) riceve una nuova vita spirituale (Io. 1, 12 s.) che è la stessa "vita eterna", quaggiù vita della grazia, vita della gloria in cielo (Rom. 2, 7-10; 5, 2 ss. 17; 6,4.22; Io. 17, 3 ecc.). Il fedele al momento della morte passa, se persevera nel bene, dalla prima alla seconda; oppure discende nell'inferno per sempre. Ecco l'importanza di questo "giorno del Signore" o "venuta" (parusia, v.), per tutti improvvisa ("come ladro notturno"), in quanto nessuno ne conosce il tempo; e conseguentemente l'importanza di "essere preparati", di "vigilare", "aspettando il Signore" (Mt. 24, 37-51; 25, 1-30; Lc. 12, 16-21.35-46; 17, 26-35; Rom. 13, 11.14; 14, 10 s.; I Cor 7, 29-32; Phil. 2, 15 s. ecc.); di qui il desiderio del giusto di "morire per essere col Cristo" (2Cor 5, 1-10; Phil. 1, 21-26 ecc.). Gesù N. S. ha basato la sua ascetica, tenuto conto della nostra fragilità, su questo evento, che non è la fine del mondo, ma che per ciascun uomo ha lo stesso valore, lo stesso significato: la morte di ciascuno. I convinti dell'e. cosmica, dappertutto vedono la fine del mondo, mentre nei passi cit. (i principali) e in molti altri paralleli o affini, non si tratta che dell'e. individuale.
Escatologia collettivo-universale
Il regno di Dio ha una duplice fase terrestre e celeste, in perfetta continuità. Esso si identifica con la Chiesa (v.) fondata da Gesù, con a capo Pietro e i suoi successori (Mt. 16, 13.20; Io. 1, 42; 21, 15 ss.; I Cor 12; ecc.; F. Spadafora, I Pentecostali, 2a ed., Rovigo 1950, pp. 50-89); comprende buoni e cattivi (Mt . 13, 24- 30.36.43 ecc.); è l'economia della grazia (Io. 1, 16 s.;. Rom. 3, 21-31); che deve estendersi a tutto il mondo (Mc. 3, 13-19; 6, 7-13; 13, 9 s.; At. 1, 8 ecc.), e durerà fino alla fine del tempo (Mt. 28, 20). La redenzione, oltre alle anime, ha anche il suo effetto salutare su tutto l'uomo; effetto che si attuerà con l'unica risurrezione (v.) dei corpi (Rom. 8, 10-39). Questo trionfo sulla morte chiuderà la fase terrestre del Regno di Dio: il Cristo presenterà gli eletti al Padre, rimettendo tutto nelle sue mani (I Ts. 4, 14·17; I Cor. 15, 12-28.50-57; Allo, Prem. Ep. aux Cor., pp. 387-454). Nessuna determinazione circa la durata di questa fase terrestre. La dottrina evangelica sul regno di Dio nelle parabole (cf. Mt. 13), la conversione d'Israele come gruppo etnico, predetta da s. Paolo (Rom. 11, 25 s.), dopo quella delle genti, la cifra simbolica di mille anni (Ap. 20), per una durata indefinita o quanto meno lunghissima (Allo, Apocalypse, pp. CXX. 307-29) lasciano solo prevedere un corso di tempo tutt'altro che breve. Anche nel Nuovo dunque, come nel Vecchio Testamento non c'è traccia di e. cosmica, di fine del mondo fisico; è solo preannunziata la fine della vita umana sulla terra. Tenendo presenti le immagini adoperate dai profeti per indicare il "giorno del Signore" o la manifestazione della giustizia divina contro i nemici del suo regno, si spiegano con facilità Mt. 10, 23; 26, 63 s.; Lc. 22, 69 e finalmente Mt. 24, 3 (parusia); essi parlano della "venuta del Cristo" per punire la sinagoga persecutrice, i Giudei deicidi; si tratta della distruzione di Gerusalemme, la manifestazione più clamorosa del Messia Giudice e supremo vindice dei suoi fedeli (Lagrange, Évangile selon S. Mt., 4a ed., 1927, pp. Z05.507 s.; Prat, Iésus-Christ, II, p. 349). In Mt. 16, 27 s. si parla dell'affermazione o dello stabilirsi della Chiesa, con l'immagine adoperata da Dan. 7, 13 s. «venuta del Figliuol dell'uomo»; «venuta del regno di Dio») (Lc. 9, 26 s.), come organizzazione esterna, definitivamente distinta dalla Sinagoga (Lagrange, S. Mt., p. 233; Ev. selon S. Lc., p. 269 s.; v. dimostrazione in Spadafora, Gesù e la fine di Gerusalemme, pp. 17 ss. 25 ss.). Quindi da una parte il castigo dei Giudei, specialmente nella distruzione di Gerusalemme (Dio interviene per punire), e dall'altra protezione e trionfo della Chiesa (intervento in favore). Questi due aspetti della "venuta del Signore", sono congiunti nei due grandi vaticini sulla fine di Gerusalemme: Lc. 17, 20-18, 8 e Mt. 24, Mc. 13, Lc. 21. In Lc. 17, Gesù preannunzia ai discepoli le persecuzioni che li attendono dopo la sua morte. Essi allora invocheranno l'intervento del Salvatore («verrà il tempo quando desidererete vedere un solo dei giorni del Figlio dell'uomo...», v. 22; che dimostra senza dubbi trattarsi di interventi di Gesù per punire i persecutori e liberare i suoi fedeli). Ebbene il Signore interverrà, e in modo particolare "nel suo giorno", nel grande giorno (la distruzione di Gerusalemme) su cui qui si ferma (17, 25-30), e sul quale ritornerà nell'altro discorso (Mt. 24 e passi paralleli). Invece di essere inquieti per il tempo in cui esso si verificherà, i discepoli curino di essere sempre in grazia, di perseverare nel bene; perché nel castigo nazionale anch'essi potranno essere sorpresi dalla morte (17, 26-30.33.36). Agli Apostoli che chiedono dove s'abbatterà il castigo Gesù risponde con una frase proverbiale (Iob 29, 30): la preda è Gerusalemme, su cui si abbatteranno gli avvoltoi (= le legioni di Roma; cf. Mt. 24, 28; cf. L. Tondelli, Gesù, Torino 1936, pp. 364-68). In Mt. 24 e passi par. il divin Redentore inizia col predire la totale distruzione del Tempio e pertanto della capitale. I discepoli chiedono quando essa avverrà e quali segni la precederanno. È la fine di un mondo (quello giudaico, l'èra del Vecchio Testamento) e non la fine del mondo. Gesù incomincia con i segni remoti: guerre, persecuzioni contro i discepoli, predicazione del Vangelo in tutto il mondo (allora conosciuto; particolare già realizzato verso il 57 d. C. come attesta s. Paolo, Rom. 1, 8 e poi in Col. 1, 6). Il segno prossimo o ultimo, inconfondibile del castigo è l'avanzata dell'esercito Romano su Gerusalemme (Lc. 21, 20), la profanazione del Tempio fatta dagli Zeloti (Mt. 24, 15; Mc. 13, 14; 2Ts. 2, 4; Prat, Jésus Christ, II, p. 247; J. Huby, S. Mc., 4a ed., Parigi 1929, p. 343; v. Tessalonicesi). Comincia allora la grande calamità, l'assedio (Mt. 24, 21-25; Mc. 13, 20-23). L'epilogo della tragedia con la liberazione dei superstiti, che sarà palese, senza tema di sbagliarsi, come è palese un lampo che passa folgoreggiando da un punto all'altro del cielo (cf. Mt. 24, 26 ss.), è descritto con le immagini grandiose dello stile profetico, riscontrate di sopra (Mt. 24, 29 e passi paralleli: "il sole s'oscura" ecc.). Allora i Giudei, volenti o nolenti dovranno riconoscere la rivincita della Croce (Mt. 24, 30a è citazione e compimento della profezia di Zach. 12, 2: non visione fisica, ma riconoscimento - e lutto nazionale giudaico - del castigo per la crocifissione di Gesù). La fine della nazione giudaica sarà la liberazione per la Chiesa (e più direttamente, immediatamente, per la martoriata Chiesa di Palestina): Lc. 21, 28.31; il suo sviluppo se ne avvantaggerà. La protezione del Signore per i fedeli è espressa con gli elementi descrittivi, notati nei profeti (Mt. 24, 30b.31; Mc. n, 26 s. = Dan. 7, 13 s.; ecc.). Dio "raduna" i suoi eletti, come aveva cercato invano di "radunare" (lo stesso verbo ***) gli abitanti di Gerusalemme, come la gallina fa con i suoi pulcini; immagine viva della protezione, della cura. Si tratta principalmente di un vaticinio di conforto e di vittoria per la Chiesa nascente, cui è coordinato l'annunzio preciso della fine di Gerusalemme e della nazione giudaica; come lo stesso Gesù espressamente fa rilevare nella parabola del fico (Mt. 24, 32 ss.; Mc. 13, 28 s.; Lc. 21, 29 ss.). Tutto avverrà nell'ambito di quella generazione (non oltre 40 anni), mentre il momento esatto è taciuto (Mt. 24, 34 ss.). Seguono quindi gli ammonimenti per la vigilanza. (Esegesi lodata ed approvata in pieno da P. Benoit, in RB, 59 [1952] 119 s.; Id., Com. à S. Mt., La Bible de Jérusalem, Parigi 1950, p. 135 ss.; C. SPICQ, in RScPhTh, 36 [1952] 166 nota 53). Nulla c'è nella Scrittura del ritorno di Elia (v.) alla fine del mondo, e dell'apparizione e lotta di un Anticristo (v.). Ogni e. cosmica manca in s. Paolo come manca in lui e nei primi fedeli qualsiasi attesa della fine del mondo. V. Tessalonicesi 1-11. Il celebre passo I Ts. 4, 15 va così tradotto: «Noi vivi, superstiti, alla venuta gloriosa e finale del Signore, saremo uniti ai nostri morti; ché prima tutti risorgeremo e quindi, tutti insieme voleremo verso il Cristo» (A. Romeo in VD, [1929] 301-12. 339-47.360-64; K. Staab). E I Cor 15, 51: «Tutti risorgeremo (= *** come ben traduce la versione latina), e tutti saremo trasformati» (A. Romeo, in VD, 14 [1934], 142-48.250-55.267· 75.313-20.375- 83; Id., v. Parusia, in Enc. Catt. It., IX, coll. 875-82).
[F. S.]

BIBL. - A. FEUILLET, Lc. 17, 20-18, 8, in RSeR, 35 (1948) 481-502; 56 (1949) 61-92: Io. Mt. 24-25, in RE, 56 (1949) 340-64; 57 (1950) 62-91, 180-211; ID., Le triomphe eschatologique de Jésus d'après quelques textes isolés des Evangiles (Mt. 10, 23: 16, 27 s.: 19, 28), in NRTh. 81 (1949) 701-22: ID., (Mt. 23, 37 ss.; 26, 64: Io. 21, 21 ss.), ibid., 806-28; J. BONSIRVEN, Il Vangelo di Paolo, Roma 1951, pp. 329-68; F. SPADAFORA, Gesù e la fine di Gerusalemme, Rovigo 1950 (dimostrazione completa con ricca bibliografia).

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