DECALOGO - DECAPOLI - DECIMA - DIZIONARIO BIBLICO

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DECALOGO - DECAPOLI - DECIMA
DECALOGO
I dieci comandamenti (***: Ex. 34, 28; Deut. 10, 4 nella versione greca), essenza dell'alleanza (v.) del Sinai e di tutto il Vecchio Testamento (Ex. 20, 1-17; Deut. 5, 6-22). I primi tre sono d'indole religiosa: - monoteismo, con l'esclusione di ogni forma idolatrica; rispetto del nome divino; riposo sabatico; - gli altri sono d'indole morale. Al 1°, base e radice di tutti gli altri, è connessa la sanzione (Ex. 20, 2-6: v. Alleanza) che, per il castigo, ebbe il suo compimento nella distruzione del regno di Samaria (722 a, C.) e di quello di Giuda (587 a. C.) con l'esilio dei superstiti (cf. Lev. 26; Deut. 2.8); per il premio, frutto della grande misericordia di Dio, nella conversione e nel ritorno di cc un resto», nella restaurazione del nuovo Israele, nell'avvento del Messia (v.) e, infine, nella futura conversione di Israele al cristianesimo (Rom. 11, 25 ss.). La Chiesa cattolica (con i Giudei e i Luterani) considera la proibizione di ogni scultura e immagine idolatrica (Ex. 20, 4 s.) un semplice complemento del lo comandamento, e non come un precetto distinto; mentre distingue, a ragione, nel v. 17 la brama della roba, e quella della donna altrui, in due precetti specificatamente diversi. (A. Vaccari, in VD, 17 [1937] 317-20. 329-334). La dottrina monoteistica e morale del D. è la caratteristica peculiare, vera prerogativa d'Israele, di fronte a tutti gli altri popoli. Basati sulla legge naturale (s. Tommaso, Sum. Theol. 1-2 q. 100, aa. 1.3.11) questi precetti, pur diretti alla nazione come tale (v. Alleanza) impegnavano ciascun membro di essa (individualismo); e sono ancora nella coscienza degli uomini di tutti i tempi (universalismo); così sono entrati immutati nell'alleanza definitiva suggellata da Gesù N. Signore (Enc. Catt. It., IV, 1261). Tra Ex. e Deut. (l. cit.) ci sono numerose varianti, ma secondarie. L'Esodo motiva l'osservanza del sabato con il riposo divino dopo i sei giorni della creazione; nel Deut. è un motivo di umanità che non esclude il precedente. L'Ex. pone la donna tra le cose dell'uomo, secondo la concezione vigente in regime patriarcale; il Deut. la pone a parte. Per il resto si tratta di modificazioni letterarie accidentali; e il celebre papiro di Nash, sec. I-II d. C., che contiene frammenti di Deut. 5, 6-22 (v. Papiri; cf. A. Vaccari, in VD, 1923, 283-6) ne offre delle proprie. Tali divergenze per. mettono di concludere con ogni probabilità che sulle due pietre furono scolpiti soltanto i precetti (ad es.: non rubare), senza i motivi che spesso li accompagnano; questi furono posti nella redazione successiva dei due libri Esodo e Deut. Tutti gli esegeti cattolici (cf. tra gli acattolici, L. Lemme, G. Wildeboer, ecc.; la maggior parte dei critici più a contatto con la letteratura egiziana e babilonese - R. Kittel, A. Jirku, E. Sellin, P. Volz, ecc. - lo ritengono sostanzialmente mosaico) riconoscono Mosè autore del D. anche per la stessa forma letteraria; nella quale però ammettono ritocchi ulteriori, e in particolari secondari. I profeti inculcano l'osservanza dei precetti del D. (A. Gambert): Os 4, 2. 13; 6, 9; Ier 7, 9 ecc.; particolarmente del primo; e li suppongono già conosciuti dal popolo (Am. 2, 4-14; Os 4, 6; 6, 5-11 ecc.; cf. l'esplicito riferimento di Ez. 20, 10 ss.: precetti dati da Iahweh ad Israele nel deserto, tra i quali, quello di santificare il sabato). Documenti antichissimi del tempo di Mosè attestano l'uso di incidere sulla pietra (Ex. 24, 12; Deut. 9, 9) scritti importanti di natura religiosa o politica, deponendoli in luoghi sacri. In un trattato tra Shuppiluliumas re di Hatti e Mattiuzza re di Mitanni è detto che copia del documento venga depositato nel tempio di Shamas.
[F. S.]

BIBL. - F. SPADAFORA, in Enc. Catt. It., IV. 1261 s., con ampia bibl.: A. EBERHARTER, in DBs, II, coll. 341-51: M. VALENTINI, Le condizioni sociali del D. e la sua autenticità mosaica, in Salesianum, l (1939) 407-20; A. CLAMER. Le Deuter. (La Ste Bible. ed. Pirot, 2), Parigi 1940, pp. 548-56; H. SIMON - J. PRADO, Vetus Test., I, 6a ed., Torino 1949, pp. 235-42; H. H. ROWLEY, Mose et le Décalogue, in RHPhR, 32 (1952) 7-40.

DECAPOLI
Confederazione di dieci città ellenistiche, situate tutte, eccetto Scitopoli, oltre il Giordano, ricordate nei Vangeli (Mt. 4, 25; Mc. 5, 20; 7, 31), in F. Giuseppe (Vita 65, 341 ss.; 74, 410), Plinio (Historia Nat. 5, 18, 74) ed in un'iscrizione palmirena (Corpus inscrip. graec., n. 4501). Per intervento di Pompeo M. nel 64 a. C. le città della D. raggiunsero la libertà dalle locali autorità e l'autonomia urbana con diretta dipendenza dal procuratore di Siria. Erano costituite da coloni greci, penetratici al tempo dei Tolomei e dei Seleucidi, ellenistici di lingua, religione e legge. I Giudei, pochissimi, erano soltanto tollerati e privi di diritto di cittadinanza; ma godevano libertà di religione e di culto. Non sempre fu costante né il numero né il nome delle città (però il nome "decapoli" rimase immutato) giacché, in seguito a cambiamenti politici, alcune città uscirono dalla confederazione mentre altre vi entrarono. Secondo Plinio (Hist. Nat. 5, 18, 74) le dieci città erano: Damasco; Hippos (Qual'at el Hosn); Gadara (Mukeis) che fu con Hippos donata da Augusto ad Erode ma riacquistò con questa l'autonomia dopo la morte di Mode; Refana (er Rafeh); Canatha (Qanawat, vicina a er Rafeh al confine occidentale del monte Hawran); Scitopoli (Beisan); Pella (Tabaqat Fahil, al confine settentrionale della Perea); Dion (Kefr Dahim, nell"Aglun); Gerasa (Geras) e Filadelfia ('Amman). Nel sec. II d. C. coll'incorporazione di Gerasa e di Filadelfia alla provincia romana dell'Arabia, la D. si sciolse e ne rimase solo il ricordo presso scrittori ecclesiastici (Eusebio ed Epifanio). Cristo fu seguito da folle della D. al principio del suo ministero (Mt. 4, 25), ne attraversò il territorio, guarendo il sordomuto (Mc. 7, 31-37), quando da Sidone raggiunse il lago di Genezareth; vi guarì un indemoniato che divenne, su suo invito, il primo missionario della D. (Mc. 5, 2-20).
[A. R.]

BIBL. - U. HOLZMEISTER, Storia dei tempi del Nuovo Testamento. (trad. it. e rimaneggiamento del P. Zedda). Torino 1950, pp. 134-14.4 (collezione La S. Bibbia).

DECIMA
Porzione del prodotto (decima parte) che ogni israelita doveva versare al santuario di Gerusalemme per il sostenimento dei leviti, i quali, alla loro volta, dovevano prelevare la decima delle decime e versarla al sommo sacerdote a beneficio degli altri sacerdoti (Lev. 27, 30. 33; Num. 18, 20·32). Soggetti della d. erano il grano, il mosto, l'olio, i frutti degli alberi, nonché i nati degli animali come buoi, capre, pecore (Lev. 27, 32). Al tempo di Gesù, l'insegnamento farisaico estese l'obbligo della d. anche agli ortaggi e alle erbe del giardino (Mt. 23, 3; Lc. 11, 42; 18, 12), e la Misnah (Ma'a'ser 1, 1) a tutto ciò che si mangia e viene dalla terra. La d., praticata nel popolo di Dio fin dall'epoca patriarcale (Abramo già offre la d. a Melchisedec [Gen 14, 20; Hebr. 7, 4]) e in uso anche presso molti popoli antichi, cf. Erodoto, Diodoro di Sicilia, Plutarco, Cicerone, ha come presupposto che Dio è il padrone della terra e dei suoi prodotti, e che Israele non era che l'usufruttuario (Lev. 25, 23; Deut. 26, l ss.); la base religiosa nella d., è presente anche presso i Greci e i Romani. Della complessa legislazione mosaica sulla d., ecco alcuni punti fondamentali: a) la d. dev'essere consegnata con lealtà, e chi avesse sostituito con altro deteriore, l'animale su cui era caduta la scelta, era tenuto a dare al Signore tanto il primo quanto il secondo (Lev. 2,7, 32 s.). In Eccli. 35, n ss. si fa espressa raccomandazione di pagare la d. al Signore con animo ilare, perché Egli saprà ricompensare sette volte tanto; b) la d. anziché in natura, poteva esser pagata anche in denaro, ma in tal caso bisognava aggiungere un quinto del suo valore (Lev. 27, 31); c) la d. non veniva pagata durante l'anno sabatico e giubilare dal momento che il raccolto non apparteneva al proprietario della terra (Ex. 23, 10-11; Lev. 25, 1·7); v. Giubileo. L'istituto della d. sopravvisse alla catastrofe nazionale ebraica del 587 a. C. (distruzione di Gerus. ed esilio babilonico). I reduci dall'esilio, infatti, promettono di pagare regolarmente la d. (Neh. 10, 38 ss. [37 ss.]; 13, 5.12); tale uso è supposto anche nel Nuovo Testamento (Mt. 23, 3; Lc. 18, 12). Con la d., non vanno confuse le primizie (v.), ossia i primi frutti da qualunque parte provenissero (Ex. 23, 19; 34, 26).
[B. P.]

BIBL. - E. KARL, Archeol.. Biblica, trad. ital., Torino 1942, 155 s.; G. PRIERO, Tobia, Torino-Roma 1953, pp. 44-47.

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