FORME (STORIA DELLE) - FRATELLI DI GESÚ - DIZIONARIO BIBLICO

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FORME (STORIA DELLE) - FRATELLI DI GESÚ
FORME (STORIA DELLE)
Il «metodo della s. di f.» (Formgeschichtliche Methode) è il sistema che cerca di spiegare l'origine dei Vangeli, di determinarne il grado di storicità, con l'analisi delle "forme" (o generi) letterarie dei Vangeli e con l'evoluzione delle medesime, specchio e frutto dell'ambiente sociale e religioso. Sorto in Germania ad opera di K. S. Schmidt (1919), M. Dibelius (1919), R. Bultmann (1921: che parla di Storia della tradizione primitiva o sinottica), ha come precursore H. Gunkel che applicò analoghi criteri al V. T. e li suggerì per il N. Nel sistema si distinguono due correnti affini, il metodo costruttivo o sintetico di Dibelius e quello analitico di Bultmann e Bertram. Il primo parte dall'organizzazione della primitiva comunità cristiana come ci è nota dagli scritti contemporanei, con le sue tendenze ed attività principali (culto di Gesù, predicazione, istruzione, dispute polemiche), per individuare i generi letterari corrispondenti a queste attività. Essi sarebbero principalmente il paradigma (specie di apologo) e la novella (racconto più sviluppato): espressioni della letteratura popolare, che è creazione della collettività impersonale e che trascura i dati cronologici e geografici. Gli evangelisti non avrebbero fatto che raccogliere tali paradigmi, novelle, ecc., talvolta già raggruppati in cicli (p. es. il ciclo dell'infanzia di Gesù, o del mistero galilaico, o della passione), solo aggiungendovi, al principio o alla fine, delle frasi di collegamento, spesso relative a circostanze cronologiche e topografiche: così sarebbero sorti i Vangeli. Da essi quindi potremmo ricavare al più quale idea la comunità primitiva avesse di Gesù, l'enorme influsso esercitato da lui sui primi suoi seguaci e l'evoluzione di tale stima fino all'adorazione di lui come "Kyrios" e figlio di Dio. A risultati sostanzialmente identici arriva il metodo analitico. Esso separa gli episodi evangelici e li assegna ad alcuni generi letterari: apoftegmi (detti memorabili, inquadrati in una cornice scenica a carattere biografico o polemico, spesso accompagnati dal miracolo), tradizioni (narrative o legislative), e pochi altri. In ognuno di essi, storico può essere forse il detto o il fatto centrale più semplice, che poi la Comunità avrebbe arricchito di particolari, quasi per giustificare qualche sua prassi antigiudaica o l'adorazione di Gesù. È da notare nella s. d. f. l'importanza riconosciuta alla catechesi (v.) apostolica; e l'utilità, per l'esegesi, dei generi letterari e del paragone con le altre letterature. Ma troppo aprioristica nel metodo è la determinazione di quest'ultimi e della loro evoluzione; il tempo che separa la stesura dei Sinottici dalla morte di Gesù N. S. è troppo breve per poter dar posto ad una trasformazione ideale operata dalla collettività circa la sua persona e le sue opere. La collettività creatrice è solo un mito della scuola sociologica (E. Durkheim): un fantasma "metafisico". L'esame interno ci svela nei singoli Vangeli la persona affatto caratteristica dei rispettivi autori e non di semplici compilatori, come il sistema li riduce. È certo che a capo delle prime comunità cristiane vi furono delle personalità forti, come Pietro, Giacomo, Paolo, ecc.; da esse promana la catechesi riflessa direttamente e fedelmente nei Vangeli. Il Dorado (v. bibl.) nella critica alla Formgeschichte così si esprime (p. 11): «Contro il dogma cattolico, (il metodo suddetto) perverte le nozioni della ispirazione, della inerranza e della tradizione apostolica». Eguale giudizio è dato da E. Florit (v. bibl., 1935): «Nel sistema non si dà parte alcuna ad un intervento soprannaturale della composizione degli Evangeli», quindi, ispirazione divina ed inerranza sono escluse (p. 37). E nella conclusione (P. 164), bene descrive a che cosa porti l'applicazione di detto «metodo»: «Da tutto l'insieme dei criteri letterari e dei presupposti storico-psicologici cui si appoggia, la «storia delle forme», nel suo esame della narrazione in questione (la Passione), che cosa ne risulta se non un'opera di demolizione, senza alcuna ricostruzione, che possa ritenersi fondata su base scientifica?». Notevole, ancora, la critica di L. de Grandmaison nel suo classico studio Jésus Christ, I, 2a ed., Parigi 1928, pp. 41·56,; 328 ss. e ancora p. 195 ss. «Nei racconti miracolosi dell'Evangelo, il significato dell'insieme, così forte e spesso così "criante de vérité", perisce completamente quando si sottopongono i testi a questa artificiosa decomposizione (il metodo della Formgeschichte). Nessuna pagina di storia resisterebbe a questa chimica» (p. 329;). A p. 48 s. chiama l'applicazione del "metodo" agli evangeli «una anatomizzazione arbitraria», «un'analisi estremamente azzardata e talvolta affatto soggettiva»), «una specie dì divinazione». E il P. Benoit (v. bibl.) così conclude: «Che resta dunque di storico, se si eliminano tutte queste creazioni della comunità? Pochissimo, quasi nulla; un "abrégé" del tutto incolore (perché - si ricordi - a base dei vari sistemi c'è la necessità di escludere il soprannaturale, sempre ritenuto impossibile): Gesù di Galilea, che si ritenne profeta, e che pertanto ha dovuto parlare e agire in questo senso, senza poter dire con esattezza cosa abbia insegnato e cosa abbia fatto; e infine che è morto miseramente. Tutto il resto, la sua origine divina, la sua missione di salvezza, le prove da lui donate con i discorsi e i suoi miracoli, la Risurrezione che ha sanzionato la sua opera, tutto ciò è puro artificio, proveniente dalla fede e dal culto, e rivestito da una tradizione leggendaria, che si è formata nel corso delle predicazioni e delle lotte della comunità primitiva». Questo metodo, che sembrava a prima vista originale e scientifico, si appalesa artificiale e soggettivo, appena lo si vuole applicare nelle sue formulazioni. Ci troviamo di fronte ad un complesso di affermazioni, di analisi, che partono da alcune premesse-base, ritenute come vere, ma indimostrate; si tratta di presupposti, di postulati che all'esame si rivelano tutti in. consistenti e nettamente contrari alla realtà: il "mito" della "comunità creatrice", preso dal sociologismo del Durkheim; il presupposto che la comunità cristiana primitiva aspettava l'imminente fine del mondo (il vecchio escatologismo, ormai superato, v. Escatologia) e quindi non pensò mai di fare opera di storia, da tramandare; l'affermazione gratuita che la "redazione" degli evangeli sinottici o "cucitura" delle foglie sparse, apparse anonime, nella comunità primitiva risalga dopo il 70 della nostra èra, appunto per dare il tempo (almeno quarant'anni) che tali elaborazioni popolari possano formarsi; mentre autori dei nostri quattro evangeli sono Matteo, Marco, Luca, Giovanni (v. singole voci); veramente autori, come particolarmente per Marco e per Luca la critica interna indiscutibilmente stabilisce: cf. ultimo, il commento a Marco di V. Taylor (acattolico). Cf. l'esemplificazione e la dimostrazione offerte da F. Spadafora, La critica e gli Evangeli, in Settimana del Clero 22 e 29 nov. 1959. I sistemi "critici" sorgono, vivono una vita più o meno breve, più o meno tormentata, per essere quindi sostituiti da altri (come sta succedendo per lo stesso («Metodo della Storia delle Forme»). È un errore di metodo e di "buon senso" appoggiarsi a uno di essi, sia pure il più recente, e sacrificargli, così alla leggera, qualcuno di quei dati positivi che han resistito a tanti attacchi e che soli, corroborati dalla critica interna, ci permettono di affermare, di difendere la storicità dei fatti evangelici, anche soprannaturali, e la esatta rispondenza dell'insegnamento evangelico con le sentenze e l'insegnamento di Gesù N. Signore. Nella rassegna del P. B. Rigaux, L'historicité de Jésus devant l'exégèse récente, in RH 65 (1958) 481-522, il lettore ha un panorama dell'opposizione che la Formg. ha trovato e trova tra gli acattolici in Inghilterra e nella Scandinavia (pp. 495-499). «Les Anglais ne sympathisent guère, en général, avec les spéculations existentialistes de Bultmann. Hunter, dont les ouvrages d'introduction sont fort répandus et jouissent d'une rebelle autorité, écrit que dans son pays les témoins ne sont pas traités en accusés, et ailleurs, que le scepticisme de Bultmann est varié et passager»: «non deve essere preso sul serio» (A. M. HUNTER, Introducing New Testament Theology, Londra 1957; ID., Interpreting the New Testament 1900-1950, ivi 1951, pagine 34-60).
[L. V.- F. S.]

BIBL. - E. FLORIT, in Biblica, 14 (1933) 212-48; ID., Il metodo della "Storia delle Forme" e sua applicazione al racconto della passione, Roma, 1935; F. M. BRAUN, in DBs, III, coll. 312-7; E. SCHIK, Formengeschichte und Synoptikerexegese (Neutest. Abhandl. XVIII, 2- 3), Munster i.W. 1940; cf. RHE, 37 (1941) 213 s.; P. BENOIT, in RB, 53 (1946) 481-512; N. MOCClA, L'istituzione della SS. Eucaristia secondo il metodo della storia delle forme, Napoli, 1955. Tra i cattolici che, indebitamente e senza alcuna preoccupazione della dottrina cattolica circa la ispirazione e la inerranza, addirittura divulgano la "Storia delle Forme", tacendo delle critiche precedenti, fatte dal De Grandmaison al Braun, Fiorit, Dorado. sono: X. LÉON-DUFOUR, Les évangeliques synoptiques, nella Introduction à la Bible, II (A. Robert A. Feuillet), Tournai 1959, pp. 157 ss.; 297-334; P. ROSSANO, nella Introduzione alla Bibbia (L. Moraldi-St. Lyonnet), IV, I Vangeli (ed. Marietti), Torino 1959, pp. 55-87; I. RANDELLINI, I Vangeli sinottici, nella Introduzione al Nuovo Testamento (G. Rinaldi-P. De Benedetti), Morcelliana, Brescia 1961, pp. 35-218. È un entusiasmo inconsulto, dovuto alla inesperienza. Per le conseguenze cui si è pervenuti, cf. F. SPADAFORA, Un documento notevolissimo per l’esegesi cattolica (commento al «Monitum» del S. Offizio del 20 giugno 1961), in Palestra del Clero 40 (1961) 969-981: fasc. del 15 settembre.

FRATELLI DI GESÚ
Spesso il Nuovo Testamento parla «dei fratelli e delle sorelle di Gesù» (Mt. 12, 46 s.; 13, 55 s.; Mc. 3, 31 s.; 6, 3; Lc. 8, 19 s.; Io. 2, 12 ... At. 1, 14; I Cor 9, 5 ... ). Conosciamo i nomi di alcuni: Giacomo (Gal. l, 19), Giuseppe, Giuda e Simone (Mt. 13, 55; Mc. 6, 3). Alcuni eretici antichi (Elvidio, Celso), e moderni protestanti, pretesero da questa espressione evangelica, negare la perpetua verginità di Maria SS. In realtà, si tratta soltanto di "cugini", o "parenti" in genere. L'ebraico e l'aramaico, lingua dei Giudei di Palestina al tempo di Gesù e degli Apostoli, non hanno un termine distinto per indicare: cugino, nipote, cognato; esprimono tali gradi di consanguineità o affinità col termine; fratello, sorella, se non vogliono ricorrere a lunghe circonlocuzioni, quale «figlio del fratello del padre», ecc. Lot, Giacobbe sono rispettivamente nipoti di Abramo (Gen. 11, 27; 14, 12), di Labano, eppure son detti loro fratelli (Gen. 13, 8; 29, 15). In I Par. 23, 21 s. i figli di un certo Cis son detti "fratelli' delle figlie di Eleazaro, mentre sono soltanto "cugini", ché Cis ed Eleazaro son fratelli germani. È inutile addurre altri esempi. Ora i Vangeli, scritti nel greco comune, parlato in Palestina, con i provincialismi propri della regione, sia nel significato dei vocaboli, sia nella costruzione del periodo, vanno interpretati tenendo presente tale caratteristica (cf. Lc. l, 37: il greco *** rende l'ebraico dabar; e va tradotto: «ché nulla è impossibile a Dio», e non «giacché non è impossibile a Dio alcuna parola». Nessuna meraviglia pertanto se nei Vangeli e nel resto del Nuovo Testamento ***; "fratello" rende l'ebraico 'ah fratello in senso proprio, ma anche "cugino" o altro grado di consanguineità, o di semplice affinità. La frase aramaica "f. d. G." divenuta per dir così tradizionale, fu conservata tal quale nel greco, sebbene si tratti in realtà di soli "cugini". L'esame critico-esegetico dimostra ineccepibilmente il senso dell'espressione. Di almeno due f. d. G., cioè di Giacomo e di Giuseppe, i Vangeli danno il nome "della madre: «Maria, sorella (= cognata) della madre di Gesù» (Mt. 27, 56; Mc. 15, 40; 16, 1; e cf. Io. 19, 25). Sono dunque certamente "cugini" di Gesù (figli di un fratello di s. Giuseppe) e tuttavia il Nuovo Testamento li chiama sempre "f. d. G.". Di altri due: Simone e Giuda, lo storico Egesippo (che scrisse verso il 180 a Roma 5 libri di Memorie), attesta fossero cugini di N. Signore; e si possono trovare accenni di tale affermazione in Io. 19, 25; con Mc. 15, 50 (v. Alfeo). Mai nel Nuovo Testamento alcuno" di questi "f. d. G." vien detto «figlio di Maria» o «figlio di Giuseppe». Mentre ogni qualvolta troviamo accanto al nome di Maria SS. l'appellativo di Madre, segue sempre la netta specificazione "di Gesù". E ai piedi della Croce, Gesù affida la sua Madre a Giovanni, un apostolo: «Ecco tuo Figlio», «Ecco tua Madre» (Io. 19, 25 ss.). Maria SS. all'Angelo svela il suo proposito di verginità per il futuro (Lc. 1, 26 ss.); e Iddio, per rispettarlo, compiva un miracolo al tutto singolare, consacrandola Vergine e Madre.
[F. S.]

BIBL. - H. SIMON-J. PRADO, Novum Test., I, 6a ed., Torino 1944, pp. 425-30, con ricca bibl.: U. HOLZMEISTER, De Sancto Joseph quaestiones biblicae, Roma 1945, pp. 42-67: P. TEOFILO GARCIA DA ORBISO, Epistula s. Iacobi, Lateranum, Roma 1954, pp. 11-23.

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