Dio - DIZIONARIO DI PASTORALE

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Dio

D
di J. M. González Ruiz
Nell'universo culturale in cui ci muoviamo, l'espressione e il concetto Dio occupa principalmente due spazi simbolici. Uno, di origine semita, ricava dalla radice al il concetto di potenza e stovranità: per questi mondi, Dio è l'ultimo riferimento del potere umano e cosmico. Così, nel mondo arabo, Dio è chiamato Allàh, e nel mondo ebraico, El o Elohim. L'altro Spazio è di origine indo‑europea, da cui pare che il significato originale del latino Deus e del greco Theòs derivi da una radice sanscrita che significa luce, illuminazione. Secondo questa concezione, Dio è la luce, il sapere. Però, non possiamo negare che i due spazi culturali, lungo i secoli, abbiano interferito reciprocamente, di modo che, in genere, Dio è concepito come potere supremo e come sapienza profonda.
In entrambi gli spazi, c'è stato il fenomeno del politeismo o pluralità di dèi. Però, sopravvisse sempre la consapevolezza che questa pluralità era un travisamento avvenuto storicamente per la malvagità umana. Così, dunque, si esprimeva il greco Senofane parlando dei suoi concittadini Omero ed Esiodo, anteriori a lui di quattro secoli: « Omero ed Esiodo hanno attribuito agli dèi tutto quello che tra gli uomini è biasimevole e indecoroso: furto, adulterio e inganni reciproci ». un passo anàåõfurto, adulterio e inganni reciproci ». Di qui, trae come conseguenza che gli uomini hanno creato gli dèi a loro immagine: « Se i buoi, i cavalli e i leoni avessero mani e potessero fare opere come gli uomini, dipingerebbero i corpi degli dèi sulla loro somiglanza ». Con questo, vogliamo dire che gli dèi del politeismo non sono fantasie capricciose e puerili, ma sono poteri reali. I1 potere umano ha bisogno di proiettare se stesso in un mondo superiore che giustifichi e legittimi le proprie deviazioni. Solo la fede in un Dio creatore sfugge alle conseguenze dell'antropomorfismo.
Nel caso contrario, si può ricordare un racconto cinese. Il contadino Wang Lu era disperato da una fame terribile. Andò allora nel piccolo tempio degli dèi del suo territorio, e tagliò decisamente il volto al piccolo dio inalterabile, seduto assieme alla sua dèa. Li trascura, non presenta più offerte e non si cura delle loro immagini. « Questo, dice, succede agli dèi che fannno cose cattive agli uomini ». Però, quando ritorna il bello, offre un po' d'incenso ai suoi dèi. « Tutto sommato, dice, hanno potere sulla terra ».
Per questo, quando i Greci colti e consapevoli vogliono liberarsi dal potere che li opprime, la prima cosa da risolvere è il culto di alcuni « dèi dal volto umano ». Euripide scriveva: « Un dio non ha bisogno di niente, se è veramente un dio ». Da questa denuncia del politeismo, si giunge o alla fede in un Dio creatore e trascendente, o all'Ateismo religioso, come avviene nel buddismo e nel bramanesimo. Perché, infatti, si dovrebbero adorare gli dèi? Dovunque si trovino il potere e l'uomo, sulla frontiera dell'umanità, sorge questa domanda, sia nell'antica Babilonia sia nel libro di Giobbe o nei tragici greci. Il potere non ha ragione per sé: bisogna dimostrarlo.
Nell'ambiente ebraico (che è quello che più ci interessa), vediamo che il popolo d'Israele, in un primo tempo della sua storia religiosa, adorava il proprio dio ? JHWH o Elohim ?, ritenendolo superiore agli dèi degli altri popoli, anche quelli più potenti. Si tratterebbe di un enoteismo (« religione del dio numero uno »). Tuttavia, si può dire che fin dal principio, la fede d'Israele è praticamente monoteista (« religione del Dio unico »). Mosè non fu un riformatore religioso sullo stile del faraone egiziano Amenofi IV che introdusse una nuova religione sopprimendo e perseguitando quella precedente. Il monoteismo * è differente anche dal movimento che in Babilonia aveva assicurato la supremazia al dio Marduk riducendo tutti gli altri dèi alla personificazione delle sue varie funzioni. Il problema dell'esistenza o della non esistenza di altri dèi era fuori dall'orizzonte immediato di Mosè: egli ebbe la rivelazione di un Dio che per sua forza e vitalità e per l'esigenza di sottomissione totale dei suoi adoratori non poteva praticamente lasciare spazio ad altri dèi accanto a lui. In seguito, i profeti purificarono la concezione di Dio portando il monoteismo alle sue più alte vette: JHWH non è soltanto il Dio d'Israele, ma il Dio di tutti i popoli e il creatore di tutto ciò che esiste. Con ciò, era impossibile che i poteri umani plasmassero a loro capriccio le figure divinizzate per giustificare con esse le loro fantasie e velleità, Dio relativizza ogni potere, ogni autorità e ogni sapienza. Egli è la migliore garanzia contro ogni tentativo di oppressione da parte dei potenti.
Nel NT, non c'è un'idea originale di Dio: si accetta pienamente il concetto dell'AT, soprattutto nella versione dei profeti e dei sapienti (libri sapienziali e apocalittici). Tuttavia, bisogna riconoscere che si sottolinea fortemente l'universalità di Dio: Israele cessa di essere il popolo eletto: all'« Israele secondo la carne » (Israele storico), succede l'« Israele secondo lo spirito » (il nuovo popolo di Dio senza frontiere etniche).
Questa fede in Dio, senza rinunciare minimamente al suo rigoroso monoteismo, si orienta verso una misteriosa pluralità all'interno dell'unico Dio (cf Trinità): Dio‑Padre, Dio‑Figlio, Dio‑Spirito. E tutti questi paradossi culminano nel rapporto che unisce il Dio eterno con l'uomo Gesù. Proprio qui, nella relazione tra la dottrina del Dio unico e la cristologia, appare l'originalità della religione biblica. Questa originalità fu di un calibro tale che gli Ebrei giunsero a credere che il monoteismo fosse minacciato dall'insegnamento di Gesù Cristo. Però, dal vangelo di Marco e dai primi scritti di san Paolo fino all'Apocalisse di Giovanni, rimane fermo e rigido il vecchio monoteismo d'Israele, nonostante che a Gesù vengano attribuite esplicitamente le prerogative che l'AT dava a JHWH.
Lungo i secoli cristiani, la fede in Dio è stata posta in dubbio, ritenendola incompatibile con la fede nell'uomo. Però, fu soprattutto a partire dal Rinascimento del secolo XV,e successivamente, con l'Illuminismo del secolo XVIII, che l'antica fede in un solo Dio creatore, uno e trino, fu messa in dubbio per la sua presunta incompatibilità col progresso della mente e del potere dell'uomo. Questa lotta ha avuto la sua espressione massima nell' »ateismo militante », professato da Karl Marx e dai suoi seguaci. Secondo loro, in un mondo dove l'uomo è re, non c'è posto per un dio che gli faccia competenza, soprattutto, se questo dio è invocato dalla classe dirigente per legittimare con ciò la sua oppressione sul proletariato. Questa comparsa dell'ateismo militante ha scosso le coscienze dei credenti, soprattutto dei cristiani e li ha costretti a riproporsi tutto il problema su Dio.
Oggi, i credenti non sono costretti come una volta a rendere razionale la loro dottrina su Dio. Piuttosto, si sentono spinti ad offrire una prassi che, essendo la conseguenza rigorosa della loro fede, implichi la liberazione dell'uomo di fronte a tutti i poteri che lo opprimono: politici, economici, culturali e perfino religiosi. Questo comporta logicamente una costante autocritica delle Chiese per potere in questo modo essere allo stesso livello di tutte le forze umane che si occupano e si preoccupano per migliorare l'umanità.

Bibliografia
Finkenzeller J., Il problema di Dio. Il primo capitolo della teologia cristiana, Ed. Paoline, Cinisello B., 1986. Gogarten F., L'uomo tra Dio e mondo, Ed. dehoniane, Bologna, 1971. Mancini I., « Dio », in: Nuovo Dizionario di Teologia, Ed. Paoline, Cinisello B., , pp. 306‑336. Ramsey I.T., Parlare di Dio, Ed. Longanesi, Milano, 1970. Schillebeecks E., Dio e l'uomo, Ed. Paoline, Roma.
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