Violenza - DIZIONARIO DI PASTORALE

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Violenza

V
di L. González‑Carvajal
Chiamiamo violenza qualsiasi atto che attenti all'integrità corporale o all'identità personale dei singoli o dei gruppi. Nel primo caso, siamo di fronte alla violenza fisica; nel secondo, di fronte alla violenza psicologica. L'esercizio della violenza non richiede sempre la vicinanza: esiste anche una violenza strutturale, che si esercita attraverso le strutture socio‑economiche, e può essere distruttiva quanto le altre. Infatti, giunge alle volte fino a privare dei mezzi indispensabili per vivere. Si discute se la violenza sia innata o acquisita. Secondo noi, nasciamo tutti con un quoziente grande o piccolo di aggressività. Questo, se è usato rettamente, è benefico; se, invece, è orientato male, degenera in violenza. Le due forme ambientali che offrono il maggior pericolo di trasformare l'aggressività innata in violenza sono: la mancanza di amore e la riduzione all'impotenza.
Quantunque la violenza sia presente dovunque, essa esercita un compito di speciale importanza nell'ambito politico come argomento di ultima istanza per risolvere i conflitti, tanto nello scenario nazionale quanto, soprattutto, in quello internazionale. Secondo la famosa espressione del Maresciallo Van Clausewitz, « la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi ». La violenza tra nazioni è oggi più pericolosa che mai, a causa del potenziale distruttivo delle armi moderne e delle forti somme che vengono erogate per la difesa (800.000 milioni di dollari all'anno). Però, i conflitti armati continueranno ad essere inevitabili finché ogni stato‑nazione sarà sovrano e non ci sarà un'autorità mondiale dotata di un potere effettivo.
Gli scritti più primitivi della Bibbia hanno sancito la violenza fino al punto di chiamare JHWH « Signore degli eserciti, Dio delle schiere d'Israele » (1 Sam 17,45). Però, a mano a mano che progrediva la coscienza morale del popolo eletto, questa concezione andò perdendo terreno fino al ripudio totale della violenza nel NT (cf per esempio, Mt 5,9. 38‑48; 26,51‑53). Di fatto, i primi cristiani rifiutarono quasi all'unanimità di impugnare le armi. La situazione cominciò a cambiare a partire dal secolo IV. Quando ormai tutti i cittadini erano battezzati, l'alternativa era: o permettere ai cristiani di prestare servizio militare, o sciogliere gli eserciti. Considerando che non c'era altra forma per difendersi dalle incursioni dei barbari, il pacifismo fu progressivamente abbandonato. Ciò nonostante, per parecchio tempo, i cristiani ricorsero alla violenza con rimorso di coscienza, col disagio di chi si vede costretto a vivere l'utopia del vangelo in un mondo radicalmente antiutopistico, per cui dovevano spesso scegliere quello che ritenevano il male minore. In questa situazione, la Chiesa cercò almeno di regolamentare la violenza per ridurre più che possibile i suoi danni (la dottrina della guerra giusta, la tregua di Dio, ecc.). Le cose peggiorarono nel secolo XI con la convocazione delle Crociate. Qui, non si ricorreva più alla violenza come ad un male minore, ma lo si faceva in nome di Dio. In questo modo, si finì per ritornare all'AT. Da allora, e fino a tempi molto recenti, la violenza fu sempre più legittimata. Oggi, si ritorna a ritenerla un male, anche se non è forse totalmente evitabile (GS 77‑82). I metodi di difesa non violenta sono sempre più apprezzati.

Bibliografia
Aron P., Pace e guerra tra le nazioni, Ed. Comunità, Milano, 1970. Caprara G.V. Renzi P., L'aggressività umana, Bulzoni, Roma 1985. Ferrarotti F., Alle radici della violenza, Ed. Rizzoli, Milano, 1979. Lorenz K., L'aggressività, Ed. Il Saggiatore, Milano, 1976. Masini V., « Violenza », in: Dizionario di scienze dell'educazione, Elle Di Ci, LAS, SEI, Torino‑Roma, 1997, pp. 1168‑1169. Salvini A., Violenza negli stadi, Giunti Barbera, Firenze, 1986. Severino E., Techne. Le radici della violenza, Ed. Rizzoli, Milano, 1979.
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