Militante - DIZIONARIO DI PASTORALE

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Militante

M
di A. Floristán
Il termine militante proviene dalla parola latina militia che indica il complesso di attività militari. Di fronte ad un mondo ostile, i cristiani hanno da sostenere una certa lotta ed essere nello stesso tempo « quelli che portano pace » (Mt 5,9), dal momento che Gesù Cristo è « Principe della pace » (Is 9,5). Comunque, il concetto di cristiano come « soldato di Cristo » è antico. Già nella patristica, il catecumenato era paragonato alla formazione di una recluta per trasformarla in soldato. Una certa concezione militaresca fu usata, soprattutto, nella confermazione, più nella corrente ascetica (« robur ad pugnam »: forza per lottare, lotta come crociata) che nella tradizione evangelica.
Il verbo militare, applicato all'azione politica, equivale ad essere attivo in un partito o associazione di persone che lottano per la vittoria di un ideale, molte volte utopico. La militanza politica appare nel secolo XIX coi movimenti sociali di emancipazione o liberazione. Da una parte, il militante politico è un volontario che ritiene possibile cambiare la vita e si decide ad usarne i mezzi perchè ciò avvenga. Egli vuole edificare una società giusta in cui non ci sia la dominazione dell'uomo sull'uomo. D'altra parte, si organizza in forma di associazione regolamentata per poter raggiungere, con strategie e tattiche adeguate, la realizzazione di un programma politico. Proveniente dal linguaggio militare, il concetto di militante, applicato in senso moderno, prima all'ambiente politico e poi a quello religioso, comprende tre dimensioni:
- un quadro organizzativo e disciplinato,
- una belligeranza attiva nella lotta, e
- un ideale, o causa, da servire con assoluta lealtà. Il caso estremo del militante è quello di essere sinceramente disposto a dare la propria vita per la patria, per la religione, o per tutte e due le cose. Il caso di militanza fuori dai limiti è quello del terrorista.
Il militante non si preoccupa eccessivamente del fondamento teorico della sua pratica, ma della pratica stessa, chiamata praxis, cioè, l'azione trasformatrice o rivoluzionaria. Egli è chiaramente consapevole che non è possibile cambiare la società e le sue istituzioni senza una organizzazione o associazione. Il militante è un membro disciplinato, con la tendenza ad esercitare la « leadership », a comandare e, naturalmente, anche ad ubbidire, anche ciecamente. Ha qualcosa di fanatico e di carismatico. È ardente, costante, efficace. Per lui, la convinzione è più importante della riflessione. Il suo linguaggio è pieno di affermazioni nette, alle volte dogmatiche, quasi mai dimostrate. Studia più o meno profondamente o precipitosamente strategie e tattiche. Sceglie i mezzi più adatti di lotta, senza troppo giustificarli eticamente. Le finalità e le motivazioni si identificano o quasi. In qualsiasi caso, il militante suole essere un volontarista senza ombre di dubbio e trova gusto nell'impegno e nella lotta. I suoi motivi personali non contano molto.
Non tutti i militanti sono uguali. Ci sono militanti politici e militanti religiosi, di partito e di sindacato, dirigenti e obbedienti, attivisti e simpatizzanti, di destra e di sinistra, di genuini e di impostori. Le caratteristiche del militante variano secondo le epoche, i luoghi, l'età, la professione, i talenti personali e la formazione culturale.
Naturalmente, sono militanti prototipici i fondatori di un movimento sociale o religioso importante che risponde ad una necessità vitale del momento, che esercita nella sua prima fase una trasformazione visibile, e che sopravvive lungo il tempo con certi aspetti di vitalità. Ci sono dei militanti intramontabili, incapaci di scoraggiarsi. Però, generalmente, la militanza varia con l'età, si trasforma o si spegne. Per lo più, i primi militanti appartengono a classi sociali medie o borghesi, che sacrificano i propri interessi materiali per il popolo, fino a creare un'avanguardia di militanti oggettivi provenienti dai ceti popolari con la convinzione di essere oppressi.
I militanti cristiani laici appaiono in questo secolo, nell'intervallo delle due grandi guerre mondiali, quando sorse nella Chiesa la figura del laico. Si costatò una grande scristianizzazione in certi ambienti sociali e la Chiesa gerarchica sentì la necessità di organizzare un blocco cristiano ed attivo nella società laica. Fino allora, nonostante che in teologia si parlasse di Chiesa militante, tutti i compiti ministeriali erano riservati al sacerdote. La Chiesa, fino a pochi decenni fa, era composta di preti attivi e di laici pii ed obbedienti.

Bibliografia
Lazzati G., Pensare politicamente, 2 voll., Ed. AVE, Roma, 1988. Midali M., Teologia pastorale o pratica. Cammino storico di una riflessione fondante e scientifica, Ed. LAS, Roma, 1985. Régnier G., L'apostolato dei laici, Ed. Dehoniane, Bologna, 1987.
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