Incarnazione - DIZIONARIO DI PASTORALE

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Incarnazione

I
di J. M. González Ruiz
La parola incarnazione è un'espressione teologica che proviene da Gv 1,14: « E il Verbo si è fatto uomo (greco: sàrx eghèneto: si è fatto carne, si è incarnato)ed è venuto ad abitare in mezzo a noi ». Nel linguaggio biblico, carne equivale alla nostra espressione di oggi: condizione umana, ossia, la natura umana, ma sottolineando quello che essa ha di fragile e addirittura di peccaminoso. In Eb 4,15, si legge: « Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli e stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato ». D'altra parte, san Paolo afferma: « Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo costituì peccato in nostro favore, perché per mezzo di lui noi potessimo diventare giustizia di Dio » (2 Cor 5,21). Ciò vuol dire: non si tratta minimamente di intaccare la santità originale di Gesù, ma il suo « annientamento » (kènosis: Fil 2,7) lo porto ad assumere su di sé le conseguenze dello stesso peccato.
L'incarnazione deriva da due dati previ ed irrinunciabili: Gesù è un uomo completo e reale, ma, nello stesso tempo, è il Figlio di Dio nella pienezza della divinità. Per conservare questo paradosso, bisogna evitare due estremismi: 1) accentuare eccessivamente la sua divinità, a scapito della sua umanità; oppure 2) sottolineare eccessivamente la sua umanità in modo da ridurre la sua divinità ad una semplice adozione divina.
La storia delle prime eresie segnala già quasi tutte le deviazioni, che continuano a ripetersi. In un primo tempo, la difficoltà maggiore stava nell'ammettere la perfetta divinità di Cristo. Ciò si spiegava col fatto inaudito, soprattutto in un ambiente come quello ebraico, dove regnava il più rigido monoteismo. L'eresia di Ario che tanto si diffuse in tutte le aree del cristianesimo, negava che Cristo fosse Dio, uguale al Padre. Comunque, sarebbe un deùteros Theòs, un dio di seconda classe. Questa eresia fu condannata dal Concilio di Nicea nel 325.
Però, un influsso maggiore è stato esercitato dall'errore contrario: quello che negava l'integrità della natura umana in Cristo. Secondo i seguaci del presbitero Apollinare, il Verbo, o Seconda Persona della Trinità, serviva da anima per animare il corpo umano di Gesù. Molti altri cristiani, per non cadere nell'eresia ariana, che era potente anche nella politica, si rifugiavano nella divinità di Gesù, sublimando la dimensione umana e storica di Lui. La pietà cristiana, lungo i secoli, ha peccato più di apollinarismo che di arianesimo.
Però, tutta la cristologia del NT insiste fortemente sul carattere assolutamente umano di Gesù. I racconti evangelici non fanno di Lui un super‑uomo, ma lo presentano con tutte le caratteristiche di una determinata psicologia. Gesù sperimentava ogni specie di sentimenti: si rallegrava del bene dei suoi amici fino a partecipare ad un banchetto di nozze; piangeva per la morte di un amico, come nel caso di Lazzaro; provava sdegno in difesa del vero culto di Dio, come quando scacciò i venditori dal tempio; fuggiva i suoi avversari quando questi volevano tendergli un tranello; e soprattutto, sentì un'agonia mortale quando vide che era giunta l'ora di essere coerente con la sua attività di profeta e fu arrestato nell'orto di Getsèmani.
Però, accanto a questa presentazione così profondamente umana della figura di Gesù, gli autori neotestamentari lo trattano come Dio. Il vangelo più antico, quello attribuito a Marco, anche senza chiamarlo espressamente Dio, gli da continuamente lo stesso trattamento che l'AT dava a JHWH, cosa impensabile in un ambiente ebraico, se non fosse perché la fede nella divinità di Gesù era un fatto pienamente acquisito.
Nell'ultimo libro del NT, l'Apocalisse di Giovanni, Gesù appare nella sua piena umanità, sotto l'immmagine di un agnello immolato, ma che si mantiene ritto in segno di risurrezione. Ora, continuamente a questo Gesù‑ Agnello, si intonano gli stessi inni di gloria ed esultanza che abitualmente sono rivolti a Dio. Nell'Apocalisse, per quanto riguarda il tratto della divinità, Dio e Gesù‑Agnello sono perfettamente interscambiabili.
Oggi, sono risorte le vecchie eresie del cristianesimo primitivo. Da una parte, c'è la tendenza a considerare Gesù come un uomo celeste, collocato nel punto piu elevato delle alture, e con il quale si hanno soltanto rapporti spiritualisti. Per questo, si fa una lettura evasiva dei vangeli, sottolineando ciò che in essi ci può essere di intimismo e di individualismo. Certi tipi di devozioni cristologiche rinchiudono i devoti in un ghetto spiritualista lontano dai rumori mondani, dove si sviluppa quel mondo di cui parla abitualmente Giovanni: « Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno » (Gv 17,15).
D'altra parte, ci sono gruppi che fanno dei vangeli una lettura puramente umana, materialista e immediatista. Gesù sarebbe un super‑uomo, un rivoluzionario modello di tutte le liberazioni temporali. L'ortodossia deve stare a equa distanza dai due estremismi, ma è innegabile che lo spiritualismo è più dannoso del temporalismo, poichè quest'ultimo porta implicitamente in sé l'incontro col Gesù totale dei vangeli, mentre l'altro può prescindere da questa pienezza.

Bibliografia
Bordoni M., « Incarnazione », in: Nuovo Dizionario di Teologia, Ed. Paoline, Cinisello B., , pp. 621‑643. Forte B., Gesù di Nazaret, storia di Dio, Dio della storia, Ed. Paoline, Roma, 1982. Grillmeier A., Ermeneutica moderna e cristologia antica, Brescia, 1973. Kasper W., Gesù il Cristo, Ed. Queriniana, Brescia, 1977. Schnackenburg R., Cristologia di Giovanni: l'incarnazione del Lògos, in: Aa.Vv., Mysterium Salutis, 5, Ed. Queriniana, Brescia, 1971, pp. 425‑442.
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