Ordinazione - DIZIONARIO DI PASTORALE

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Ordinazione

O
di J. Llopis
L'ordinazione è il rito col quale la Chiesa promuove un suo membro, ritenuto idoneo, ad un determinato grado di ministero ecclesiale: diaconato, presbiterato, episcopato. A partire dal Medioevo, questo rito fu ritenuto uno dei sette sacramenti, e quantunque si sia sempre parlato di un solo sacramento dell'Ordine, esso è sempre stato esercitato in vari gradi, che a un dato momento dell'evoluzione storica, furono distinti in ordini maggiori (presbiterato, diaconato, suddiaconato) e minori (ostiariato, lettorato, esorcistato, accolitato). Il legame dell'episcopato con gli altri ordini fu invece poco chiaro e si trasformò in una cerimonia di consacrazione, paragonabile all'incoronazione del re o dell'imperatore. Il Concilio Vaticano II ridiede all'episcopato il suo genuino carattere sacramentale e ristabilì l'Ordine nei suoi gradi originari: vescovo, presbitero, diacono. Gli antichi ordini minori dell'accolitato e del lettorato, che non sono propriamente sacramento, si ricevono ora per mezzo di una istituzione, non di una ordinazione.
Nonostante alcune fluttuazioni (liquidate definitivamente con la Costituzione apostolica Sacramentum ordinis di Pio XII, del 30 Novembre 1947), il segno essenziale che la Chiesa ha usato per celebrare il sacramento dell'Ordine è stato l'imposizione delle mani accompagnata dall'invocazione dello Spirito Santo. Si faceva già così nelle comunità primitive, stando a vari testi del Nuovo Testamento (1 Tm 4,14; 2 Tm 1,6). Quando vennero distinti i ministeri del vescovo e quelli del presbitero (che all'inizio non appaiono delimitati con precisione), la cerimonia dell'imposizione delle mani vanne compiuta nel modo seguente: nell'ordinazione di un vescovo, questi riceveva l'imposizione delle mani da parte di vari vescovi insieme, come rappresentanti dell'intero collegio episcopale. Il presbitero riceveva l'imposizione delle mani da parte del vescovo e di vari presbiteri, membri dell'ordine sacerdotale. Per l'ordinazione del diacono, il vescovo solo imponeva la mano al candidato. Anche oggi si procede in questo modo, ed il segno dell'imposizione delle mani viene accompagnato da una solenne preghiera di ringraziamento in cui il vescovo celebrante chiede al Padre che mandi il suo Spirito sugli ordinandi affinché siano degni della missione che la Chiesa affida loro. Le ordinazioni si celebrano sempre nel contesto dell'Eucaristia, in un giorno festivo e con la partecipazione di tutta la comunità cristiana. Il fine è quello di sottolineare l'essenziale dimensione comunitaria del sacramento dell'Ordine.
Il nome stesso Ordine indica due cose fondamentali: coloro che lo ricevono entrano a far parte di un collegio di ministri, e rimangono ordinati o destinati ad una funzione comunitaria. Anticamente, la parola ordo significava un corpo sociale organizzato: per esempio, c'era a Roma l'ordine dei senatori, quello dei cavalieri. Nella Chiesa, coloro che sono ordinati vescovi, presbiteri o diaconi non lo sono mai a titolo puramente personale. Per loro, essere ordinati significa entrare nel corpo corrispondente. Così, ogni vescovo è incorporato nel collegio episcopale, formato da tutti i vescovi del mondo e destinato ad essere responsabile dell'andamento di tutta la Chiesa. Ogni presbitero diventa un membro dell'ordine sacerdotale, costituito da tutti i presbiteri di una diocesi con la finalità di collaborare col vescovo nel compito di guidare la Chiesa locale. I diaconi formano anch'essi un gruppo organizzato, stando agli ordini diretti dei vescovi o dei presbiteri. Per molti secoli, nella Chiesa d'Occidente, venivano ordinati diaconi soltanto quelli che intendevano diventare presbiteri e, data la legge del celibato obbligatorio per i presbiteri, dovevano essere celibi anche i diaconi. Oggi, è stato ristabilito il diaconato permanente, al quale possono essere ammessi sia uomini celibi che uomini sposati.
Il secondo motivo per cui questo sacramento si chiama sacramento dell'ordine è dovuto al fatto che questa parola significa anche: destinazione per qualcosa o per qualcuno. L'ordinato non lo è per se stesso, per un suo onore o per una sua dignità propria, e neanche per la sua perfezione spirituale. È ordinato per gli altri, per servire tutti i membri della comunità cristiana: tutta l'autorità e tutti i poteri spirituali che gli ordinati ricevono sono destinati al miglior servizio dei membri del Popolo di Dio. Cosi, viene formulato nella solenne preghiera di ordinazione di un vescovo: « O Padre, che conosci i segreti dei cuori, concedi a questi tuoi servi da te eletti all'episcopato di pascere il tuo santo gregge, e di compiere in modo irreprensibile la missione del sommo sacerdozio. Essi ti servano notte e giorno, per renderti sempre a noi propizio e per offrirti i doni della tua santa Chiesa. Con la forza dello Spirito del sommo sacerdozio abbiano il potere di rimettere i peccati secondo il tuo mandato; dispongano i ministeri della Chiesa secondo la tua volontà; sciolgano ogni vincolo con l'autorità che hai dato agli apostoli. Per la mansuetudine e la purezza di cuore siano offerta viva a te gradita per Cristo tuo Figlio ».
Coloro che ricevono l'episcopato ed il presbiterato sono anche chiamati « sacerdoti » nel linguaggio comune della Chiesa. Però, questo termine deve essere inteso in modo che non venga ad oscurare la verità fondamentale secondo cui Cristo è l'unico sacerdote della Nuova Legge (cf Eb 7,26‑27) e tutta la Chiesa costituisce un corpo sacerdotale che continua nel mondo lo stesso sacerdozio di Cristo (cf 1 Pt 2,9). Questa verità è così importante che, nei primi tempi del cristianesimo, Bi evitava di dare il nome di sacerdoti ai ministri della Chiesa e si usavano invece nomi sacri del mondo profano, che indicavano la finalità funzionale di ogni ministero: vescovo, ispettore; presbitero, anziano; diacono, servitore. Più tardi, fu introdotto il vocabolario sacerdotale per indicare il rapporto dei ministeri con l'esercizio del sacerdozio di Cristo e della Chiesa. I ministri ordinati ricevono il nome di sacerdoti perché hanno la missione di rendere possibile l'esercizio del sacerdozio comune di tutti i fedeli, ma non perché essi soli siano sacerdoti. È nella celebrazione dell'Eucaristia che appare con maggiore chiarezza la distinzione e, nello stesso tempo, l'unione tra il sacerdozio ministeriale ed il sacerdozio comune. Sono i fedeli, il popolo radunato in assemblea liturgica, coloro che propriamente celebrano la Messa. Però, il vescovo o il presbitero che presiede hanno alcune potestà specifiche, destinate a rendere possibile l'azione del sacerdozio comune.

Bibliografia
Brandolini L., Ministeri e servizi nella Chiesa oggi, Ed. Liturgiche, Roma, 1980. Favale A. ‑ Gozzelino G., Il ministero presbiterale, Ed. Elle Di Ci, Leumann (Torino), 1972, pp. 169‑190. Ferraro G., « OrdineOrdinazione », in: Nuovo Dizionario di Liturgia, Ed. Paoline, Roma, 1984, pp. 943‑960. Rahner K., Parola ed eucaristia, in: Saggi sui sacramenti e sull'escatologia, Ed. Paoline, Roma, 1965, pp. 109‑172. Triacca A.M., Per una teologia liturgica del sacramento dell'Ordine in Occidente. Linee metodologiche, in: Il ministero ordinato nel dialogo ecumenico, Ed. Anselmiana, Roma, 1985.
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