Celebrazione - DIZIONARIO DI PASTORALE

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Celebrazione

C
di C. Floristán
Celebrare deriva da celebre (noto per fama). Equivale a distinguere, mettere in risalto o festeggiare qualcosa della vita ordinaria. La celebrazione è un'azione globale e simbolica che si compie per mezzo di atteggiamenti, gesti e parole per mettere in risalto una realtà invisibile ed importante: un anno nuovo, un anniversario, un evento nazionale, familiare, un fatto religioso.
Nella celebrazione, si condensa il senso della festa, la rottura col quotidiano e l'importanza data a ciò che è fondamentale. Dedicando il tempo a ciò che è importante (la famiglia, l'amicizia, la vita personale, la fede, la patria, ecc.), l'uomo non si accontenta di contemplare queste realtà, ma ne prende consapevolezza. Nella celebrazione, il passato è importante, ma sempre in vista di un futuro. La celebrazione fa appunto esistere ciò che viene celebrato: una realtà invisibile, il senso profondo della vita, un determinato modo di vivere. Se non venissero celebrate, certe realtà finirebbero per non esistere.
Celebrare è, in primo luogo, un atto sociale, cioè, di gruppo e comunitario. Nessuno celebra da solo. Per celebrare, si cerca la riunione della famiglia, degli amici, del partito, del popolo, della confraternita, della comunità. A causa del suo carattere sociale, la celebrazione garantisce le radici, rafforza la comunione, edifica l'unità, alimenta la società. In secondo luogo, la celebrazione è in relazione con la festa, cioè, con la gratuità in un mondo avido di interessi, che fa una sosta in un modo tutto affaccendato, che dà valore al non razionale in un mondo dove domina la tecnica. Per essere rottura del quotidiano, la celebrazione festiva libera atteggiamenti repressi, rende possibili le relazioni in un mondo dove regna l'anonimato, crea la fraternità, manifesta la gioia. In terzo luogo, la celebrazione ha rapporto col raggiungimento di qualcosa di importante: la fine di un corso, la festa di una mietitura, la costruzione di una casa, la nascita di un figlio, un matrimonio, ecc. Infine, la celebrazione risponde a desideri fondamentali: valutare la vita col metterci a contatto con ciò che più ci interessa e di cui abbiamo maggiormente bisogno; rivedere certi atteggiamenti esaminandoci quando cadiamo in balìa delle nostre meschinità, delle nostre invidie, ambizioni, dei nostri rancori; protestare per gli abusi, respingere la falsità e la menzogna dai nostri rapporti pubblici e di lavoro; entrare in comunione, nonostante le difficoltà di convivere in pace e libertà.
La celebrazione cristiana è celebrazione umana in armonia coi disegni di Dio. I credenti celebrano Cristo presente nel cuore della vita. Però, in ogni celebrazione liturgica, in sintonia coi precedenti del culto ebraico, si venera il Dio dei Padri che è il Padre di Gesù Cristo. Ora, questo culto è collegato con l'uscita dall'Egitto: è liberatore. In sintesi: ogni celebrazione cristiana si rivolge al Dio unico e vero, che interviene nella storia con un intento salvifico.
Gesù criticò il culto ebraico che era eccessivamente sacralizzato (fuori della vita concreta), inerte (senza verità interiore), regolato meticolosamente (esterno) e deviato da Dio (idolatrico). La celebrazione secondo il NT, è opera del cuore (luogo veritiero del culto) e frutto della vita (ambito reale della liturgia). Per questo, i primi cristiani celebravano con un nuovo senso e con una grande libertà il Dio unico manifestatosi pienamente in Gesù Cristo.
Celebrare non è solo rendere culto a Dio o adorarlo, ma è anche festeggiare la venuta della salvezza nella nostra vita mediante il Signore morto e risorto. Oggetto della celebrazione cristiana è l'azione di Dio che si realizza attraverso l'azione umana. Ora, per sapere se si celebra come si deve, il criterio fondamentale vuole che si viva ciò che si celebra (autenticità), che si celebri la vita (coerenza), e che si esprima la presenza del Signore nella storia (fede).
La celebrazione liturgica possiede una struttura tradizionale che si è conservata lungo i secoli, in armonia con la natura della festa cristiana e con le leggi fondamentali della comunicazione con Dio. Da una parte, possiamo intendere la celebrazione partendo da una realtà bipolare, cioè, parola e simbolo (struttura verbale-simbolica). La parola che si legge, commenta, recita e canta è il polo uditivo; il simbolo, che si vede, gusta e tocca, è il polo visivo. Queste due parti sono state messe in risalto in tutti i sacramenti con la riforma liturgica conciliare. Si nota già questa duplice polarità nelle descrizioni liturgiche di Giustino e di Ippolito. Alcuni uffici, come quello protestante, privilegiano il polo uditivo (liturgie della parola); gli Orientali, invece, sottolineano il gesto, il movimento del corpo, il simbolo. Perciò fanno uso di immagini, icone, pale, illuminazioni, ecc. La liturgia cattolica cerca di conservare un equilibrio tra questi due elementi. D'altra parte, la celebrazione possiede una struttura dialogica. La liturgia è un dialogo tra Dio e il suo popolo riunito in assemblea. Da tempi immemorabili, la liturgia ebbe in tempi determinati (le vigilie) questo schema: lettura, canto e preghiera (il tutto ratificato con un gesto). Il Concilio Vaticano II afferma che nella liturgia Cristo " è presente nella sua parola, giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura. È presente ... quando la Chiesa prega e loda " (SC 7).

Bibliografia
Aa.Vv., L'arte del popolo celebrante, Ed. Elle Di Ci, Leumann (Torino), 1968. Deiss L., Celebrare la Parola, Ed. Paoline, Cinisello B., 1992. Duchesneau C., La celebrazione nella vita cristiana, Ed. dehoniane, Bologna, 1977. Sodi M., " Celebrazione ", in: Nuovo Dizionario di Liturgia, Ed. Paoline, Cinisello B., 1984, pp. 231-248. Vagaggini C., Il senso teologico della liturgia, Ed. Paoline, Roma.
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