Contemplazione - DIZIONARIO DI PASTORALE

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Contemplazione

C
di A. Guerra
Questa è una delle parole che creano confusione nel mondo religioso e cristiano. Per facili tergiversazioni, probabilmente involontarie, e per l'unione esteriore che ha con certe forme di vita (vita contemplativa), questa parola viene intesa in modo diverso nei vari ambienti e dalle varie persone. Cercheremo un chiarimento elementare e rifletteremo su qualche punto della sua problematica piuttosto estesa.
La parola « contemplazione » ha vari sensi, tanto nel linguaggio popolare quanto in quello tecnico. Contemplazione non è una parola biblica, ma greca. Quando si trova qualcosa di simile nell'AT (sapienza) e nel NT (gnosi), si tratta in entrambi i casi di parole provenienti dal greco. In questo senso, « contemplazione » si identifica con teoria contrapposta a prassi. È l'attività della mente riguardo alla conoscenza, non riguardo all'esecuzione o all'opera.
In rapporto con questo senso, è il significato di percezione della realtà divina e di quiete delle potenze in questa percezione perfetta dell'oggetto percepito o approfondito.
Sulla stessa linea, pur essendo una cosa distinta, si trova la contemplazione come gradino o fase propria dell'orazione cristiana: alla fase meditativa (cf Meditazione), caratterizzata dal discorrere, segue quella contemplativa, che è la quiete dinanzi alla verità scoperta durante il compito discorsivo. In quest'ultimo senso, si può dire che la contemplazione è la fase centrale dell'orazione, soprattutto, ma non esclusivamente, dell'orazione silenziosa o personale. Per questo, oggi, molti, invece di parlare di orazione, preferiscono la parola « contemplazione ». Si avrebbe qui la denominazione del tutto (orazione) con la parte (contemplazione) più nobile.
I vari sensi della parola « contemplazione » hanno un rapporto interno che si potrebbe difficilmente negare. Per ciò stesso, in qualsiasi dei suoi significati, anche nel gergo popolare, contemplazione e azione (teoria e prassi) continuano ad essere contrapposta in forma quasi irriconciliabile. È un'opposizione che viene da lontano e sempre con forza. Nemmeno i mistici più sereni furono esenti dal vibrare duri, e probabilmente inesatti, correttivi ad uno dei due termini: l'azione.
I Greci antichi sostenevano che « la contemplazione è il piacere puro, e l'azione è la fatica pura » (H.U. von Balthasar). Questo giudizio era basato in fondo su due tipi di vita, in quanto ognuno di essi accentuava l'uno o l'altro estremo. Non è facile negare che l'atteggiamento greco, entrato massicciamente nel cristianesimo, sia diventato un apprezzamento della contemplazione a scapito dell'azione. La vita sembrava quasi divisa in buoni e cattivi: i contemplativi e gli attivi.
Quando sorse la teologia del lavoro (M.D. Chenu), la contemplazione fu riportata nel suo giusto mezzo. Gli eccessi che si paterno commettere e che si commisero nell'esaltare l'azione e nel deprezzare la contemplazione, non furono altro che la reazione all'opposizione che ci fu lungo tutta la storia e, a volte, ai litigi di persone non molto avvezze all'esattezza. In qualsiasi forma, era ormai appparso qualcosa nel cristianesimo che avrebbe chiesto d'ora in poi una maggiore moderazione ai contemplativi.
Questa opposizione, che ha una buona parte di autodifesa orgogliosa, è una lotta di galli che deve cessare per il bene di tutti.
Umanamente, bisogna ammettere che ci sono dei temperamenti psicologicamente più dotati per la contemplazione. Entro certi limiti, che servono da princìpi di discernimento, vanno ammessi per la società, come lo sono anche quelli che hanno un altro tipo di temperamento più portato ad accentuare altri elementi. Cristianamente parlando, non dovrebbero esserci difficoltà ad ammettere carismaticamente il dono della contemplazione come dono dello Spirito per il bene della Chiesa intera. Non per questo la Chiesa, Popolo di Dio, dovrebbe sentirsi sottovalutata nelle sue idee e nella sua forma di vita per la presenza questo carisma.
Abbiamo detto che è una cosa normale che ciò avvenga, purché sia entro certi limiti essenziali. Per esempio: è molto difficile che la vita contemplativa, la quale esige giustamente la contemplazione e ritiene necessarie certe strutture appropriate a questo scopo, possa svolgersi nelle strutture medievali in cui si sta tuttora svolgendo.
Non cesserà l'opposizione se non coopereranno le due parti, quella attiva e quella contemplativa. La prima, accettando senz'altro la natura di questo carisma. La seconda, rendendo credibile il suo genere di vita in questo tempo.
Il carisma della contemplazione non si identifica con l'attitudine contemplativa. Il carisma è particolare di alcune persone; l'attitudine è una componente di ogni cristiano, anzi, di ogni uomo. Il carisma accentua in modo radicale ciò che è normale come elemento nella complessità della vita.
Si sta sviluppando la riscoperta dell'attitudine contemplativa, o del fondo contemplativo della persona e del cristiano. È un bene per tutti, perché le atrofie sono sempre negative. L'attitudine contemplativa è quell'attitudine che potenzia i valori dell'ammirazione e della bellezza in tutti gli ambiti. L'attitudine contemplativa è il senso con cui si colgono i valori della festa, del gioco, dell'umorismo... L'umanità, come anche il cristianesimo, ne avrà sempre bisogno. Senza di essi, si chiude in un volontarismo disperato, che finisce in tragedia.
Ora, se non vogliamo tornare all'antica e dannosa opposizione, dobbiamo stare attenti affinché questa riscoperta non si faccia con l'abbandono o con la trascuratezza della prassi. Se così avvenisse, il guadagno diventerebbe perdita; i beni, come l'ordine, la disciplina, il lavoro, l'impegno, ecc.; declinerebbero sotto la cappa della contemplazione.
Il ricupero dell'attitudine contemplativa deve farsi proprio partendo dalla prassi. Di solito, si pensa che una buona prassi si fa partendo dalla contemplazione (ora et labora). Si pensa molto meno che una buona contemplazione deve essere preceduta da una buona prassi (labora et ora). Eppure, sembra essere questa la strada giusta. È certo che esiste un rapporto reciproco tra i due aspetti, ma all'origine, ci deve essere la prassi.
Sembra che il racconto genesiaco proceda in questo modo: prima, Dio crea. Solo dopo la creazione, viene la contemplazione del creato: « Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona » (Gen 1,31). Anche santa Teresa d'Avila ebbe da affrontare, a modo suo, il problema del rapporto tra contemplazione e azione. Dice alle sue Carmelitane:
« Ma voi mi farete osservare...: che per testimonianza di nostro Signore Gesù Cristo, Maria ha scelto la parte migliore.
Sì, ma ella aveva già fatto l'ufficio di Marta servendo il Signore con lavargli i piedi e asciugarglieli coi suoi capelli » (Settime Mansioni, c. 4, n. 13). Prima Marta, poi Maria. Questo sembra essere il cammino della riconciliazione.

Bibliografia
Anonimo, Racconti di un pellegrino russo, Ed. Rusconi, Milano, 1979. Bernard Ch. A., « Contemplazione », in: Nuovo Dizionario di spiritualità, Ed. Paoline, Cinisello B., , pp. 262‑278. Gozzelino G., Al cospetto di Dio. Elementi di teologia spirituale, Ed. Elle Di Ci, Leumann (Torino), 1989. Leclerc E., Cammino di contemplazione, Ed. Paoline, Cinisello B., 1996. Merton Th., Semi di contemplazione, Ed. Garzanti, Milano, 1991. Raguin Y., Pregare oggi, Ed. dehoniane, Bologna, 1980.
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