Rivelazione - DIZIONARIO DI PASTORALE

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Rivelazione

R
di J. M. González Ruiz
Nell'AT, il rapporto conoscitivo tra pio e gli uomini non è mai presentato attraverso il raziocinio o la filosofia, poiché è sempre attribuita a Dio l'iniziativa in questi rapporti' Per questo, si parla sempre di Dio che si rivela agli uomini. Questa rivelazione divina si realizza in molte maniere.
Dio può apparire personalmente: chiude la porta dell'arca di Noè (Gen 7,16), visita Abramo e Lot e compie alla loro presenza le azioni normali di un essere umano (Gen 18‑19). Lotta con Giacobbe (Gen 32,22 ss). Si presenta a Mosè e cerca di farlo morire (Es 4,24). Dio stesso sconfigge l'esercito egiziano (Gen c. 14).
Però, più comunemente, Dio si manifesta con la parola. La parola riveste la forma di legge, di oracolo profetico o di massima di sapienza.
Forse, però, il segno caratteristico della religione d'Israele è la rivelazione di Dio nella storia. Certi eventi più importanti diedero a coloro che ne furono testimoni l'occasione per cogliere sul vivo l'azione di Dio. Alcuni prodigi, come quello dell'esodo, quello della fuga degli eserciti assiri di fronte a Gerusalemme nell'anno 701 furono segni dell'intervento diretto di Dio. Però, l'intervento di Dio nella storia non si limita ad alcuni prodigi spettacolari. L'azione di Dio nella storia si esercita in modo continuo e consiste nel dirigere gli avvenimenti secondo un piano prestabilito in vista di un obiettivo determinato: instaurare su questa terra il Regno di Dio. Dio porta avanti questo suo piano secondo la sua sapienza, in cui si appianano anche le cose contrarie (cf la parabola dell'agricoltore: Is 28,23 ss) ed in cui edificare e distruggere, giudicare e salvare sono le vie normali per stabilire il suo Regno.
Altri eventi insistono parimenti sul piano di Dio. La grande opera storica dell'autore jahvista presenta la storia dell'umanità e quella del popolo eletto fino al suo ingresso in Palestina come l'azione di Dio verso quelli che per la loro disobbedienza incorrono nel castigo, ma per la grazia di Dio ricevono la salvezza. Il libro più recente dell'AT, il libro di Daniele, offre nella visione della statua un riassunto impressionante della storia universale che culmina nel Regno di Dio (Dn 2,26 ss).
Però, la storia diviene rivelazione per mezzo della parola: Dio fa conoscere il piano segreto della sua azione ai profeti, suoi servi (Am 3,7). La successione, quasi ininterrotta, dei profeti costituisce la garanzia della presenza permanente della parola. La redazione deuteronomista della storia d'Israele si propone di dimostrare che la storia è l'adempimento delle profezie. La parola, infatti, non ha solo il compito di interpretare gli eventi, ma anche li crea.
Tuttavia nell'AT la rivelazione non è mai vincolata in una forma particolare alla parola scritta. Però, molto presto il rispetto alla parola di Dio è espresso mettendola per scritto. La riforma del re Giosia nel 621 segna il punto di partenza del concetto di Sacra Scrittura (Dt 30,11‑14) e gli scritti post‑esilici si riferiscono spesso alle opere più antiche le quali erano, ai loro occhi, considerate come dotate di valore normativo. Però, nonostante ciò, l'argomento scritturistico ( »è scritto »), che implica il carattere fisso ed intangibile della lettera, non fu usato nell'AT.
Nel NT, la rivelazione è l'evento col quale Dio si fa conoscere agli uomini. Questo evento è la venuta di Gesù Cristo in questo mondo.
È soprattutto san paolo che sviluppa pienamente il concetto e il valore della rivelazione, soprattutto nei primi tre capitoli della Lettera ai Romani. Per san Paolo, come del resto per tutta la Bibbia, « tutto è grazia », ossia, i rapporti che l'uomo, fin dal suo apparire su questa terra, ha avuto con Dio, erano avvolti nell'atmosfera della grazia, del dono di Dio. I teologi hanno espresso, in una formula drastica, questa dottrina biblica e l'hanno condensata in questa tesi: « Non esiste lo stato di natura pura; è una pura ipotesi ». Tuttavia, san Paolo fa una classica distinzione tra la manifestazione divina al mondo pagano e quella al popolo ebreo. Fa uso per questo di una duplice terminologia coerente: manifestazione (phanèrosis) e rivelazione (apokálypsis). La prima è per così dire di primo grado. Comunque, l'iniziativa è sempre di Dio. Per questo, gli è bastato interpellare gli uomini nel vasto ambito del creato: « Le sue (di Dio) perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalle creature del mondo attraverso le opere da lui compiute » (Rm 1,20).
Ora, questa presenza di Dio nel mondo puramente umano non è intesa da Paolo come una pura relazione filosofica o conoscitiva da soggetto a oggetto, ma come un atto di un Dio personale che interpella l'uomo: « Poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro (ai pagani) manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro » (Rm 1,19). È sempre il Dio vivo di Abramo, di Isacco e di Giacobbe; non è il Dio‑idea, puro oggetto di una riflessione filosofica. Come vediamo, l'uomo pagano non ha avuto un Sinai né il messaggio specifico dei profeti.

Bibliografia
Barth K., L'Epistola ai Romani, Ed. Feltrinelli, Milano, 1962. Fisichella R., La Rivelazione: evento e credibilità, Ed. dehoniane, Bologna, 1985. Latourelle R., Teologia della Rivelazione, Ed. Cittadella, Assisi, 1967. O'Collins G., Il ricupero della teologia fondamentale. I tre stili della teologia contemporanea, Ed. Vaticana, 1996. Pannenberg W. e altri, Rivelazione come storia, Ed. dehoniane, Bologna, 1969. Ruggieri G., « Rivelazione », in: Nuovo Dizionario di Teologia, Ed. Paoline, Cinisello B., , pp. 1332‑1352. Ruiz Arenas O., Teologia della Rivelazione. Gesù epifania dell'amore del Padre, Ed. Piemme, Casale M., 1989.
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