Conflitto ecclesiale - DIZIONARIO DI PASTORALE

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Conflitto ecclesiale

C
di J. J. Tamayo
I conflitti che esistono nella società nei vari ambiti ? politico, sociale, economico, culturale, razziale, sessuale, ecc. ? non sono mai estranei alla Chiesa. Anzi, incidono direttamente in essa e vi incontrano una risonanza speciale, fino al punto di condizionare significativamente la sua identità, la sua missione, la sua organizzazione e la sua vita. Non può essere diversamente, dal momento che la Chiesa vive in mezzo alla società ? anche quando si impegna a stare al margine in spazi angelici ?; si realizza nella storia ed è formata da uomini e donne inseriti nel mondo che non possono sfuggire, come tutti gli esseri umani, alla conflittualità inerente ai processi storici.
La dinamica stessa della fede comporta l'assunzione del conflitto come momento interno dell'azione salvifica di Dio nella storia mediante Gesù, « uomo in conflitto ». Sarebbe difficile comprendere la Chiesa come segno di contraddizione, mistero di comunione e evento di salvezza, se non si tenesse presente e non si valutasse in tutta la sua ricchezza e complessità la conflittualità che ha caratterizzato il suo cammino lungo la storia, dalle sue origini fino ai giorni nostri ininterrottamente.
Tuttavia, per quella corrente ecclesiologica che invoca una Chiesa uniforme configurata attorno al principio del potere unipersonale assoluto e intesa come « castrorum acies ordinata » (come un esercito schierato a battaglia), il conflitto non dovrebbe avere diritto di cittadinanza nella Chiesa. Anzi, esso è ritenuto un corpo estraneo che urta frontalmente con l'ideale di Gesù: « Tutti siano una cosa sola » (Gv 17,21).
È contrario anche a quanto dice san Paolo nella Lettera agli Efesini: « Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti » (Ef 4,5‑ó), e coi ripetuti inviti del Nuovo Testamento ad evitare le divisioni e le discordie tra i cristiani (1 Cor 1,10‑31).
Quando si identifica unità con uniformità, il conflitto viene associato al caos e all'anarchia, alla rottura della comunione e alla lacerazione della tunica inconsutile di Cristo. Questo modo di intendere la Chiesa sfocia in pratiche di intolleranza, in scomuniche e anatemi, in una incomunicabilità strutturale e in un autoritarismo più vicino alle forme dittatoriali di esercizio del potere che ad atteggiamenti di dialogo e di fraternità come vuole il vangelo.
Però, il conflitto ecclesiale ammette un'altra lettura teologica e un'altra interpretazione più positive. Il conflitto, anziché apparire come un sintomo di disintegrazione e di decadenza, si manifesta come fonte di dinamismo e di rinnovamento. La storia della Chiesa offre una infinità di esempi che avallano questa visuale del conflitto. Il più paradigmatico di tutti è il confronto aperto e pubblico che ci fu tra Paolo e Pietro ad Antiochia riguardo ad un tema importante per il cristianesimo nascente: la libertà del vangelo messa a rischio per il comportamento di Pietro (Gal 2,11ss).
L'apostolo può entrare in conflitto con un altro apostolo, il profeta con un altro profeta, il teologo con un altro teologo e coi pastori, il popolo credente coi responsabili della Chiesa. Non per questo ne soffrirà l'unità, la comunione e la solidarietà tra gli uni e gli altri, né sarà minacciata la verità del vangelo. Anzi: l'unità trova la sua forza nella pluralità; la comunione esce rafforzata con la critica; la solidarietà giunge alla sua espressione massima mediante la condivisione pluriforme. Come ha mostrato giustamente Hoffmann, riferendosi a san Paolo come esponente del dissenso costruttivo, tanto l'unità della Chiesa quanto la verità del Vangelo si perfezionano « attraverso la lotta di opinioni e il conflitto di interessi ». Il conflitto tra Paolo e Pietro avviene non all'interno di un sistema ermeticamente chiuso e asimmetrico, ma in senso ad un sistema aperto e comunicativo in cui esistono modelli comunitari e teologie differenti.
Lo sviluppo dottrinale all'interno del cristianesimo ha progredito in mezzo a tensioni e confronti. Lo sviluppo dei dogmi non è stato affatto un processo sereno e tranquillo; non è stato un cammino idillico. Anzi: è stato cosparso di discussioni e confronti alle volte molto duri. Si può dire anche di più: la stessa eresia non può ridursi ad uno stadio superfluo ed irrilevante nella chiarificazione dottrinale, ma va vista come un passaggio obbligato e necessario verso la verità che si apre la strada attraverso luci ed ombre. Di qui, l'affermazione paolina: « E' necessario, infatti che avvengano divisioni tra voi » (1 Cor 11,19). Non si dimentichi, a questo riguardo che se alcuni teologi hanno dovuto correggere certe volte le loro ipotesi, anche il Magistero ecclesiastico è stato costretto ad abbandonare certe posizioni che una volta sembravano irrinunciabili per aver capito ad un certo momento che non corrispondevano ai nuovi apporti teologici, storici ed esegetici.
In conclusione: il conflitto fa parte della struttura sociale della Chiesa e non si può eliminare scagliando anatemi; deve invece passare attraverso un clima di libera comunicazione; ci deve essere un flusso nformativo costante, un rapporto simmetrico delle parti in conflitto, con la ferma volontà di vivere la comunione e l'unità nella pluralità.

Bibliografia
Aa. Vv., I cattolici del dissenso, Roma, 1969. Balducci E., Carattere ideologico del conflitto tra istituzione e comunità in Italia, in: « Communio », 8 (1973) pp. 27‑32. Falconi C., La contestazione nella Chiesa, Milano, 1969. Favale A., Dissenso cattolico e comunione ecclesiale, Ed. Elle Di Ci, Leumann (Torino), 1975. Giordani I., La Chiesa della contestazione, Roma, 1970. Lubach H. De, La Chiesa nella crisi attuale, Roma, 1971. Suenens L.G., La crisi nella Chiesa, Milano, 1971.
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