Risurrezione - DIZIONARIO DI PASTORALE

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Risurrezione

R
di J. M. González Ruiz
In confronto con le numerose dottrine di risurrezione che caratterizzavano le antiche religioni dei Medio Oriente (Osiride in Egitto, Tamuz in Babilonia, Attis nell'Asia Minore), l'AT è della massima discrezione a questo riguardo. Qui, Dio non è inteso come una divinità della fecondità che deve rinascere al ritmo delle varie stagioni dell'anno. Tuttavia, insiste sulla successione lineare della storia che un giorno arriverà al suo termine e coinciderà con un giudizio finale di Dio. Di una risurrezione, sia individuale che collettiva, non riusciamo a trovare una trac cia esplicita negli scritti dell'AT. Soltanto l'apocalittica giudaica (Esd 26,19; Dn 12,1) orienta verso l'idea di una duplice risurrezione dei giusti e dei malvagi, accompagnata da un giudizio finale dopo una restaurazione completa dell'umanità (4 Esd, Apoc, Bar). Al tempo di Gesù, il parere dei dottori ebrei non era unanime su questo punto: i Sadducei negavano l'idea stessa di risurrezione, a differenza dei Farisei (Me 12,18 se; At 23,6‑8).
Nel NT, l'idea di risurrezione diviene centrale. L'intuizione fondamentale è tolta indubbiamente dall'AT: la vittoria di Gesù e dei morti non è vista come una vittoria ciclica (al ritmo delle stagioni) e cosmica della vita sulla morte, ma come un atto escatologico e gratuito di Dio che pone un termine definitivo al regno della morte. Quest'ultima non è, dunque, considerata come un'eclissi provvisoria della vita, ma come un annichilamento totale dell'uomo da cui solo la potenza di Dio lo può fare risalire. Sopratutto il NT ha questo di particolare: tutto quello che afferma circa la risurrezione è messo in relazione con un fatto storico molto vicino: la morte e la risurrezione di Gesù. Alla luce di questa triplice prospettiva che costituisce l'originalità del pensiero cristiano primitivo a questo riguardo, possiamo precisare i punti seguenti:
a) Le testimonianze più antiche sul fatto stesso della risurrezione di Gesù non sono nei vangeli, ma nelle lettere ed in certi testi antichi. Ciò che fa più impressione in questi testi è che la risurrezione di Gesù è affermata, ma non descritta. Questa è sempre vista come un atto della potenza di Dio che nulla poteva far prevedere prima e nulla poteva spiegare dopo che era accaduto. Gli apostoli non dimostrano la risurrezione di Gesù: per loro, è oggetto di fede (1 Cor 15,12).
b) Nonostante il disordine che si nota nei testi neotestamentari circa le apparizioni di Cristo risorto (specialmente sul luogo e sul numero dí queste apparizioni, come anche circa l'ubicazione temporale rispetto all'ascensione di Gesù), c'è da sottolineare che il Risorto non è descritto come un puro spirito, ma come una persona viva, rivestita di un « corpo ». Ciò che il NT intende mettere in chiaro con tutto ciò è soprattutto l'identità personale tra Colui che « soffrì » e Colui che dopo fu « innalzato ». Questa sofferenza e questa gloria ricevono, l'una dall'altra, il loro significato. Per rimanere fedeli al NT, non bisogna né confonderle né separarle.
c) Di fatto, la risurrezione di Gesù, secondo il NT, non è soltanto un fatto storico nel senso che è stato visto, ma è, inoltre, un giudizio di Dio che concerne ora ogni persona umana. Nessun formula neotestamentaria esprime questo più chiaramente di Rm 4,25: Gesù è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione ». Quello che Dio ha fatto risuscitando Gesù, lo ha fatto per noi, per la nostra salvezza La risurrezione di Gesù esprime, dunque, questa volontà particolare di Dio che, dopo aver annientato l'uomo peccatore, lo chiama miracolosamente ad una vita nuova. Con la sua risurrezione, siamo ritornati in vita, e questo fin d'ora, sebbene ancora in maniera nascosta.
d) Pertanto, solo nei tempi ultimi, si manifesteranno pienamente gli effetti della risurrezione di Gesù a vantaggio dei credenti e dell'intera umanità. Di questa risurrezione ultima e definitiva, le risurrezioni singole narrate dai vangeli sono segni precursori: rendono testimonianza che « i tempi sono compiuti », che Gesù ha inaugurato il Regno e che al dominio della morte sottentrerà la vittoria della vita.
Da tutto ciò si deduce che la « buona novella », costituita dal vangelo, abbraccia e comprende l'uomo tutto intero. Secondo il concetto biblico, la morte, come abbiamo visto, è di per sé l'annichilamento, la scomparsa totale dell'essere umano e del suo ambiente cosmico. Per questo, la risurrezione è contrapposta alla creazione: è la « nuova creazione » (2 Cor 3,17; Gal 6,15). « Per mezzo del battesimo... siamo stati completamente uniti a lui (a Cristo) a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione » (Rm 6,4‑5). Si tratta di un atto che proviene esclusivamente dalla potenza di Dio e che si può accogliere ed assimilare solo con la fede.
C'è di più: la risurrezione non concerne soltanto gli individui isolati, ma anche tutto il contesto cosmico. In Rm 8, san Paolo paragona il creato, la « storia umana », ad una donna che soffre le doglie del parto. Questa visione del cosmo obbliga i cristiani ad assumere ogni movimento che vada nel senso della vita e a lottare contro ogni tendenza che vada nel senso della morte. Il fatto che la creazione, secondo l'espressione paolina, sia in attesa di « entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio » (Rm 8,21), obbliga i credenti ad intensificare la loro attività affinché questo parto finale che tutti attendiamo sia il più glorioso possibile.
In altre parole: la risurrezione elimina dal contesto della fede cristiana un tipo di cristologia dolorista: secondo questa concezione, il dolore e la sofferenza sarebbero in sé, in quanto hanno di negativo, redentori e salvifici. È vero il contrario: la morte di Cristo, che nel NT è sempre presentata come un assassinio commesso dagli empi, ha un valore soltanto perché è stata superata nella risurrezione.
Per questo, l'ascetica cristiana, pur assumendo le ingiustizie di un mondo crudele e peccatore, non si rassegna a ciò, ma tenta di inserirvi la dinamica di risurrezione che viene dalla potenza dello « Spirito di Dio che ha risuscitato Gesù dai morti » (Rm 8,11). Una mistica della pura e semplice rassegnazione è contraria al principio fondamentale della fede cristiana: la risurrezione di Gesù e la conseguente risurrezione di tutti i credenti, di tutta l'umanità e dello stesso creato.
Quando Karl Marx proclamò che « la religione è l'oppio del popolo », egli aveva davanti agli occhi un tipo di cristianesimo rassegnato e dolorista, che era stato manipolato dalle classi dominanti per legittimare lo sfruttamento e l'oppressione delle classi dominate. Per questo, quando al nostro tempo la mistica della risurrezione invade le nuove teologie, soprattutto del Terzo Mondo, la famosa frase del filosofo di Treviri ha cessato di avere un senso per divenire qualcosa di opposto: il cristianesimo di risurrezione è il grande stimolo dei popoli umiliati di oggi affinché lottino per la loro liberazione immediata e preparino in questo modo una fine gloriosa della storia negli ultimi tempi.

Bibliografia
Alfaro J., Speranza cristiana e liberazione dell'uomo, Ed. Queriniana, Brescia, 1972. Bof G., « Risurrezione », in: Nuovo Dizionario di teologia, Ed. Paoline, Cinisello B., 1988, pp. 1307‑1332. Boff L., Vita oltre la morte, Ed. Cittadella, Assisi, 1974. Brambilla F.G., « Risurrezione », in: Enciclopedia del Cristianesimo, Istituto De Agostini, Novara, 1997, pp. 603‑604. Gutierrez G., Teologia della liberazione, Ed. Queriniana, Brescia, 1972. Moltmann J., Teologia della speranza, Ed. Queriniana, Brescia, 1970.
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