Unità - DIZIONARIO DI PASTORALE

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Unità

U
di J. M. Díez‑Alegría
Non corrisponde all'indole di questo dizionario esporre problemi metafisici che sorgono intorno al concetto di unità. La cosa più radicale in questo piano è quella di conciliare l'unità prima e ultima dell'essere con la molteplicità delle cose (enti). I teologi scolastici cercavano la soluzione mediante i concetti di analogia e di partecipazione, che consentivano di attribuire l'essere a realtà molto diverse: Dio, l'uomo, il cosmo. Per Heidegger, l'ente esiste nell'orizzonte dell'Essere e la caratteristica dell'uomo è la sua apertura all'Essere. Però, quello che qui ci interessa in modo immediato è il problema dell'unità nella quadruplice dimensione etica (a), sociale (b), teologica (c), ecclesiale (d).
(a) La teologia morale cattolica del XIX secolo e della prima metà del XX ha accentuato fortemente una specie di monismo etico: una legge morale (naturale) scritta nell'essenza e nelle relazioni essenziali della persona umana, immagine e partecipazione dell'essenza divina. Pertanto, una legge unica, universale e immutabile per tutti gli uomini e tutti i popoli. Però, oggi siamo caduti sotto la cappa dell'enorme cumulo di condizionamenti storici, culturali e sociali che inquadrano la coscienza morale di ogni persona. Non possiamo cadere nella tentazione di postulare un monismo etico individuale e astratto. Già i grandi teologi del Medioevo e della cosiddetta Seconda Scolastica (secoli XVI‑XVII) avevano una coscienza viva dell'esistenza di una gerarchia nelle norme morali: solo i grandi princìpi fondamentali sarebbero in questo modo evidenti alla coscienza: per loro, non sarebbe possibile l'ingnoranza sincera e incolpevole. Con altre norme più complesse e più problematiche, l'ignoranza con l'intera buona fede poteva essere normale e perfino inevitabile. Essi sostenevano che la norma prossima della moralità di una persona concreta era la sua coscienza. Il Concilio Vaticano II (GS 16) ribadisce questa concezione. Oggi, è necessario riconoscere il pluralismo etico in un modo più diretto e più radicale. Solo per alcuni princìpi fondamentali sarà possibile postulare l'universalità, prima di tutto per il principio, secondo cui « si deve fare il bene ed evitare il male ». Esso si identifica con la realtà medesima (con l'esistenza) di una coscienza morale. Però, non per questo ci dobbiamo rassegnare a cadere in un puro soggettivismo etico, in un caos delle coscienze. Partendo da princìpi basilari sui quali è facile la convergenza di persone rette, bisogna favorire un dialogo di coscienze che aiuti tutti nel progresso morale. Così, si può giungere ad una certa unità dialettica di convergenza sul piano delle convinzioni etiche. Ciò è applicabile anche ai cristiani, sulla base della fede e dell'ispirazione evangelica, riguardo alla diversità di coscienza di cui parla san paolo (Rm 14).
(b) La società d'oggi tende ad un pluralismo in cui coesistano e si esprimano liberamente gruppi che si richiamano a concezioni differenti riguardo alle questioni ultime sulla natura e sulla sorte dell'uomo. L'ordine giuridico, che ha bisogno di essere appoggiato da un certo orizzonte etico, non può più basarsi su una morale confessionale religiosa, ma su un'etica civile, che gode di un ampio consenso su alcuni valori di convivenza, condivisi, nonostante la diversità di posizioni filosofiche e religiose.
(c) L'unità della Chiesa è unità di fede e di carità, che non esclude una pluralità di teologie. San Tommaso d'Aquino (IIa IIae, q. 1, art. 2, ad 2) dice che l'atto del credente non termina negli enunciati concettuali, ma nella stessa realtà in cui si crede. L'unità della fede viene dal fatto che tutti e ciascuno crediamo nello stesso Dio, nello stesso Gesù Cristo. Sebbene ognuno creda a suo modo (sotto l'impulso dello Spirito settiforme), la sua fede termina nella stessa realtà di Gesù Cristo, di Dio. Qui si realizza una unità di fede che è vita, e che apre per i credenti la più ampia libertà.
(d) La Chiesa è sempre stata plurale, anche prima della separazione dell'Oriente dall'Occidente e dello strappo della Riforma. L'unità deve trovarsi nell'equilibrio tra collegialità dei vescovi e primato del papa, tra ministero e partecipazione corresponsabile dei laici, tra magistero e teologia, tra funzione docente e senso della fede del popolo, in quanto nella Chiesa tutti hanno qualcosa da insegnare e tutti hanno qualcosa da imparare.

Bibliografia
Aa.Vv., Pluralismo, moda o rivoluzione?, Ed. Città Nuova, Roma, 1971. Balthasar H.U. von, La verità è sinfonica: aspetti del pluralismo cristiano, Ed. Jaca Book, Milano, . Commissione Teologica Internazionale, Pluralismo. Unità di fede e pluralismo teologico, Ed. dehoniane, Bologna, 1974. Congar Y., Diversità e comunione, Ed. Cittadella, Assisi, 1984. Rahner K., Il pluralismo teologico e l'unità della professione di fede nella Chiesa, in: « Concilium », 6(1969), 125‑147.
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