Salvezza - DIZIONARIO DI PASTORALE

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Salvezza

S
di J. M. González Ruiz
Nell'AT, il verbo più frequentemente usato per salvare è yacha. Nel senso primitivo, questa radice contiene un'idea di spazio e di ampiezza: stare a suo agio, essere comodo. Dal senso primitivo, si è passati ad un senso divenuto più comune che si riferisce a una liberazione di qualsiasi genere: da un'infermità, da un pericolo, da una guerra, dalla morte, dalla schiavitù ecc. La parola assume allora, a seconda delle circostanze, un significato particolare: guarire, essere felice, riportare una vittoria, vivere, essere riscattato da una schiavitù. Poi, può passare su un piano più generale e riferirsi alla salvezza del singolo o del popolo, nel grande giudizio finale di Dio alla fine dei tempi. Qui, è già connesso con le concezioni escatologiche e messianiche.
Nel NT, il verbo salvare (in greco: sòzein) appare tre volte in cui appare che il NT non è tanto preoccupato dell'idea di salvezza in quanto tale, ma piuttosto di una salvezza storica realizzata in Gesù Cristo e che un giorno sarà manifestata.
Però, il NT usa primariamente questo termine in un senso più semplice, già comune nel greco classico. Salvare (sòzein) deriva da saòo (contratto: sòo) che significa: salvare qualcuno che è minacciato da un pericolo, liberare dalla morte uno che sta per morire. In tutti questi testi, Gesù appare spesso come l'autore di questa salvezza o guarigione immediata e concreta. Egli salva i discepoli dalla tempesta, Pietro dal pericolo di affogare. Parallelamente, non salva se stesso dal supplizio delia croce. Il NT non distingue tra una salvezza spirituale, dell'anima, ed una salvezza ritenuta meno decisiva, del corpo. Nella bibbia, si guarda alla persona tutta intera e si ritiene che un uomo infermo o travolto dalle onde e totalmente minacciato. Non si esita perciò a chiamare Gesù in aiuto (in molti passi del NT, salvare significa semplicemente aiutare.
D'altra parte, se Gesù e venuto per aiutare l'uomo, minacciato da ogni sorta di pericoli immediati, questo aiuto assume, nel NT, un carattere particolare: annuncia e realizza gia, in un determinato settore della vita, la salvezza definitiva ed universale attesa; attesta che i tempi della salvezza escatologica sono giunti e che Dio viene ora a soccorrere l'umanita come non aveva fatto fino allora. A questo riguardo, si trova spesso nei vangeli un'espressione caratteristica per la sua ambivalenza: « La tua fede ti ha salvata » (Mc 5,34). I1 contesto dimostra qui che la salvezza è, in primo luogo, la guargione fisica della donna a cui si rivolge Gesù. Perciò si potrebbe anche tradurre: « la tua fede ti ha guarita ». Però, d'altra parte, la stessa espressione si trova in racconti che non sono di guarigione (Lc 7,50, dove la salvezza è esplicitamente il perdono dei peccati; cf anche Lc 17,19, dove si vede che la salvezza non si riduce alla sola guargione fisica).
Da tutto cio, si deduce che la salvezza nel NT e vista come una liberazione e non come un accesso ad una vita più alta o più spirituale. Non c'è una evoluzione o spiritualizzazione dalla situazione dell'uomo perduto o schiavo a quella dell'uomo salvato: c'è una rottura, una morte attraverso cui avviene la salvezza. Questa rivoluzione nella condizione dell'uomo è descritta spesso con verbi al passivo; l'uomo e salvato (sottinteso: da Dio). Ma da che cosa è salvato l'uomo? Principalmente dai peccati e dalla morte. Non solo, ma questi due tipi di salvezza sono intimamente legati. San Paolo in Rm 5 afferma che la morte è frutto del peccato. Perciò, per superare la morte, bisogna superare il peccato. Entrambe le operazioni sono esclusive di Dio. La risurrezione, intesa nel suo pieno significato, è la grande vittoria sul peccato.
Traducendo questa profonda dottrina biblica nella pastorale quotidiana, possiamo dire che bisogna evitare due pericolosi riduzionismi. Uno, il più frequente ed il più pericoloso, è quello di ridurre la salvezza all'ambito puramente spirituale, come se si trattasse soltanto di vincere i peccati, intendendo questi come mancanze individuali. L'altro riduzionismo sottolinea eccessivamente l'aspetto corporale della salvezza, trascurando l'aspetto morale che essa implica necessariamente. Tuttavia, auesto ultimo riduzionismo difficilmente si conserva a lungo, poiché l'esercizio d'amore verso il prossimo, che porta con sé, aiuta facilmente a riconoscere in questo prossimo il volto nascosto di Dio. Invece il riduzionismo spiritualista può congelarsi nel proprio orgoglio e nella propria vanità fino a convincersi che Dio è soddisfatto delle opere spirituali che sono compiute in suo onore.
Un paradigma di questi due riduzionismi è evidente nella parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9‑14): il primo si fissò nel suo riduzionismo spiritualista, mentre il pubblicano uscì dal tempio giustificato a causa della sua umiltà e del suo amore.

Bibliografia
Aa.Vv., Salvezza cristiana, Ed. Cittadella, Assisi, 1975. Cremaschi L., « Salvezza », in: Enciclopedia del Cristianesimo, Istituto De Agostini, Novara, 1997, p. 615. Cullmann O., Il mistero della redenzione nella storia, Ed. Il Mulino, Bologna, 1966. Molari C., « Salvezza », in: Nuovo Dizionario di Teologia, Ed. Paoline, Cinisello B., , pp. 1397‑ 1438. Rahner K., Uditori della parola, Ed. Borla, 1967. Schillebeecks E., Rivelazione e teologia, Ed. Paoline, 1966.
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